Letizia Muratori / Mondi indivisi

Letizia Muratori, Una vita da donna, La nave di Teseo, pp. 188, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Letizia Muratori è una autrice a cui il romanzo, nei termini in cui lo s’intende, sta stretto, e dunque in ogni sua opera gli incroci stilistici e narrativi tendono a trovare indipendenze tematiche, e riescono nell’intento con rara capacità: il lettore conosce personaggi multiformi e interessanti, storie ondose divise in veri capitoli che piacciono per quanto sono esposti come filmati. Cinema per cui piace pagare avendone visione. L’esordio privilegia Doris Wishman, incantatrice della celluloide di pieno Novecento, prolifica regista di nudist film e generatrice di campi sexy per tutti coloro che vivevano (e vivono, ci si augura) in una geometria variabile. Muratori le dona voce nella nostra attualità, apre lettere e diari in cui salta fuori la materia eroica del cinema, quando i mezzi sono pochi e non si cede al ricatto del porno, e quando una bella scena può saltare fuori da un cespuglio inchiodando i cinefili nei propri romanticismi. Il trionfo dell’amore era verificabile in ogni sua sceneggiatura (tagli e spezzoni a velocità teppistica), ne erano pieni i titoli (Nude on the Moon, Bad Girls Go to Hell), ben più di quel che si vedeva durante la proiezione. Per la “peggior regista vivente” il lavorio dell’eternità, secondo Muratori, non mancò di portarla in orbita. Attorno al mondo dell’eroismo, va detto.

Altre figure più che amabili giungono nelle storie successive, una delle quali, Zoe, affronta la transizione già in là negli anni, capelli grigi e rughe poco più decise d’un tempo. Ragazza esistita per la maggior parte della vita come uomo, che approssima domande gentili in chi l’avvicina, alcune silenziose ma sempre riposte in un bel luogo dell’animo. L’amicizia s’incrocia profondamente con le questioni corporali, anche le più banali riguardanti peli e barba, ma quanta solidale domesticità si legge nelle pagine di Muratori, mentre non si cura se gradevolezza, istinto o seminario sulla conquista dell’essere siano assunti dal pubblico come veri, al netto dei pregiudizi che alcuni possano trattenere.

Il mondo è questo, della scrittrice e nostro, rimandato fra devozioni e disastri pandemici affioranti dal racconto, in evidenza i poteri della dialettica e il potere ben peggiore dell’essere estranei sui marciapiedi, sui treni liberati o meno dall’ostilità virale, dall’ostilità mentale. Al dunque ci piace sentirci, passanti o protagonisti, di queste storie con al centro cupe segregazioni e liberazioni bellissime, di più quest’ultime mentre il mondo tenta di digerirci non sappiamo se con maggior sadismo o indifferenza peptica. Corroborante giungere alla conclusione che Muratori abbia dipinto per noi la stessa “pietà celeste” che il suo ultimo personaggio, Lilia, dona alla sorella. L’edificio in cui tutti alberghiamo “protetti e governati”, e prima ancora schedati, da una classe impiegatizia angelica. Il paradiso? Forse.