È con tre veri e propri pezzi da novanta che s’inaugura la neonata collana di poesia “Capoversi”, per la casa editrice Bompiani: John Ashbery, tradotto da Damiano Abeni; Vladislav Chodasevič, tradotto da Caterina Graziadei; Nicanor Parra, tradotto da Matteo Lefèvre. La menzione dei traduttori non è peregrina: non lo è mai, ma in questo caso lo è ancor meno perché i traduttori sono, in tutti e tre i casi, attenti e capaci curatori delle opere in questione.
Nel caso di Nicanor Parra, Matteo Lefèvre si fa carico di una selezione di testi di uno dei più grandi poeti latinoamericani del ventesimo secolo. Uno degli attestati di stima più noti, del resto, è stato quello di Harold Bloom: citato nel paratesto di questo libro, dopo aver ricevuto uno spazio centrale anche nella pubblicazione di Ashbery (in funzione dell’aura canonizzante che reca con sé, inevitabilmente, l’autore del Canone occidentale), Bloom ha riconosciuto a Parra una miscela instabile di “irriverenza” e “umanità”.
Malgrado ciò, Parra, morto più che centenario nel 2018, non è mai stato accolto con la dovuta attenzione in Italia, come ricorda lo stesso Lefèvre nella sua godibile quanto precisa introduzione, sottolineando come l’autore, nel nostro Paese, sia “rimasto sostanzialmente una presenza oscura, quasi intangibile, a cui né una prima traduzione delle Antipoesie già nel 1974, nella “bianca” di Einaudi, né, in tempi più recenti, un’antologia di nicchia (Le montagne russe: poesie scelte, Medusa, 2008) hanno contribuito a restituire la giusta luce”. Le ragioni culturali di questa parziale omissione sono da ricercarsi nella stessa storia della poesia italiana del secondo Novecento, per seguire una successiva allusione del traduttore e curatore: in uno scenario conteso, almeno superficialmente, dalle scritture neoavanguardiste, da una parte, e dalla parola innamorata o, più tardi, “post-lirica”, dall’altra, Parra non ha mai potuto ambire a occupare uno spazio già designato. Forse, si potrebbe aggiungere, la sua produzione “antipoetica” – nel senso peculiare del termine che l’autore stesso gli ha conferito – potrebbe avvicinarsi a un certo gusto per l’aforisma e per il paradosso dell’ultimo Giorgio Caproni, ma il confronto, comunque, non è del tutto risolutivo… Quel che certo è che Parra non ha mai goduto di uno spazio già delimitato e riconoscibile neanche nella storia poetica cilena e del Sudamerica, conquistandosi soltanto con il tempo una fisionomia propria e irripetibile.
Detto questo, l’operazione editoriale con la quale Parra può essere finalmente letto in un’antologia italiana di circa quattrocento pagine (apribili anche in modo casuale: molto, di Parra, può funzionare come I-Ching poetico, e sicuramente non ai bassi livelli di occasionalità cool dei cosiddetti “Instagram poets”) si pone con ostentata autoconsapevolezza come pubblicazione definitiva con la quale fare i conti, se si vuol parlare di Parra nel nostro Paese. L’intervento traduttivo di Lefèvre è, in questo, all’altezza delle aspettative, sorprendendo anche là dove supera i limiti della corrispondenza formale e contenutistica e sceglie soluzioni più libere e creative, riproducendo – sono ancora parole, azzeccatissime, di Lefèvre – “il teatro di una spaccatura del corpo linguistico che mette continuamente in discussione la sua natura di esperienza, non approdando mai a una metodica univoca nel suo percorso né a dettami di poetica monolitici, trascendenti; né tantomeno flirta con alcuna ideologia predeterminata”.
Al lettore può restare solo la curiosità di approfondire anche altrove la conoscenza dell’opera di Parra – l’antologia non copre, per esempio, gli Artefactos (1972) e la linea più chiaramente verbovisiva del poeta cileno, del resto materialmente irriproducibile in un’antologia come questa, comprendente altre opere – ma il luogo dal quale ricominciare rimarrà, in ogni caso, L’ultimo spegne il luce. E come non essere indotti a questo viaggio leggendo questi versi (trovati aprendo a caso): “O componete una volta x tutte / L’enciclica della sopravvivenza cazzo / O mi toccherà comporla io stesso / Singhiozza a squarciagola / Vostro signore Gesù Cristo / D’Elqui / Domingo Zárate Vega / Alias l’ecofolle del Norte chico / Hurry up! / Eternità ce ne sono ma non molte // Il pianeta ormai non regge +” (Ultimatum).