Carlo Emilio Gadda partì per il fronte con l’entusiasmo febbrile di un giovane acceso dai più nobili ideali patriottici e una purezza di cuore commovente. Il 1° giugno 1915 venne chiamato alle armi con la sua classe (1893), e destinato a Parma per l’addestramento come soldato di leva nel 1° Reggimento Granatieri. Il 5 agosto venne accolta la sua richiesta di trasferimento, e col grado di sottotenente fu destinato alla Milizia territoriale del 5° Reggimento Alpini, unità dislocata a Edolo, dove venne istruito. Il desiderio bruciante di “accorrere dove realmente si fa la guerra” lo spinse ad avanzare numerose istanze, ma per varie vicende il battesimo del fuoco dovrà aspettare. Il sogno del combattente si realizzò il 17 giugno del 1916. In un’alternanza di scontri in prima linea, guerra di trincea, istruzione di soldati e periodi in ospedale, si arrivò all’undicesima battaglia sull’Isonzo, nell’agosto del 1917, dove l’irrequieto futuro scrittore si guadagnò una medaglia di bronzo al valore militare. Durante le operazioni che portarono alla disfatta di Caporetto, il 25 ottobre venne fatto prigioniero da un reparto di militari tedeschi. Dopo una penosissima marcia e alcuni giorni d’internamento in un campo vicino Lubiana, fu tradotto su un treno merci fino al Lager di Rastatt, nel Baden-Württember, e dopo alcuni mesi in un campo presso la città di Celle, nella Bassa Sassonia. Tornerà nella sua Milano nel gennaio del 1919: soltanto allora scoprirà che l’amato fratello Enrico, aviatore, era morto in un incidente il 23 aprile 1918. Venne congedato nel settembre di quell’anno, dopo 51 mesi passati al servizio della nazione.
Durante la Grande guerra Gadda redasse un notissimo diario, il Giornale di guerra e di prigionia, e numerose lettere a familiari e amici. Un volume apparso di recente per l’editore Adelphi, La guerra di Gadda. Lettere e immagini (1915-1919), curato da Giulia Fanfani, Arnaldo Liberati e Alessia Vezzoni, ha raccolto un’ampia silloge di quel carteggio, lettere e cartoline in gran parte inedite indirizzate alla madre Adele, al fratello Enrico e alla sorella Clara, con le rispettive risposte, e alcune che si scambiarono questi ultimi due. L’epistolario inizia da Parma il 13 giugno 1915 e termina il 13 marzo 1919, con Gadda ormai a Milano e la madre a Lagonegro, in provincia di Potenza, dove dirigeva una scuola. Il volume, particolarmente accurato com’è nello stile delle pubblicazioni Adelphi, è corredato di un puntuale apparato di note che, in una fitta rete di rimandi creati con l’ausilio di tutta la produzione dello scrittore milanese, contestualizzano eventi e personaggi presenti nelle lettere; di un’utile cartina dei “luoghi della guerra di Gadda”; di un albero genealogico, decisivo per sciogliere l’intrico di legami parentali e d’amicizia che innerva il carteggio e caratterizza la “somaresca tribù” gaddiana; dell’immancabile nota al testo; di un suggestivo “dossier iconografico”, con numerose fotografie scattate al fronte e riproduzioni documentali; di una postfazione a firma di Arnaldo Liberati, custode di tutti i documenti e gli oggetti lasciati dallo scrittore alla zia Giuseppina, domestica e tuttofare dal 1961 alla morte sopravvenuta nel 1973.
Come sempre avviene nel caso di un grande artista, la lettura del suo epistolario è esperienza a un tempo emozionante e istruttiva. Il giovane futuro scrittore vi si rivela come un libro aperto, da cui risaltano i tratti essenziali della sua personalità: la timidezza, l’ipersensibilità (che lo portava a essere soggetto ad attacchi di “rabbia nervosa” suscitatagli dalla “vita da talpe” nelle trincee, vividamente descritta nella lettera a Clara del 15 luglio 1916), il carattere introverso e financo scontroso (fonte di preoccupazione per i familiari), la sensazione di inadeguatezza, di alterità rispetto ai propri simili, l’acuta capacità di osservazione, la grande scrupolosità e meticolosità. Le lettere ci presentano uno spaccato della “durezza di tutta la vita militare”, una quotidianità fatta di disturbi gastrici e “mal di panciazza”, di “brontolamenti”, di “inevitabili momenti di raccoglimento e di tristezza”, di “orrenda solitudine” e “isolamento spirituale”, di problemi di denaro da gestire oculatamente e di continue richieste di indumenti e oggetti (tra cui la macchina fotografica che permetterà a Gadda di lasciare una traccia visiva della guerra: “i sacri cimeli di quest’anno fortunato [1915] sono una ricchezza che preme più d’ogni altra cosa”), di assoluta compenetrazione nella vita militare affrontata con l’ardore dei vent’anni, “piena di continuo e lieto sacrificio”, di aneliti fraterni verso i commilitoni durante le battaglie (“in quei momenti non sentivo più altro che un vivo e prepotente bisogno di aiutare, di soccorrere i miei fratelli”), ma anche della “vita macerante da trincea”, dell’“orgia di demolizione”, dello “spettacolo di terribile devastazione”, degli “episodi della barbarie nemica”, della tremenda fame patita nei lunghi mesi di prigionia, unita alla fonda prostrazione, all’umiliazione e al tormento, al timore di essere considerato un traditore (“Ho perduto la ragione di vivere, ho perduto i miei alpini, ho dovuto guastare le mitragliatrici, che spararono implacabilmente, con ferma misura”).
Il carteggio ci permette poi di far conoscenza con la famiglia Gadda nella sua realtà quotidiana, senza filtri d’alcun genere, mettendo in luce il complicato e tormentato intreccio dei rapporti tra i vari membri e la natura di ciascuno, il complesso legame tra i due fratelli, fatto di intensissimo amore e sotterranea rivalità. Ma queste lettere, al pari del Giornale di guerra che in qualche modo integrano, offrono anche un lucido spaccato della vita sociale e culturale d’un Paese in formazione. Nelle prime, come notano i curatori, emerge il ritratto di un signorino in divisa, il gentiluomo in uniforme, “perfetta testimonianza di quella compenetrazione di civismo (rispettabilità borghese, morigeratezza, autocontrollo, decoro, ethos cavalleresco) e di militarismo (ordine, disciplina, obbedienza), di matrice tardo-ottocentesca su cui si fonda la formazione culturale della borghesia italiana”. Dalle missive di Clara appaiono lucidi squarci dell’Italia dell’epoca, restituitici con penna elegante e incisiva, piena di verve e d’ironia, da cui s’intravede la drammatica situazione in cui versava la popolazione durante la guerra, con gli stenti e la povertà, il carovita e la borsa nera, le letture delle operazioni belliche che ne davano i giornali, grondanti di quel patriottismo retorico che si ritrova, pur se intimamente avvertito, nelle lettere della madre.
Il carteggio riveste poi grande importanza anche riguardo all’esperienza della guerra quale incubatrice all’arte gaddiana, che proprio in quegli anni trova il modo di affacciarsi alla sua coscienza, per quanto in forma ancora confusa. Come si legge nella postfazione di Arnaldo Liberati, queste lettere, “entità testuali alle quali va fatta risalire, inequivocabilmente, la nascita di un grande scrittore”, ci rivelano un autore già padrone dei mezzi espressivi, in grado di “costruire ogni lettera come un testo unico, stilisticamente connotato, dove spiccano di volta in volta la sua intelligenza del mondo, la sua capacità d’osservazione, la sua perizia tecnica, lo sguardo acutissimo con cui abbraccia la topografia e la geologia dei luoghi”. Emblematica la lettera del 9 maggio 1916 alla sorella Clara, in cui descrive minuziosamente la vita nei rifugi montani, con registro letterario e uso di dialoghi, testimonianza d’una straordinaria attenzione alle parole, ai dialetti, alle locuzioni idiomatiche dei commilitoni provenienti da tutta Italia. Del resto, le osservazioni linguistiche, i gergalismi e i dialettismi sono assai frequenti anche nel diario. Sarà poi lo stesso Gadda a confermare in un’intervista il fondamentale ruolo svolto dall’esperienza bellica nel suo futuro di scrittore, notando come la capacità di descrizione, il desiderio di approfondire la conoscenza dell’uomo, i rapporti tra le creature, si estese in lui per gradi, a partire proprio da quegli anni: “La mia scrittura, dapprima nei diari e nelle lettere, veniva a investire la vicenda umana, la storia delle anime”.
Insomma, per chi si voglia avvicinare al cuore e all’arte di uno dei più grandi scrittori del nostro Paese, questo epistolario rappresenta una lettura imprescindibile. Ma non solo: nel tortuoso itinerario privato e nazionale, nella vertiginosa alternanza di delusione per la mancata azione, di ebbrezza del combattimento, di senso di colpa e immensa disperazione, nella condivisione di amor patrio e familiare, con parole forgiate al calor bianco delle granate austriache e nel fango delle trincee, si può rivivere un momento umano, storico e sociale irripetibile nelle vicende italiche.