A volte capita che un’intuizione, magari una copertina o un evento fortuito, ci facciano incontrare un romanzo che non avremmo probabilmente mai letto e che invece valeva la pena di non perdere. È quello che mi è accaduto con questo Le tribolazioni dell’ultimo Sijilmassi, di Fouad Laroui, che ho letto per l’indisponibilità temporanea della collega di Pulp che avrebbe dovuto recensirlo.
Cominciamo col dire che è un libro molto bello e sorprendente, che coniuga tutte le qualità migliori della letteratura: racconta senza spiegare, parla del mondo di oggi senza mai cadere nella morale, unisce l’ironia all’impegno, insinua dubbi nel lettore e lotta contro tutte le forme di integralismo.
Adam, un uomo di affari marocchino che lavora in un’azienda che produce bitumi, durante il volo che lo riporterà in patria dall’India da un viaggio di lavoro, seduto in un Boeing della Lufthansa a 30.000 piedi di altezza, realizza di vivere una vita che non sente sua. Ripensa ai propri antenati, al padre e al nonno che non sono mai usciti dai loro paesi, che come mezzi di trasporto usavano carretti e muli, che non vivevano un’esistenza frenetica come la sua allo scopo di… Che scopo ha questa mia vita, si chiede Adam? Atterrato a Casablanca decide di licenziarsi per cambiare radicalmente la propria esistenza. Raggiunge la sua casa a piedi, senza usare mezzi a motore, e questo provoca già le prime reazioni di tutti quegli automobilisti che si fermano per offrirgli un passaggio e non comprendono il suo rifiuto. Poi è la volta della moglie, che alla notizia del suo intento di licenziarsi si ribella al pensiero che perderà la casa e gli agi a cui è abituata. Io non ho sposato te, – gli rinfaccia –, ma la tua posizione… e quindi si trasferisce dalla madre. Neanche gli amici e colleghi sembrano capire perché un uomo ricco e di successo voglia perdere la sua posizione di prestigio.
A questo punto decide di raggiungere a piedi il villaggio di origine dove nella vecchia casa di famiglia vivono solo una zia e una bambina. Gli abitanti non capiscono, si chiedono perché lui sia ritornato, e in una commedia degli equivoci passa da essere creduto un pericoloso terrorista, poi blasfemo e miscredente, fino a essere considerato un nuovo profeta.
Il testo vive della coesistenza di diverse culture – e non nella loro fusione – e non potrebbe essere diversamente. Fouad Laroui infatti è dotato di una cultura straordinaria e multidisciplinare: ingegnere meccanico che insegna scienze ambientali ad Amsterdam, ha frequentato un liceo francese in Marocco, il suo paese di origine, si è laureato in Francia in ingegneria, poi un phd in economia conseguito in Inghilterra. Nel romanzo convivono la sua cultura scientifica e quella letteraria, abbondano le citazioni di scrittori soprattutto francesi e arabi, e assieme all’approccio volutamente infantile non poteva che generare, in mano a uno scrittore che sa come usare al meglio gli strumenti narrativi, un’opera di grande respiro che affronta i temi più contemporanei e contradditori della nostra società, facendo convivere tradizione e modernità con una abilità letteraria che lascia spesso sbalorditi.
Di Fouad Laroui, autore di oltre venti volumi di narrativa e saggistica, l’Editore Del Vecchio ha tradotto in italiano L’estate radicale (2013) e Un anno con i francesi (2015).