Irrispettoso, irriverente, irritante e impertinente, questi sono gli aggettivi che mi sono venuti in mente a fine lettura di Bianco: non è una sorpresa per un autore che ha sempre scatenato, negli ultimi trent’anni, sentimenti ambivalenti con i suoi romanzi. Dopo il suo successo del 1991 con American Psicho, dopo i suoi romanzi di esordio Meno di Zero (ora Einaudi, 2017) e Le regole dell’attrazione (ora Einaudi, 2016), ha subito diviso pubblico e critica: acclamato da molti che vedevano in lui lo scrittore che avrebbe cambiato la letteratura americana, accusato da altri di usare violenza gratuita solo per scopi commerciali. È fuori discussione, comunque, che l’entrata in scena di Bret Easton Ellis è stata dirompente e il suo tentativo di scardinare le regole e i paletti della narrativa sempre evidenti.
Bianco è un testo tra autobiografia e satira sociale che sorprende perché molto punti di vista sono rovesciati: Ellis comincia a raccontarsi attraverso le trame dei film visti in gioventù e la musica che ascoltava che hanno influenzato il suo modo di essere e intendere il narrare, poi si scaglia contro chi usa i social per ottenere consenso evitando di esprimere critiche per paura dei giustizieri da tastiera, critica i media per il loro atteggiamento consolatorio e indulgente verso i gay che fanno coming out – lui si è sempre dichiarato omosessuale –, disapprova i suoi amici e conoscenti privilegiati – bianchi, maschi e ricchi, categoria in cui include lui stesso –, che hanno accolto l’elezione di Trump come un evento catastrofico. Ma sono proprio i sostenitori della Clinton, afferma, a essere razzisti evitando di confrontarsi e spesso addirittura di frequentare chi non la pensa come loro, smentendo nei fatti i loro presunti principi di solidarietà, accoglienza e confronto. Ne ha anche per i millenials, i nativi digitali, che per colpa di genitori iperprotettivi, che li hanno cresciuti in una realtà a loro misura, oggi sono incapaci di affrontare la vita e il mondo del lavoro.
Si può essere più o meno d’accordo, ma indubbiamente il libro offre molti spunti di riflessione sulla società contemporanea messa a nudo da uno scrittore anticonformista che evita qualsiasi tipo di filtro, senza paura di essere giudicato. Ellis non riesce a perdonare l’ipocrisia, l’essere politically correct a ogni costo, il moralismo – e non l’etica –, che ci porta sempre a non criticare le opinioni altri ed evitare giudizi estetici non meno che lusinghieri: odia il buon senso che ci porta a lasciare da parte il nostro senso critico.
Il testo è debordante, viaggia a mille con pochi momenti di stasi, la cultura di Ellis è inesauribile e i suoi riferimenti sempre precisi. Due scelte però non sono all’altezza del resto: la prima è che spesso l’autore è troppo autoreferenziale e cita personaggi sconosciuti al lettore senza dare informazioni su chi effettivamente siano, il secondo è che a volte descrive gli attacchi a cui è stato sottoposto sui social senza spiegare da dove abbiano avuto origine. Per Ellis, scrittore maschio, bianco e ricco forse sono un dettaglio, probabilmente per il lettore un po’ meno.