Leonora Carrington: La musa riluttante

“Hai l’ingenuità di credere che il passato muoia?”
 “Sì”, disse Margaret.  “Se il presente gli taglia la gola”.
Leonora  Carrington

André Breton scrisse in Arcano 17 che la donna è la naturale “conduttrice di elettricità mentale”. Non è un caso dunque che i maggiori esempi di arte surrealista – i “maggiori” anche se non sempre i più noti – siano opera di donne. Artiste globali capaci di estendere la visione del mondo surrealista sia in campo letterario che figurativo, spesso contemporaneamente in entrambi. È il caso di Leonora Carrington, la cui opera narrativa Adelphi sta proponendo al lettore italiano già da parecchi anni. Lo stato femminile mentalmente elettrico ipotizzato da Breton però – pur attraverso l’irrazionale, l’occulto e il sogno – restava comunque, secondo Leonora, una banale proiezione del desiderio maschile in cui la donna era comunque relegata al ruolo di musa, femme fatale e oggetto erotico: “Essere una donna surrealista significava, per lo più, preparare la cena per gli uomini surrealisti” – dichiarò in aperta polemica col papa del surrealismo. Leonora non era tipo da accettare di buon grado simili posizioni ancillari. “Non mi sono mai considerata una musa. Ero stata rapita dal mio amante, tutto qui. …Così mi sono imbattuta nel Surrealismo. Non ho mai chiesto se avevo il diritto di entrarci o no”.

 

Nata a Lancaster nel 1917, figlia di un ricco industriale inglese, riceve una solida formazione accademica in istituzioni di prestigio: prima a Londra alla Chelsea School of Art e poi nel 1935 presso la neonata Accademia londinese del purista Amedée Ozanfant. Fanciulla ribelle in perenne rifiuto della famiglia altolocata, ultracattolica e conservatrice, viene definita “ineducabile” dagli insegnanti ed è guardata con sospetto fin da bambina dalle suore del convento di St. Mary ad Ascot, perché impara a scrivere con entrambe le mani ma preferisce la sinistra, scrivendo a rovescio. Viaggia in Irlanda, Italia, Francia, dove maturano le sue passioni e si radicano le sue fonti iconologiche: la spiritualità visionaria celtica e l’immaginario pittorico italiano (Paolo Uccello e la pittura del Rinascimento) e fiammingo (Hieronymus Bosch e Pieter Bruegel il Vecchio). A Parigi nel 1937 aderisce al surrealismo e incontra Max Ernst che lascia la moglie per lei: lui ha 46 anni, lei venti.

Il primo libro che rivela Leonora Carrington come scrittrice nel nostro paese è Down Below (1943), apparso in italiano col titolo di Giù in fondo, pubblicato da Adelphi nel 1979. Ambientato durante la seconda guerra mondiale, dopo l’arresto di Ernst da parte della Gestapo a Parigi, il libro è la cronaca dei cedimenti psichici di Leonora durante la sua fuga in Spagna, dove viene rinchiusa, col beneplacito dei genitori, in un istituto per malati mentali, e sottoposta a una terapia a base di Cardiazol, un pericoloso medicinale, in seguito messo al bando, che induceva spasmi convulsivi simili a quelli dell’elettroshock. Una sconvolgente discesa negli abissi di una psiche sconvolta che sembra incarnare le teorie bretoniane sull’amourfou e realizzare tragicamente la proclamazione di Nadja, “La bellezza sarà convulsiva o non sarà affatto”. Leonora riuscirà però a risollevarsi faticosamente grazie alla relazione con l’ambasciatore messicano Ernesto Le Duc che gli era stato presentato da Picasso a Parigi e che sarà la sua ancora di salvezza a Lisbona, quando, con un matrimonio di convenienza, la farà fuggire dal manicomio per raggiungere le Americhe.

A New York incontrerà di nuovo Ernst, che credeva perso per sempre, ora a fianco di Peggy Guggenheim, ma la coppia non si ricostituirà: dopo il divorzio da Le Duc diverrà la compagna di Chiki Weisz, il fotografo ungherese braccio destro di Robert Capa, ed Ernst si troverà una nuova femme-enfant, risposandosi con un’altra pittrice surrealista molto vicina per stile e tematiche sciamaniche a Leonora Carrington, la statunitense Dorothea Tanning (1910-2012). Leonora si stabilisce nella sua seconda e definitiva patria: il Messico, dove vivrà per quasi settanta anni dal 1939 alla sua morte nel 2011. Qui sperimenta in prima persona ciò che Frida Kahlo ripeteva ogni volta che si sentiva etichettare come surrealista: in Messico tutta la realtà è surrealtà (“Non sono mai stata surrealista. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”, Time Magazine, 1953). E proprio entro questa dialettica fra realismo onirico e allucinazione empirica si muove il secondo testo che Adelphi rende accessibile al pubblico italiano nel 1984, Il cornetto acustico (The Hearing Trumpet), scritto nel 1950 ma pubblicato solo nel 1976. Romanzo gotico apocalittico/matriarcale in cui una novantanovenne, Marion, riceve in regalo dalla sua amica Carmella (probabile rimando a Carmilla…) un cornetto acustico grazie al quale scopre che i suoi parenti vogliono mandarla in un ospizio. Qui le ospiti dormono in bungalow a forma di fungo, stivale, orologio a cucù e su tutto troneggia il ritratto di una monaca che strizza l’occhio, la Badessa Rosalinda Alvarez Cruz de la Cueva: l’ospizio è in realtà la “Confraternita del Pozzo di Luce”, scuola esoterica (un po’ in stile Gurdjieff), che fra riti iniziatici, templari e culti dedicati alla Triplice dea Ecate, recupererà il Sacro Graal causando una nuova Era glaciale e una palingenesi innescata dalla nascita di una cucciolata di licantropi.

Analogo bestiario ipnagogico composto di cavalli, iene, gatti, istrici e cinghiali totemici, trasla direttamente dai quadri di Leonora ai racconti inclusi nella raccolta più recente pubblicata nel 2018 da Adelphi con il titolo La debuttante (The Complete Stories of  Leonora Carrington), venticinque short stories a metà strada fra il gotico e la neo-ovidiana metamorfosi, la più nota delle quali fu inclusa da Breton nella sua Antologia dell’humour nero. L’immaginario alchemico e sciamanico di Leonora Carrington si ripresenta qui in tutta la sua potenza numinosa,attingendo a multiformi riferimenti simbolici e iconografici che spaziano dalle mitologie celtiche sulle fate del Tuatha Dé Danaan, alla Dea Bianca di Robert
Graves, dalla psicologia analitica junghiana, al folklore messicano azteco e soprattutto Maya. Anche ne Il latte dei sogni (The Milk of Dreams) – pubblicato ancora da Adelphi sempre nel 2018 nella collana dedicata ai bambini I cavoli a merenda – raccolta di brevi fiabe riccamente illustrate, la fantasmagoria totemica riaffiora sempre profondamente perturbante e gotica, sebbene l’opera fosse stata concepita per rassicurare i due figli piccoli, avuti con Weisz, spaventati dai quadri minacciosi visti nello studio della madre pittrice. Improbabile che questi raccontini crudeli a base di teste tagliate, mostri, avvoltoi e pezzettini di carne putrefatta abbiano raggiunto lo scopo previsto.

Per chi voglia approfondire la conoscenza di questa artista multiforme, anche al di là della sua opera narrativa, e collocarla nel contesto storico e sociologico nel quale si mosse e operò, saranno fondamentali due saggi pubblicati recentemente dall’editore Mimesis. La biografia di Giulia Ingarao Leonora Carrington, un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico (2014), che segue Leonora in tutte le fasi della sua vita e nelle sue relazioni con i personaggi e gli intellettuali più influenti da lei incontrati: tutto il gotha surrealista, gli scrittori Octavio Paz e Carlos Fuentes, il regista Luis Buñuel – che la ricorda nella sua autobiografia Mon dernier soupir, farsi una doccia completamente vestita, organizzare assurde sedute spiritiche in casa sua e cucinare stregonesche ricette del Sedicesimo secolo e che le affidò una piccola parte di attrice nel film L’angelo sterminatore  – fino al giovane Alejandro Jodorowsky al quale insegnò a leggere i Tarocchi dicendogli essenzialmente: “Il Tarocco è un camaleonte” e che la considererà una delle sue maestre spirituali (da parte sua Leonora dirà dell’allievo: “un uomo troppo autoreferenziale per i miei gusti”).

Infine sugli aspetti più attinenti alla pittura e al nucleo di donne surrealiste, femministe, stregoniche, talvolta con tendenze lesbiche o bisessuali, che si raccolse intorno alla sua figura carismatica, è essenziale la lettura del lungo studio di Alessandra Scappini, Il paesaggio totemico tra reale e immaginario. Nell’universo femminile di Leonora Carrington, Leonor Fini, KaySage, Dorothea Tanning, Remedios Varo (2017), sempre dell’editore Mimesis. Oltre a Leonora Carrington, la già citata Dorothea Tanning, entrambe legate a Max Ernst, e l’americana KaySage (1898-1963), moglie del pittore Yves Tanguy, il libro evidenzia le figure di altre due importanti artiste strettamente legate a LeonoraCarrington per affinità spirituale, artistica e umana: la catalana Remedios Varo (1908-1963), anche lei trapiantata in Messico, e l’italo-argentina, francese d’adozione, Leonor Fini (1907-1996). Accomunate
dall’avanguardia surrealista e dall’esilio, dalla fascinazione per il metamorfismo organico e la trasmutazione alchemica, dal totemismo sciamanico, da un eterno femminino vissuto in chiave matriarcale e androginica, rappresentano l’altra faccia del surrealismo dove il Minotauro cede il passo alla Grande Madre in un femminismo visionario ed ermetico. Libro da leggere tenendo sotto gli occhi le riproduzioni dei quadri delle artiste
(purtroppo non incluse nel volume). Per supplire alla mancanza, almeno per quanto riguarda Leonora Carrington, si consiglia il bellissimo volume illustrato di Susan L. Aberth Leonora Carrington, Surrealism, Alchemy and Art, Lund Humphries (2010).