Terminata la lettura delle due traduzioni in volume di Ted Chiang, mi vengono subito spontanee due considerazioni, una di carattere generale e l’altra più specifica, attinente al microcosmo della fantascienza. La prima deriva dall’ammirata meraviglia di fronte a un fulgido modello di sincretismo culturale: uno scrittore cinese – Chiang Feng-nan è il suo vero nome – nato e cresciuto negli Stati Uniti, che maneggia perfettamente il canone occidentale – mitico, letterario o filosofico e scientifico che sia – con riferimenti che spaziano dalla Cabala ebraica e il Golem alle Mille e una notte, dalla Genesi al Libro di Giobbe, dal dubbio iperbolico di Cartesio al paradosso quantistico del gatto di Schrödinger, dall’immaginario di Borges o Phil Dick fino allo steampunk. Quale migliore dimostrazione della fecondità delle contaminazioni, del merito della promiscuità, della superiorità ubertosa del meticciato di Alessandria sulla discriminazione segregazionista di Atene o di Gerusalemme. Ogni triste sostegno alla deriva etno-identitaria che oggi ancora incombe sui nostri sempre più ristretti orizzonti, viene facilmente confutato da simili esempi di libertà e intelligenza multiculturale: fiori sbocciati dal melting pot. La seconda considerazione sfata il mito della crisi della fantascienza: la fantascienza non è in crisi come veicolo letterario d’idee, strumento di riflessione filosofico, metafisico, epistemologico; in crisi sono solo gli scrittori che usualmente l’hanno praticata negli ultimi decenni. Ted Chiang non appartiene alla schiera, a differenza degli altri scrive pochissimo – ai 17 racconti inclusi in queste due raccolte ammonta tutta la sua opera attuale – e non sbaglia un colpo: quasi tutti i testi pubblicati hanno vinto almeno un premio, il Nebula, il Locus, l’Hugo, il Campbell, il Sidewise, ecc. (e a uno di questi l’autore ha perfino rinunciato, dicendosi insoddisfatto del risultato finale del racconto premiato, giudicato al di sotto dei suoi standard…). Chiang mi ha ridato fiducia nel valore letterario e filosofico della fantascienza, un entusiasmo che non provavo più dai tempi lontani in cui scoprivo Phil Dick o Jim Ballard. Molti altri nomi sono stati accostati dalla critica a quello del geniale sinoamericano: Ray Bradbury per la sensibilità etica e umanistica; Arthur C. Clarke per la sottigliezza nell’esplorare la relazione fra individuo, specie e tecnologia; Isaac Asimov per la capacità di delineare credibili scenari futuri solidamente scientifici; perfino il Charlie Brooker dei migliori episodi dello show televisivo Black Mirror (invero ultimamente un po’ tramontato), per la lucidità nel prospettare speculativamente le future derive sociali dell’attuale orizzonte tecnologico.
In realtà Chiang è solo Chiang, e più che di sociologia – di mestiere fa lo scrittore tecnico per l’industria del software – si occupa di filosofia della scienza e di epistemologia: le sue ossessioni ricorrenti sono il linguaggio – soprattutto il rapporto tra le strutture linguistiche generative e i fenomeni della realtà – e il paradigma determinismo/indeterminismo. In gran parte dei suoi racconti questi problemi filosofici si ripresentano in un modo o nell’altro.
Il modo forse migliore per introdurre chi legge alla complessità, alla varietà e al carisma intellettuale dei temi sollevati da un autore obbiettivamente imprescindibile, è dare un brevissimo accenno, titolo per titolo, di tutte le storie che compongono la sua non certo abbondante opera narrativa. Si comincia da quelle della silloge Storie della tua vita, uscito nel 2002 negli Stati Uniti, e che raccoglie testi pubblicati fra il 1990 e il 2002. “Torre di Babilonia” sembra un racconto scritto da Borges e rimanda al mito biblico della Torre di Babele, visto però dalla parte dei tecnici e delle maestranze coinvolte nell’impresa, a cui l’autore aggiunge nel finale un’inaspettata teoria cosmologica. “Capisci” riprende il tema di un classico fantascientifico come Fiori per Algernon di Daniel Keyes, quello della possibilità di accrescere, agendo sul sistema endocrino, l’intelligenza di un individuo: se nel testo di Keyes la lingua sgrammaticata del minorato mentale protagonista, migliora con il procedere della cura fino a diventare corretta e infine addirittura adamantina, per precipitare poi di nuovo, progressivamente, nell’abisso iniziale quando gli effetti della mutazione si rivelano fallaci, qui invece il personaggio principale verifica l’inadeguatezza stessa del linguaggio a contenere un eccessivo potere cognitivo capace di individuare immediatamente i nessi fra le cose, quelli fra io e mondo e gli stessi meccanismi del proprio funzionamento mentale. “Divisione per zero”, racconta di una matematica che scopre l’incoerenza dell’aritmetica, dimostrando la formale uguaglianza di tutti i numeri: la matematica si trasforma così in una scienza empirica, che non può dissociarsi dalla realtà.
La donna cade in una terribile depressione per aver demolito ciò in cui credeva e tenta il suicidio: il racconto è scandito in capitoletti (1-1a-1b; 2-2a-2b; ecc.) in cui nel primo si danno principi di teoria matematica, nel secondo si procede con la storia dal punto di vista della protagonista, nel terzo da quello esterno del marito della protagonista; nell’ultimo punto, il nono, 9a sarà uguale a 9b. “Storia della tua vita” è il racconto più giustamente famoso da cui Denis Villeneuve ha tratto nel 2016 il film Arrival, qui entrambi i temi speculativi principali di Chiang – il linguaggio e il determinismo – sono presenti. La linguista Louise Banks viene ingaggiata dal Pentagono per trovare un modo per comunicare con alieni non antropomorfi, gli Eptapodi, discesi per ragioni ignote sulla Terra; scopre che gli Eptapodi hanno due sistemi linguistici completamente differenti, uno per la lingua scritta e un altro per la lingua parlata. Il primo è completamente non sequenziale e si sviluppa su ideogrammi combinati tra loro a formare ampie strutture bidimensionali; la lingua parlata è non sequenziale e non prevede alcun ordine nella pronuncia delle parole: i tentativi dei fisici di comprendere la mentalità scientifica aliena hanno per lungo tempo insuccesso. Il punto di svolta avviene con l’enunciazione del principio di Fermat, secondo il quale la luce viaggia minimizzando il tempo di percorso, che gli alieni dimostrano di comprendere immediatamente; si scopre così che la fisica aliena è basata su principi variazionali, che traducono una logica finalistica, teleologica della realtà (se il raggio di luce sceglie la via più breve, sa già dove dovrà arrivare) al contrario dei principi basilari della fisica umana, incentrata sull’idea di sequenzialità e di causalità. Louise capisce che questi concetti trovano esatta corrispondenza nelle caratteristiche della loro lingua scritta: per gli Eptapodi la sequenza degli avvenimenti non ha alcuna importanza, essi percepiscono passato e futuro come un tutt’uno. La protagonista – dopo la partenza improvvisa degli alieni enigmatica come il loro arrivo – assume questa visione del mondo progredendo nello studio della lingua Eptapode e la sera in cui sta per essere concepita sua figlia ricorda il suo futuro e quello della bambina, tutta la breve vita di lei, dall’infanzia alla laurea fino alla sua tragica morte nel corso di una scalata e accetta la necessità di tutto quanto è accaduto/avverrà come naturale. Il film, per quanto notevole, ha cambiato moltiaspetti del racconto, banalizzato il rapporto ineffabile con gli Eptapodi e ribaltato il determinismo filosofico del finale, qui Louise, pur vedendo il futuro (e questo le permetterà di risolvere una crisi militare intervenendo sul passato: quindi il corso è modificabile) accetterà lo stesso liberamente di avere una figlia che morirà ancora bambina per una malattia genetica e non in un incidente. “Settantadue lettere” delinea un mondo in cui il paradigma scientifico è basato sulla nomenclatura, una scienza, nata dalla Cabala ebraica, che studia i nomi, formati dalle 72 lettere gematriche. L’universo fisico e l’universo lessicale sono speculari e ogni oggetto possiede dei nomi di potenza che ne attivano le potenzialità: i nomenclatori studiano le varie permutazioni che possono portare alla costruzione di nuovi nomi in grado, tra l’altro, di animare golem cui far svolgere compiti faticosi; inoltre la riproduzione umana avviene seguendo la teoria paracelsiana dell’homunculus, secondo la quale ogni individuo sarebbe il risultato dello sviluppo di una sorta di modellino in miniatura contenuto nello spermatozoo. “L’evoluzione della scienza umana”, ha l’apparenza di un articolo di divulgazione scientifica che riassume l’avvento dei metaumani, individui geneticamente modificati prima della nascita per avere un’intelligenza superiore. La scienza umana ha dovuto così modificare se stessa per poter sopravvivere alla “concorrenza” della ricerca metaumana, trasformandosi in ermeneutica concentrata sull’interpretazione dei lavori scientifici meta umani, con la speranza di trovare una terapia genetica che permetta un contatto effettivo tra umani e metaumani. “L’inferno è l’assenza di Dio” è la risposta – ancora più pessimistica – di Chiang al Libro di Giobbe. Nel mondo del racconto, Dio si rivela ogni giorno per mezzo delle epifanie, terrificanti e spesso catastrofiche, dei suoi angeli, e l’Inferno stesso può rendersi temporaneamente, visibile sotto i piedi di tutti: qui la vita ricalca esattamente la vita normale sulla terra ma priva di ogni segno della presenza divina; le anime “ascese” invece scompaiono del tutto dalla vista di mortali e dannati. “Amare ciò che si vede: un documentario” è invece una riflessione sul politicamente corretto e sul consumismo dell’estetica. Gli studenti di una prestigiosa università statunitense devono votare se rendere obbligatoria per l’accesso ai corsi la calliagnosia, ovvero un intervento sul cervello che rende una persona indifferente alla bellezza dei tratti somatici altrui liberandola dal condizionamento che rende certi individui preferibili ad altri.
La lotta mediatica pro o contro il provvedimento sarà combattuta fra gli interessati esponenti della pubblicità e dell’industria cosmetica e quelli dell’associazione egualitaria Studenti per la Parità Totale. Respiro, la raccolta più recente, contiene invece racconti pubblicati fra il 2006 e il 2019. “Il mercante e il portale dell’alchimista” è un’appendice alle Mille e una notte in cui si descrive un portale capace di trasportare chi lo attraversa venti anni nel futuro o nel passato. L’alchimista inventore racconta – secondo la struttura classica della narrazione a scatole cinesi – di tre diversi viaggiatori che lo hanno utilizzato, e di come la loro conoscenza del passato o del futuro ha influenzato le loro decisioni. Come in Storia della tua vita, la prospettiva è deterministica, il libero arbitrio non esiste, gli eventi scoperti dai viaggiatori nel tempo non sono modificabili perché sono già avvenuti e ciò che sperimentiamo come flusso temporale è solo un eterno presente in prospettiva cosmica (la percezione simultanea degli Eptapodi di Arrival), il viaggio però non è inutile perché aiuta a comprendere meglio e ad accettare la necessità di ciò che accade. “Respiro” sviluppa l’intuizione del famoso racconto “La formica elettrica” di Philip K. Dick, in cui l’inconsapevole protagonista si rende conto di essere un robot rivelando, sotto la propria pelle, l’organismo meccanico che lo compone; qui si dà il resoconto di uno scienziato appartenente a una civiltà di creature sintetiche alimentate ad argon che, dissezionandosi da solo, scopre il funzionamento del cervello della propria specie, e come l’energia emanata dalla vita individuale delle creature contribuisca ad aumentare il tasso di entropia dell’universo accelerandone la fine. “Cosa ci si aspetta da noi”,descrive l’invenzione e la diffusione di un piccolo apparecchio chiamato Oracolo, dotato di una luce che si accende cinque secondi prima che venga premuto il pulsante di accensione. Ll’apparentemente banale gioco dimostra però la natura deterministica del reale e l’impossibilità del libero arbitrio, conducendo chi lo utilizza alla mancanza di senso e alla pazzia. Il ciclo di vita degli oggetti software, il testo più lungo che Chiang abbia scritto e pubblicato in veste autonoma in Italia dalla Delos Books, racconta l’origine e la crescita nel corso di decenni dei digienti – la traduzione italiana di digients (digital entities) – intelligenze artificiali confinate in uno spazio virtuale su varie piattaforme informatiche matrasferibili temporaneamente nel mondo reale grazie a corpi robotici. I temi messi in campo da questo straordinario romanzo breve sono così tanti che posso solo accennarne alcuni: il rapporto fra intelligenze umane e intelligenze artificiali; la responsabilità etica che lega il creatore alla creatura; il rapido, talvolta forsennato, ciclo di obsolescenza dei prodotti informatici (che Chiang vede da tecnico del settore); il processo di apprendimento e di crescita che porta un semplice softwarea diventare qualcosa di diverso, un essere dotato di autocoscienza e capace di scegliere: come sostiene una frase chiave, “Ogni qualità che rende una persona più preziosa di un database è il prodotto dell’esperienza”. “Il brevetto della Tata automatica di Dacey” è invece un più ironico tuffo nello steampunk. Un matematico vittoriano, Reginald Dacey, mette a punto e commercializza il marchingegno della balia meccanica, che, in accordo con le discutibili teorie pedagogiche dell’epoca, sostituisce i genitori nella crescita dei figli. Le conseguenze sono inaspettate. “La verità del fatto, la verità della sensazione” ipotizza una tecnologia di registrazione continua a disposizione di tutti, che permetta di attivare una memoria totale e assolutamente oggettiva. Grazie a essa il protagonista ottiene la prova incontrovertibile che il rapporto deteriorato con sua figlia è stato causato da lui e non, come i ricordi alterati che ha di sé stesso lo hanno indotto fino a quel momento a credere, da lei. A questa vicenda si contrappone in montaggio alternato, quella di un ragazzo della tribù Tiv (una popolazione della Nigeria e del Camerun), che dopo il contatto con i primi europei impara a leggere e scrivere acquisendo il concetto di verità oggettiva opposta a quella soggettiva praticata dagli anziani della tribù. La tecnologia modifica comunque i processi cognitivi. “Il grande silenzio” è un racconto davvero commovente che mette a confronto la ricerca di segnali di intelligenza extraterrestre nello spazio da parte dei radioastronomi e il mancato contatto con possibili intelligenze non-umane che già abitano sul nostro pianeta. La storia è raccontata in prima persona proprio da una di queste intelligenze, terrestri eppure aliene: un pappagallo cenerino, specie in estinzione. Omphalos è ambientato in un mondo in cui le teorie dei fondamentalisti della Bible Belt sono vere ed esistono prove fossili tangibili della Creazione compiuta da Dio non più di ottomila anni prima. Una paleontologa, confrontandosi con la scoperta sconvolgente che lo scopo di Dio potrebbe probabilmente essere diverso da quello descritto nella Bibbia, arriverà a mettere in dubbio la sua fede e sceglierà di essere atea pur avendo le prove che Dio esiste. “L’angoscia è la vertigine della libertà” riprende il tema del libero arbitrio in maniera ancora più diretta e profonda. Partendo dal paradosso quantistico del gatto di Schrödinger, Chiang immagina un apparecchio chiamato Prisma in grado di aprire la scatola del gatto in contemporanea su due piani diversi. Ogni volta che viene attivato un Prisma si genera una realtà alternativa, che differisce in partenza da quella originaria solo per il fatto che se da una parte il Prisma ha acceso una luce rossa, dall’altra parte ne ha accesa una blu; l’infinitesima differenza iniziale si spalanca in ben più ampi divari nel corso degli anni, ma è possibile mantenersi in comunicazione con il proprio parasé della realtà alternativa apprendendo tutte le variazioni che quella minima differenza iniziale ha portato nella propria vita e c’è chi invidia la propria versione alternativa, ritenuta più fortunata o più meritevole. Torna il problema del determinismo: il futuro dipende davvero dalle nostre scelte o il destino è determinato solo da fattori esterni e incontrollabili, come una luce rossa o blu? La risposta di Chiang questa volta è meno categorica, ma non la anticipiamo per non rovinare al lettore il piacere, anche filosofico, della scoperta.
Questo è tutto: poche opere ma profondamente significative, come queste ingenerose sinossi dovrebbero aver lasciato trasparire. Alcuni critici – non molti in verità – hanno sostenuto che Ted Chiang non sia uno scrittore professionista ma un dilettante di grande ingegno, che le sue idee siano sempre ottime, ma che lo stile e le capacità espressive con cui le argomenta siano troppo neutre e nel peggiore dei casi anodine. Niente di più falso: l’esattezza, il nitore, la semplicità, la ripulsa dai facili effetti o dalle retoriche prorompenti, l’aggettivazione controllata, lo pongono invece fra i più consapevoli artefici di uno stile volutamente conciso e dimesso, consono alle necessità di un’intelligenza scientifica prestata alla letteratura. Se credete ancora nell’importanza intellettuale, teoretica, speculativa dell’immaginazione letteraria a base scientifica che volgarmente chiamiamo, con eccessiva approssimazione, fantascienza, leggete Ted Chiang: non resterete delusi.