Le razos erano sintetiche prefazioni, accluse ai codici antichi, che illustravano il contenuto e le “ragioni” di alcune liriche del trovatore e della trobairitz di turno. Strizzando l’occhio alle descrizioni provenzali, Dante metterà insieme le introduzioni in prosa che precedono i testi beatriceschi della Vita nuova in un’insuperata armonia dialogica. Un poeta come Lello Voce, legato a Nanni Balestrini, allo spoken word, alla spoken music e al poetry slam, raggiunge la radice stessa della nostra tradizione poetica per continuare a indagare il rapporto stratificato tra testo (textus, tessuto), esecuzione e riflessione sui modi del dire. Razos può, quindi, essere interpretato a doppio filo come “ragionamento” assorto – quasi à la Valéry dei Cahiers – di poetica e autentica poésie pure. Il libro è diviso, appunto, in diciassette razos (contrassegnate da una dizione cogitante, platonica) e “diciassette madrigali muti” che fungono ovviamente da contraltare alle parti speculative. Proviamo a fare un rapido confronto tra uno stralcio della seconda razo e il secondo madrigale.
“Questa poesia non contiene immagini. Potete controllare da soli. Per quanto la leggiate e la rileggiate non vi ritroverete una sola immagine. Questa poesia è composta da soli pensieri. Certo, anche i pensieri hanno un ritmo, come le immagini. Ma è un ritmo diverso. È come un gorgoglìo che balbetti. […] Una poesia senza immagini è fuori contesto. È invisibile: può essere solo ascoltata o letta. Nessuno può vedere una poesia senza immagini. Leggere una poesia non è la stessa cosa di vederla. Cioè essa può essere letta, ma non su una pagina […]”. “È dunque questa la contraddizione finale della / democrazia, queste voci chiocce, queste parole / senza senso, questi nomi senza cose? O questo // ansimare senza suono, questo sguardo mesto / su un vuoto troppo veloce, l’usura delle suole, / queste mani vuote e questo cielo senza stella // ne sono vendetta e volto? Quell’unico pensiero / che non era maschera e non credevamo vero?”.
Quale rapporto intertestuale può evidenziarsi? Be’, innanzitutto, è ancora evidente in Voce – con l’accorta operazione di centralità della razo e non del componimento vero e proprio – l’idea di “lateralità” proveniente dal Gruppo 93 e lo svuotamento ontico del post-avanguardismo avant-pop. Com’è detto in esergo all’ottavo brano, “la poesia è nata prima dei poeti”: la ricerca di Voce è allora “andamento” e “slogarsi” della “sintassi”, tessitura di un linguaggio non parlato dall’uomo, ma che parla l’uomo. La poesia, essendo fatta di soli pensieri, diviene nome senza cosa, è benjaminianamente abolito il legame simbolico della lingua santa, prelapsaria. Così, la presenza delle scienze matematiche, fisiche e informatiche, l’intuitivo legame con il network di artisti Fluxus, la paradossale prossimità con i temi medievali rendono Razos un’opera plurivoca, introiettata nel brivido dell’anonimato (“Senza titolo e senza autore. Senza passato e senza futuro. Senza protezione e senza canone. Senza armonia e senza cacofonia”), incredibilmente capace di affermare – nel pieno della via negationis e del prosciugamento – una strada di inedita fioritura: “Ma, quando si spegnerà la poesia, al lettore sembrerà che si spenga ed estingua il mondo”.