Tornano personaggi al limite dell’abbandono e della trasformazione biologica, cari all’attenzione visiva (non visionaria) di Laura Pugno, alla sua scrittura cristallina e rapida nel macchinare trame che sembrano oniriche ma che oniriche non sono poiché la realtà concerta irrompe, e ha sempre la meglio.
L’isola greca del romanzo dà spazio ai suoi abitanti, espande terreno appropriato alla sua sorella calcarea più piccola, sede di eventi e leggende venuti da lontano, e lontani dalla tecnica umana. Il protagonista, medico insonne, giunge in quel luogo alla ricerca del passato, e di una quiete che nella sua esistenza attuale gli appare lontanissima. Troverà il sonno ristoratore, il freddo tonificante delle acque marine intorno, ma verrà travolto da un nuovo mistero vertiginoso.
Complici gli abitanti, gli sciami di api dorate, la presenza di una donna amica e incinta. Vita e morte riavvolgono il tempo e lo spazio, il racconto si addentra nel vortice di quel che sembra un lutto ma che infine si mostra come un esemplare cammino di iniziazione. Ogni passo sull’isola è un superamento, ogni sguardo fra uomini e donne rappresenta qualcosa di disciolto dai miti antichi nella nostra epoca, fino a scomparire del tutto nell’ottusa struttura mentale odierna. Incapaci di posare i drammi nel posto che i millenni hanno loro assegnato, questi uomini subiscono gli effetti della natura autorevole (ricordate Picnic at Hanging Rock?), ormai talmente differente (e indifferente verso l’umano) da risultare incomprensibile.
L’isola e l’isolotto, dispersi nel fitto dell’arcipelago greco, diventano i muti e fissi personaggi principali, danno terreno utile alle creazioni della fantasia terrestre. Dall’insonnia al sogno il passo appare breve, per mai risvegliarsi dal sacro impeto della natura. Il mare intorno, e la luce sovrastante, diventano un mezzo denso e schiumoso, dove non servono granché le parole, e la tentazione del gotico è sempre lì a due passi, se non fosse per la radiazione perenne e impietosa che fissa ogni cosa, persona e animale. Le entità sovrumane talvolta non hanno origine biologica, si espandono attraverso circuiti minerali e aerei.
Pugno sa bene come mostrare il baratro imminente, descrivere la coscienza messa di fronte a forze antiche e incomprensibili. In ogni suo romanzo azzera i primitivi trattati di pace fra conoscenza e esperienza, quest’ultima d’un tratto stracciata dagli eventi superiori. Sembra ogni volta avvisarci che i tempi sono pronti alla deviazione mutante, percependo noi come “mutante” quella natura preistorica fatta cadere nell’oblio. Proprio in questo, passato e presente si congiungono per farci fuori.
Sirene e i libri successivi ci hanno mostrato come la sovrumanità è molto più vicina di quanto conserviamo negli armadi o nelle dispense. E che la salvezza somiglia terribilmente agli elementi del disastro.
Di Laura Pugno abbiamo recensito anche il saggio In territorio selvaggio; la scrittrice ha anche partecipato alla nostra rubrica Paragrafi d’autore.