Lo Spirito del Male Americano (William Burroughs e lo Sciamano)

William Burroughs, Allen Ginsberg, Non nascondermi la tua pazzia. Conversazioni, a cura di Steven Taylor, tr. Silvia Albesano, Il Saggiatore, pp. 386, euro 35,00 stampa, euro 15,99 epub

Un gruppo di amici che si sono conosciuti a New York negli anni ’40 del Novecento si ritrova dopo tanti anni a Lawrence, Kansas, all’inizio degli anni ’90. L’occasione è ghiotta per rievocare i bei tempi andati, quando conducevano una vita sregolata, erano sorvegliati speciali per le loro attività, per il loro consumo di droghe, e per la loro omosessualità. Uno dei due è un vecchio hippy che crede ancora allo slogan “peace and love” della fine degli anni Sessanta, l’altro è un vecchio americano del Sud appassionato di armi, incattivito dai trascorsi dell’esistenza, che non ha mai avuto alcuna voglia di offrire fiori ai poliziotti, la cui vita è stata caratterizzata dalla dipendenza dall’eroina e altri derivati dell’oppio, e dalla sua pluridecennale frequentazione di spacciatori di tutti i tipi e di tutte le latitudini, che con il passare degli anni è diventato sempre più cinico. Adesso, dopo cinquant’anni, i due sono ormai diventati due vecchietti pieni di acciacchi che si ritrovano e rievocano i loro eccessi, ma i loro discorsi non si discostano molto da quelli di una classica rimpatriata: “ho smesso di fumare”, “adesso mangio con pochissimo sale”, “ho avuto problemi al cuore”, e così via… Uno di questi vecchietti è diventato nel frattempo un vero e proprio guru della Controcultura, l’uomo che ha sognato il futuro, mentre l’altro continua a ripetere ormai con un po’ di stanchezza alcuni vecchi slogan della Beat Generation e del Flower Power, slogan che fanno sempre meno presa sui giovani.

Questo libro nasce dalle trascrizioni di 11 audiocassette – sbobinate soltanto due anni fa, nel 2018, da Steven Taylor, il musicista collaboratore di Ginsberg che ha curato il volume – che furono registrate durante questo incontro straordinario tra due vecchi amici, Allen Ginsberg e William Burroughs. Nel 1992 si reincontrarono perché una rivista – The Observer – aveva chiesto a Ginsberg di intervistare Burroughs e Ginsberg aveva accettato, portando con sé alcuni suoi collaboratori. La rivista gli fornì una lista di domande da fare a Burroughs, alcune piuttosto banali e scontate, altre invece più interessanti. Sta al lettore dunque setacciare in questa miniera di informazioni alla ricerca di quelle che gli interessano maggiormente. Tra l’altro le registrazioni su audiocassetta sono uno dei pilastri del metodo di scrittura paranoico di Burroughs, che ipotizza un mondo in cui tutto è già stato registrato e noi non possiamo far altro che riascoltare questi nastri andando avanti e indietro, nel tentativo di ricavare dalla gran massa delle registrazioni i veri messaggi che i manipolatori del linguaggio hanno cercato di cancellare.

In quel periodo – inizio degli anni ’90 – sono parecchie le novità che riguardano Burroughs: anzitutto la decisione di rivolgersi a uno Sciamano Navajo – uno sciamano vero, Melvin Betsellie – per scacciare lo Spirito del Male che secondo lui ha determinato gli eventi tragici che portarono alla morte della moglie, Joan Vollmer, durante un tragico gioco alla Guglielmo Tell, nel 1951. Ne nacque un reportage straordinario di Ginsberg, che fu pubblicato qualche tempo dopo sotto il titolo Exorcising Burroughs, sull’ Observer. Queste trascrizioni ci aiutano a capire meglio tutto il contorno della vicenda, di chiarire che cosa si aspettava Burroughs da questo rituale Navajo, e tutta una serie di interessanti riflessioni sulla pratica dell’esorcismo, un fenomeno che suscitava in Burroughs un vivace interesse, soprattutto dopo la lettura del libro dell’ex gesuita Malachi Martin, Hostage to the Devil: The Possession and Exorcism of Five Living Americans. Altri libri che vengono citati in questa discussione sono il libro di Mircea Eliade sullo Sciamanesimo e il libro Chukchee Mythology di Waldemar Bogoras, sulla cultura sciamanica del popolo siberiano dei Chukchi.

A leggere le cronache di questi giorni, ci rendiamo conto che qualcuno dei sostenitori di Trump farebbe bene a leggere una buona volta questi testi sullo Sciamanesimo, per comprendere la profonda spiritualità degli sciamani siberiani, lontanissimi da quei personaggi che si illudono di rievocarne i poteri semplicemente mettendosi in testa un copricapo di pelliccia dotato di corna. Ma forse chiediamo troppo.

In questa discussione sullo Sciamanesimo e sullo Spirito del Male, Burroughs è fra coloro che interpretano lo Spirito del Male come una caratteristica essenziale dell’America. Scordatevi l’America come Terra della Prosperità, Land of Opportunity, Home of the Brave: l’America è cattiva, malvagia, e questa malvagità era presente fin dall’inizio, fin da quando i primi esploratori sbarcarono sul suolo americano e forse anche prima, come dimostrano alcuni romanzi di William Burroughs, di Thomas Pynchon (Vineland) e di William Vollmann (The Ice-Shirt). Quando Eric il Rosso è sbarcato sulle coste del Vinland, lo Spirito del Male era già lì ad aspettarlo… Nelle vene dell’America – come scriveva William Carlos Williams in un suo libro celebre e straordinario, In the American Grain, una sorta di autobiografia del continente americano – scorre la violenza e la sopraffazione, scorre un sangue nero che trasuda violenza: l’America ha costruito le sue fondamenta sopra enormi mucchi di cadaveri e alcuni eventi recenti – come l’assalto a Capitol Hill – lo hanno ancora una volta dimostrato. Burroughs è stato ancora una volta profetico quando ha associato lo Spirito del Male Americano proprio a quella smodata avidità di denaro tipica del capitalismo americano, a quel tipico spirito imprenditoriale americano, lo spirito dei grandi capitalisti assetati di potere e di soldi tipici dei romanzi di Pynchon, pronti a calpestare cadaveri pur di arrivare al loro obiettivo, i grandi tycoons americani come Rockefeller, come Vanderbilt, come Getty, come Hearst, come Trump.

Un’altra ghiotta occasione per la rimpatriata Ginsberg-Burroughs è rappresentata dall’uscita, qualche mese prima (dicembre 1991), della versione cinematografica di Pasto Nudo ad opera del regista David Cronenberg, versione approvata ufficialmente da Burroughs, dopo una lunga gestazione (la prima proposta a Burroughs fu fatta nel 1984). Ginsberg non si lascia sfuggire l’occasione per chiedere al suo vecchio amico alcuni chiarimenti sul film e sul rapporto tra il film e il romanzo. E scopriamo che la battuta del film veramente piaciuta a Burroughs è: “Hanno rubato la mia polvere per scarafaggi. Qualcuno mi vuole incastrare”, che dimostra quanto Cronenberg sia riuscito ad immergersi nel mondo allucinato di Pasto Nudo, ricavandone un film estremamente originale che è molto di più – e Burroughs è il primo a riconoscerlo – di una semplice trasposizione cinematografica.

In uno dei capitoli trascritti dalle audiocassette i due amici parlano inoltre della terribile vicenda dello scrittore Salman Rushdie, condannato a morte dagli Ayatollah di Teheran, e giustamente Burroughs sottolinea il fatto che se i fondamentalisti islamici avessero letto attentamente le sue opere, si sarebbero accorti di alcuni passi di feroce satira nei confronti dell’Islam e delle sue frange più fanatiche, un fanatismo già denunciato nel 1959 in Pasto Nudo (vi ricordate dell’Islam Inc.?). Ginsberg giustamente fa notare che nel caso di Rushdie la cosa più scandalosa per gli islamisti è il fatto che lo scrittore di origine indiana sia uno di loro, un musulmano, non un infedele.

Un’altra discussione importante è quella che ruota intorno alla vicenda di John Paul Getty III, protagonista del celebre rapimento in Italia nel 1973, durante il quale i rapitori mozzarono un orecchio al povero ragazzo sequestrato e lo spedirono per posta alla famiglia. Paul Getty Jr., che ha vissuto dopo la liberazione dal sequestro una vita sregolata, segnata dalle droghe e dal consumo di alcool, all’epoca era stato colpito da un ictus a causa di un’overdose di barbiturici. Negli anni successivi Getty aveva frequentato il jet-set newyorchese e tutto il giro della Factory di Andy Warhol, quelle feste alternative di New York dove era facile incontrare anche Ginsberg e Burroughs.

Questo volume non è affatto un libro in senso classico: il testo è la semplice trascrizione di tutta una serie di conversazioni informali, tra amici, e non raggiunge certo la compiutezza e la perfezione di un testo scritto, concepito per la lettura da parte del grande pubblico. Ma proprio per questo il volume contiene delle perle, dei dettagli, che ci aiutano a comprendere alcuni aspetti essenziali dell’opera di William Burroughs e, in misura minore, anche di Ginsberg. Quindi il lettore non dovrà per forza cercare di chiarire tutto, di spiegare tutto, assorbire tutto ciò che i due raccontano (non a tutti i lettori interesserà conoscere, ad esempio, la vera ricetta della vichyssoise, oppure alcuni dettagli costruttivi della pistola Beretta), però potrà ricavare qua e là delle informazioni importanti per fissare alcuni punti essenziali della biografia del duo Ginsberg-Burroughs, per comprendere meglio alcuni aspetti della loro opera che erano rimasti sullo sfondo.

Da queste conversazioni viene fuori anche il gusto di Burroughs per i titoli assurdi tipici dei giornali scandalistici, titoli in cui il fatto delittuoso vero e proprio viene completamente offuscato dagli elementi di contorno (ad esempio: “Stupra la Nipote su di un tappeto persiano di gran pregio”). Burroughs coglie perfettamente le potenzialità poetiche di questi accostamenti bizzarri e di questa logica del particolare assurdo, che rievoca la tecnica del cadavre exquis surrealista. Questi titoli sono infatti dei perfetti esempi di objet trouvès linguistici, degli esempi già belli e pronti di cortocircuiti concettuali che producono delle perle inarrivabili. Commentando un titolo di uno di questi giornali, in cui si parla degli eschimesi, Burroughs dice: “sapete perché gli eschimesi uccidono i trichechi? Per poter rivenderne le zanne e in questo modo andarsi a comprare la droga!”, dunque il titolo diventa “Gli Eschimesi uccidono i trichechi per procurarsi la droga!”. Il povero Franz Boas si sarà rivoltato nella tomba. Un altro titolo meraviglioso, che scatena la creatività di Burroughs, è “Suicidio miracoloso di un malato terminale di cancro”, cioè la storia di un uomo che si spara in testa facendosi saltare il tumore che gli aveva aggredito il cervello e si salva la vita. In questi esempi di humor nero, appare la grandezza di Burroughs come umorista nero, che non avrebbe certo sfigurato nella celebre antologia di André Breton.

Un altro aspetto importantissimo è la discussione tra i due a proposito di alcune poetesse o scrittrici lesbiche degli anni Venti che oggi sono del tutto dimenticate. Ginsberg a un certo punto parla del romanzo lesbico di Radclyffe Hall, Il pozzo della solitudine, romanzo che fece scalpore e fu condannato all’epoca della sua pubblicazione, e l’intero circolo di Bloomsbury andò in tribunale a difenderlo, compresi Virginia Woolf, Leonard Woolf e E.M. Forster. Si continua parlando della censura e della sentenza americana sull’Ulysses di Joyce degli anni Venti (1933), che si basò sui meriti letterari dell’opera. Questa discussione porta inevitabilmente a parlare dell’opera più scandalosa di Burroughs, il tormentato romanzo autobiografico Queer, che potè essere pubblicato soltanto molti anni dopo la sua stesura originaria.

Si parla di Sara Teasdale, una poetessa lesbica di St. Louis. Burroughs dice: “Cristo santo, come fai a leggere le sue poesie senza accorgerti che è lesbica? Dicono che si sia affogata in una vasca da bagno. Sara Teasdale sarebbe dovuta andare a New York a scoparsi Edna St. Vincent Millay.”  (….) In ogni caso, era una poetessa notevole… una poetessa lesbica maniacale… Molto bella, molto lesbica… C’è un certo tipo di poesie… ne leggi un dannatissimo verso, e sai che l’ha scritta una lesbica” [a questo punto cita un frammento di Saffo]. Si parla poi di poetesse e di scrittori ormai quasi dimenticati, come Mary Carolyn Davies, di Louise Imogen Guiley, di Joseph Auslander, di Alfred Kreymbourg e di Adelaide Crapsey, che scriveva cinquine, di Quentin Anderson, di Quentin Stevenson, di Dell Morey… A un certo punto viene citato anche Edwin Arlington Robinson. Alcuni giudizi sono fulminanti: “Edith Sitwell era proprio una troia”. Questo è Burroughs, prendere o lasciare.