Lionel Shriver è nata in America, Carolina del Nord, nel 1957. Oltre a Proprietà, una raccolta di racconti, questa stessa casa editrice, che si è sempre dimostrata interessata alla qualità dei testi, ha pubblicato I Mandible. Una famiglia, 2029–2047, una distopia finanziaria ambientata non troppo lontano dalla nostra epoca. Ma l’incontro con il grande pubblico per Shriver è avvenuto nel 2003 con il romanzo Dobbiamo parlare di Kevin, con cui ha vinto l’“Orange Prize” ed è stato portato sullo schermo otto anni dopo. Libertaria e femminista, se le si chiede delle sue idee politiche risponde che a Londra, dove vive da anni e ha la cittadinanza, è considerata una ultra conservatrice mentre a New York è una radicale di sinistra. Non ha mai nascosto le sue idee per la deregolamentazione economica e le forti simpatie per il libero mercato, ma allo stesso tempo è una strenua sostenitrice dei diritti delle donne e dei più deboli. Se a quindici anni ha deciso di cambiare nome di battesimo da Margaret Ann, perché non corrispondeva alla propria indole, a Lionel (tra l’altro nome maschile), possiamo capire che ci troviamo di fronte a una personalità sui generis molto forte e determinata.
Il filo conduttore che lega i dodici racconti è il possesso, la proprietà, e le storie sono senz’altro tutte godibili e di buon livello. La ricercatezza di una trama originale, l’architettura della struttura e lo stile scorrevole e diretto, stimolano il lettore a non staccarsi dalla lettura. I protagonisti sono di estrazione sociale, sesso ed età differenti, e i rapporti tra genitori e figli, le amicizie e le relazioni sentimentali, sono indagate in maniera lucida e impietosa. L’autrice non esita a usare il politicamente scorretto – direi finalmente – per descrivere l’ipocrisia e l’ambiguità che vengono a galla quando si tratta di questioni di interesse.
Lionel Shriver ha viaggiato molto e ne ha approfittato per ambientare i suoi racconti in posti che conosce bene – Stati Uniti, Kenya e Regno Unito in questo caso –, riuscendo a dare un tocco di maggior realismo e interesse alla descrizione dei luoghi dove si svolgono le scene. Storie originali che partono da situazioni particolari, spesso al limite del paradossale, scritte con irriverenza e sarcasmo verso i protagonisti e verso i lettori, con la capacità di usare l’ironia per andare in profondità con apparente leggerezza.
Il primo e l’ultimo racconto sono i più estesi, una sorta di novelle, e per questo la trama e i personaggi sono trattati con un respiro narrativo più ampio. Nel primo, Il lampadario da terra, l’amicizia salda tra Jillian e Weston comincia ad andare in crisi quando l’uomo conosce Paige, che diventerà sua moglie. Nonostante Weston non voglia piegarsi al diktat “io o lei” della fidanzata e Jillian, per mostrare il suo assoluto disinteresse sentimentale per Weston, arriverà a regalare alla coppia per il matrimonio la creazione artistica a cui tiene di più, un’opera in cui ha messo addirittura parti di se stessa come il dente del giudizio. Ma alla fine l’amicizia deflagra, senza lasciare alcun coccio da raccogliere. Ne La coinquilina si apre una sfida inaspettata tra due donne, Sara ed Emer, che rivendicano il predominio su una casa che la prima ha affittato all’altra prima di partire per un lungo viaggio. L’epilogo sarà inaspettato, ma in linea con lo stile della scrittrice. Shriver popola i suoi racconti anche di altre riflessioni, scopre dettagli apparentemente insignificanti che possono cambiare in maniera radicale la nostra esistenza, come nel caso del racconto Il burrocacao, o come in Tassi di cambio, dove la scomparsa di un padre che abbiamo sempre criticato rivela a noi stessi gli stessi suoi difetti. La lotta per il possesso fa scattare reazioni impensabili, e rischia di farci perdere le vere priorità della vita. Un libro bello da leggere e utile per riflettere. Ottima letteratura, perciò.