Gordiano Lupi, Davide Magnisi, Michele Bergantin, Il cinema dei fratelli Vanzina, Edizioni il Foglio, pp. 496, euro 20,00 stampa
Per gli appassionati di cinema la piccola ma agguerrita casa editrice di Gordiano Lupi, Edizioni il Foglio, è un imprescindibile punto di riferimento. L’originale catalogo offerto dedica alla settima arte ben tre collane: “Cinema”, “I film del Foglio” e la “La cineteca di Caino”. In quest’ultima, focalizzata sulle produzioni italiane e i B-movie, è uscito di recente il volume collettaneo Il cinema dei fratelli Vanzina.
Carlo ed Enrico Vanzina, figli del celebre cineasta Stefano Vanzina (in arte Steno), hanno confezionato in un quarantennio di attività ben 43 film, dall’esordio nel 1976 con Luna di miele in tre al primo dopo la scomparsa di Carlo, Natale a cinque stelle (2018). Si tratta di un corpus notevole, in cui compaiono autentici cult del comico (Arrivano i gatti, Eccezzziunale veramente, Sapore di mare, Vacanze di Natale, Yuppies), realizzato in un periodo di rivoluzionari mutamenti della società e del costume, e che dunque vale la pena di essere indagato e collocato criticamente nella storia recente del cinema italiano, con un approccio scevro di pregiudizi e di luoghi comuni, come si propongono gli autori. Sul cinema dei Vanzina permane un forte scetticismo, proiettato com’è nel seguire i paradigmi del più facile consumo popolare (farsa, sketch televisivo, volgarità, serialità). È d’altronde vero che, pur programmaticamente d’evasione e “nazionalpopolare”, esso è sempre calato nella realtà italiana, a molteplici livelli sociali. L’impressionante (in ogni senso) galleria di personaggi che lo popola ha attraversato per decenni la geografia e l’immaginario del paese; come nota Magnisi, quei personaggi sono assurti a veri e propri miti, e in quanto tali svolgono una funzione rituale: “un’intera collettività nazionale vi si riflette, vi trova aspirazioni comuni, è capace di amalgamarsi intorno al piacere condiviso di identificarsi in un insieme di valori condivisi”. La qualità di questi valori ovviamente è tutt’altro discorso, ma questo aspetto, unito alla caratteristica dei Vanzina di essere fabbricatori e valorizzatori di comici di successo, al caso mediatico rappresentato dai “cinepanettoni” che divertono il pubblico e sconcertano la critica, alla partecipazione generazionale di alcuni loro film iconici, all’importanza produttiva che quei lavori rappresentano per il mondo del cinema italiano, giustifica il tentativo critico proposto da questo libro, che, pur con qualche ridondanza strutturale, si pone quale contributo alla storia cinematografica recente e gustosa miniera aneddotica.
La prima parte del volume, curata da Lupi, propone una “filmografia ragionata e commentata”, a cui seguono una filmografia sintetica e un interessante capitolo su “I Vanzina e la commedia all’italiana”, dove si traccia una definizione del genere e se ne abbozza una genealogia. La sezione si chiude con le sezioni “Tutte le pellicole”, schede che uniscono la parte tecnica e aneddotica a quella critica, e “Appunti sui Vanzina televisivi”, elemento questo imprescindibile per inquadrarne in modo completo l’attività artistica. La massa di notizie e di curiosità presentate è invero notevole e piena di chicche, e si unisce al tentativo critico di posizionare il cinema dei Vanzina nel prestigioso filone della commedia all’italiana, del quale sarebbe una sorta di propaggine, un ulteriore (per alcuni deteriore) sviluppo, comunque specchio dei tempi in cui è stato realizzato.
Tra le caratteristiche del cinema dei Vanzina si rileva la tendenza a una certa coralità dei protagonisti e alla frammentarietà delle storie narrate, il citazionismo, la capacità di inventare sottogeneri cinematografici (come il comico-vacanziero, inaugurato da Vacanze di Natale, 1983, capostipite di un’infinita serie coronata dal successo commerciale e “inquadrabile nella commedia all’italiana di stampo classico”), il desiderio di confrontarsi o rendere omaggio a generi diversi (thriller, poliziesco con risvolti sociali, ritratto sociologico, road movie, barzelletta movie, postatomico, ecc.). Lupi considera il cinema dei Vanzina – in particolare quello prodotto negli anni ’80 – come innovativo, un lavoro che “pur ponendosi in una posizione di continuità con la commedia all’italiana di stampo classico, si è affermato per la rottura con la tradizione”. Tuttavia, è inopinabile che la comicità di cui è intessuto sia di grana grossa, la sua visione della realtà “è semplificata e monodimensionale”, e dunque da quasi tutti questi film “possiamo attenderci solo divertimento puro a base di trovate televisive”. In definitiva, i Vanzina “restano fondamentalmente autori di commedie”, e rappresentano un’occasione perduta, poiché “avrebbero potuto essere i nuovi fustigatori dei costumi italiani, se solo avessero abbandonato il commerciale senza limiti, la pellicola facile che non scontenta nessuno”.
Nella seconda parte, “Saggi critici e interviste”, Davide Magnisi presenta una classificazione del genere commedia, di cui traccia una breve storia. Anche lui considera i Vanzina come eredi della grande commedia italiana, pur se il confronto con quella gloriosa tradizione è impari, per l’enorme diversità socio-culturale tra i rispettivi periodi e di qualità artistica dei protagonisti. La commedia all’italiana dei padri, con l’intreccio tra comico e tragico, l’impasto fra temi politico-sociali e privati, drammaticamente analizzati e amaramente risolti nel sorriso, “cede il posto all’immediata e apparentemente facile registrazione di un paese consumista e griffato, dominato dal rampantismo e dall’arrivismo, soprattutto dalla volgarità, da un’ignoranza spesso mascherata di buoni sentimenti”. In fondo, conclude l’autore, il cinema dei Vanzina “finisce con il rappresentare l’Italia non tanto nella sua realtà, quanto nell’immagine che ha di sé”, indicando “la superficialità e la mancanza di valori etici culturali” di un paese “che ha finito per prendere quei loro film a modello da imitare”.
Feconde riflessioni sono poi dedicate all’elemento tematico della nostalgia, inquadrato in un più ampio discorso sociologico, per cui essa da impulso personale si sarebbe trasformata in impulso generazionale. La nostalgia sarebbe dunque “la più importante e significativa cifra interpretativa e stilistica” del cinema dei Vanzina, i cui film, “programmaticamente nostalgici”, configurano i loro autori come “ineguagliabili cantori di mezzo secolo d’Italia, con quel loro tocco di sentimentale malinconia che li distingue dagli epigoni seriali”. In quest’ottica è rappresentativo Sapore di mare, un film dove convergono filone giovanilista e filone nostalgico e “che inaugurò ufficialmente quel ritmo della nostalgia nella regola dell’evocazione di vent’anni prima, iniziando anche una mitizzazione degli anni ’60 che non avrà mai fine”. Siamo però davanti ad un recupero del passato “che scarta completamente la storia e la mette al servizio di una nostalgia generazionale di un tempo del disimpegno”. Alla sezione critica, condotta con solida metodologia, Magnisi affianca una serie di interessanti interviste, a cominciare da quella ad Enrico Vanzina.
La terza parte, curata da Michele Bergantin, documenta alcune “curiosità vanziniane”, una miscellanea di aneddoti relativi alla lavorazione dei film, rielaborate sulla base di ricerche effettuate da Enrico Tamburini e Susanna Fontana (ideatori e conduttori della rubrica cinematografica di Iris Scuola di cult), nonché ulteriori interviste ad attori, registi, sceneggiatori, produttori, critici cinematografici, docenti universitari, le cui testimonianze, Insieme ad un suggestivo apparato iconografico con numerose fotografie di scena e un’utile bibliografia, rappresentano la chiusa di un lavoro critico e di raccolta orale davvero ben fatto.