I pensieri intorno alla famiglia, in certe epoche, coinvolgono le faccende della poesia e della letteratura in generale. Qualcosa che somiglia a certi filtri nostalgici che portano, proprio al centro, l’inevitabilità di rapportarsi alle genealogie private e infine pubbliche. Così le storie si intrecciano, e pagine di libri diversi si accomodano per bene su divani e scrivanie.
Bernardo Bertolucci (lo riporta Alberto Arbasino in uno scritto di Ritratti italiani (Adelphi, 2014)) afferma che il suo film Novecento è innanzitutto un omaggio al padre Attilio “che sta scrivendo il suo grande romanzo familiare in versi”. Il film è del 1976, e il primo libro della Camera da letto (Garzanti, 2000) viene pubblicato nel 1984. I riferimenti al volume che raccoglie la corrispondenza fra Attilio Bertolucci e Roberto Tassi sono molteplici e nutrono i pensieri che si diceva, per vie ricche e fertili di storia e ricordo, critica letteraria e artistica, ricchezze familiari e vicende che dall’ambito regionale si allargano a tutta una nazione.
Tra due città, curato felicemente da Elisa Donzelli, è un libro vitale e lodevole non soltanto perché restituisce alla luce odierna l’amicizia umana e letteraria di due menti a cui l’Italia deve molto, ma perché consegna agli attuali nipotini (non sempre degni di questo nome) la civiltà di un’epoca ormai scomparsa, quando per fondare una rivista, e costruirla, era necessario possedere grandi doti critiche, e passione, e capacità d’intrattenere rapporti serrati con vicendevole rispetto. Il carteggio per decenni è improntato a un’invidiabile affettuosità non scevra di giudizi decisi, e lucidità critica sui lavori inviati da collaboratori che si chiamano, è il caso di sottolinearlo, Gadda, Carlo Cassola, Alberto Moravia, Enzo Siciliano, Cristina Campo, Paolo Volponi, Giovanni Testori, Giuseppe Ungaretti, e così via. La rivista in questione, Palatina (che si accosta alla sorella maggiore Paragone), dedica articoli e saggi su arte, musica e cinema e si discute su artisti come Ennio Morlotti, Carlo Mattioli, Mino Maccari, Gustave Courbet, Édouard Manet, e anche Graham Vivian Sutherland, Edward Hopper, Max Ernst, Mark Rothko.
Elisa Donzelli nell’introduzione traccia l’avvio e le sorti di un sodalizio durato a lungo: Bertolucci, nato nel 1911, è la figura del maestro nei confronti di Tassi, nato nel 1921, suo allievo al Convitto Maria Luigia dove il professore insegnava italiano e storia dell’arte. Le due discipline iniziano a intrecciarsi, attraverso Roberto Longhi (fondatore di Paragone) e Francesco Arcangeli, definiti maestri in un irripetibile scambio di prospettive intellettuali. L’amicizia e la corrispondenza epistolare iniziano nel 1951, quando Bertolucci si trasferisce a Roma dalla provincia di Parma. Queste due città saranno il centro decisivo dell’avventura editoriale stabilita fra il poeta e il critico d’arte (ma spesso i ruoli si alternano), con un gruppo fermamente intenzionato a “dare lustro alla civiltà parmense” ed esportare quella provincia nella contemporaneità. Nei primi anni successivi alla guerra il desiderio di scrittori, che sono anche artisti, di stringersi intorno a un progetto alternativo all’ermetismo e alla rinascita sociale è forte: Paragone ha grande influenza in quel panorama, ma Bertolucci vuole che Palatina si distingua e che possa controbattere all’accusa di un certo provincialismo. In questo senso valgono gli articoli e i saggi incentrati su artisti contemporanei d’avanguardia, senza fermarsi all’antica civiltà artistica Parmense (il Correggio, il Parmigianino, ecc.) la cui ricchezza è inequivocabile.
In Palatina vengono condotte ricerche lungo il versante dell’arte, cercando rigore e metodo nelle pagine di ottimi critici, con l’uso tutt’altro che occasionale, e sotto l’ala dello spirito del tempo, di prose e poesie che possono pensarsi come relais di una cultura volta a quella europea. Bertolucci è molto attento a queste congiunture culturali, ed è subito evidente, leggendo l’epistolario, quanto fermezza e amabilità verso Tassi (del tutto ricambiate) costituiscano l’alveo di un’esperienza ricca d’insegnamento. E istruttivo è, per il lettore contemporaneo, venire a conoscenza di una traversata culturale tesa a dipingere il tempo dell’arte e della scrittura nel corso dei secoli fino al Novecento. Mentre Bertolucci scrive i suoi capolavori, da Viaggio d’inverno (Garzanti, 1995) alla Camera da letto, e Tassi saggi e articoli sull’arte europea di rara profondità, l’avventura di Palatina avanza e si conclude senza che il sodalizio venga mai meno. Come suggerisce Donzelli, un libro come Tra due città evidenzia alle nuove generazioni la trasformazione poetica che ha segnato la seconda parte del Novecento italiano, unendo situazioni canoniche e d’avanguardia nel segno del tempo. Dove Marcel Proust e Gadda si scrutano, e Pier Paolo Pasolini resta in campo accanto alle traduzioni di Ungaretti di William Blake, e Rothko non si distanzia granché da i due Déjeuner sur l’herbe di Manet e Monet. “Di prati di Rothko si dovrebbe scrivere” afferma Bertolucci in una missiva del 1962. La scrittura, l’arte e il cinema sono sotto osservazione, mentre i due amici corrispondenti passeggiano nelle sale dei musei alla luce degli affreschi di Piero della Francesca. Nelle loro conversazioni, “fra due città”, i riferimenti sono molteplici e all’inizio del 1960 non dimenticano di chiedere a Gadda un pezzo sulla Dolce vita di Fellini, appena uscito nelle sale cinematografiche, dubbiosi di averlo alla svelta per riuscire a trascrivere la brutta copia in tempo utile.