Letture illegali

Tibor Fischer, La Gang del pensiero, tr. Marzia Luppi Cortaldo, Marcos y Marcos, pp. 464, euro 19,00 stampa

Origini ungheresi e natali londinesi, Tibor Fischer, con il suo The Thought Gang (1994, Garzanti 1998), è una gradita riscoperta. Meglio ancora: un sulfureo ed esilarante repêchage. A tutt’oggi il Nostro vanta sei romanzi all’attivo: il primo è Sotto il culo della rana (1992, Mondadori 1997), l’ultimo Good to be God, pubblicato nel 2008 ma mai tradotto in Italia. Da una decade all’altra escono, con alterne fortune di critica e pubblico, Il collezionista (1997, Mondadori 1999), la raccolta di racconti Adoro essere uccisa (2000, Fazi 2003) e Viaggio al termine di una stanza (2003, Mondadori 2006). Quest’ultimo, ahimè, deludente espressione di una fase calante, di una vena narrativa non più all’altezza di quell’aurea opera seconda, La Gang del pensiero, capolavoro assoluto di uno scrittore poco più che trentenne, allora scopertosi ineguagliabile maître à penser del rififi. O, più precisamente, dell’arte di rapinare banche.

“Nell’ambito delle attività illegali che comportano lunghe detenzioni, la rapina in banca sembra abbastanza innocua. Le banche hanno più soldi del necessario (…) e tutti odiano a) le banche e b) i banchieri” è l’irrefutabile teoria di Eddie Coffin, filosofo oxfordiano sovrappeso e dal micidiale curriculum vitae. In fuga da Londra a Parigi, con un passaporto falso e l’etilismo sfrenato del santo bevitore di Chablis, vuole il caso più che la premeditazione – come talvolta accade nei cosiddetti heist movies o negli annali del crimine – che, quando meno te lo aspetti, un ladro bussa alla tua porta (d’albergo). Madames et messieurs, voilà Hubert: “un criminale di bassa statura, ma con una lunga carriera penale. Forte in scalogna, debole in anatomia funzionante”. Carente di una gamba, un braccio e un occhio, Hubert ha, però, tutte le carte in regola per diventare il discepolo ideale del Montaigne del colpo grosso, il complice scaltro di un rapinatore senza un piano (di fuga). Ovvero, la famigerata e inacciuffata Gang del pensiero. Folie à deux? Giudicate voi.

“Non mi sognerei mai di usare una pistola carica per una rapina in banca – potrebbe partire un colpo. Siamo filosofi, non criminali” confessa Hubert al suo socio. “Le rapine in banca, se effettuate con filosofia, non fanno male a nessuno. (…) Come l’acqua, il denaro è intrappolato in un ciclo, si sposta di banca in banca. Noi gli facciamo prendere un po’ d’aria” è l’azzeccata giustificazione di Eddie.

Così, da Parigi a Tolone, passando per Bordeaux (“il regno di Montaigne”), Bandol, Marsiglia, fino a Montpellier e ritorno – giusto per suggellare in grande stile un’improvvisata nonché fruttuosa carriera – la strana coppia di anacronistici ribaldi inanella una rapina via l’altra con patafisica nonchalance. Consci che a pagare, letteralmente, più che il leggendario stoicismo dei criminali da série noire sia la scelleratezza epicurea di chi, come Eddie e Hubert, trova più saggio depistare la police entrando in un buon ristorante che darsela a gambe per le vie della città. Rapinare stanca.

Prima di sparire in buen retiro con la conturbante Jocelyne (la sola femmina che abbia mai amato la sua adiposa genialità), Eddie Coffin ci lascia a meditare sulla bizzarra autobiografia che è The Thought Gang, densa, al pari di un ispirato saggio filosofico, di massime immortali, arcani neologismi che iniziano con la lettera zeta (utilissimo, a tale proposito, il glossario in appendice al libro) e ponderate umoristiche riflessioni sul senso della vita e del denaro. Genio incompreso o cattivo maestro? Decidete voi.