Due ragazzi innamorati delle poesie friulane di Pasolini, verso la fine degli anni ottanta, decidono di andare a visitare il piccolo borgo di Versuta, nel comune di Casarsa della Delizia. Un viaggio difficoltoso, con molti cambi, su vecchi treni locali che si fermavano continuamente presso piccolissime stazioni che oggi non esistono più. Scomparse assieme alle cabine a gettoni, nel bar del paese, da cui chiamavo gli amici artisti e poeti per non essere disturbato; con le lettere vergate a mano, che portavano via giorni per trovare la parola più perfetta da donare agli amici; lo stupore di trovare nella cassetta della posta le cartoline di auguri con le calligrafie di Loi, Zanzotto, Biamonti. Un tempo sospeso, che ancora ignorava l’ossessione di feedback immediati.
Arrivati in stazione, la prima sorpresa: non c’erano mezzi per raggiungere quella località sperduta in mezzo ai campi. Dalla mappa a disposizione, con pochi dettagli, ci eravamo fatti l’idea che questa località si trovasse molto più vicino a Casarsa. Così fummo costretti a fare una lunga passeggiata, per buona parte camminando su una strada asfaltata senza marciapiedi, che ci portò via una quarantina di minuti. Ricordo che il paesaggio che ci trovammo di fronte, a parte qualche incantevole scorcio, ci deluse molto. Si faceva molta fatica a confrontarlo con quello cantato nei versi pasoliniani. In quel tempo in Friuli non era ancora iniziato il movimento di recupero dell’architettura rurale e del paesaggio agreste, promosso da nuovi architetti e da una maggiore consapevolezza del nostro patrimonio culturale, che per fortuna, in questi ultimi decenni, ha restituito al loro originario splendore molti edifici antichi delle nostre zone. Si respirava un’aria straniante, di un mondo che sembrava voler prendere le distanze dalle sue millenarie e forti radici per sostituirle con i falsi miti che dagli schermi televisivi, ad ogni ora del giorno e della notte, stavano iniziando ad invadere le nostre case.
Un luogo isolato in aperta campagna, come si diceva, Versuta. Qui il poeta con sua madre Susanna Colussi nell’ottobre 1944, per il pericolo dei bombardamenti che minacciavano Casarsa, sfollarono dalla loro casa storica di famiglia a Casarsa (oggi sede del Centro Studi PPP) trovando ospitalità dalla famiglia di Ernesta Bazzana e, in seguito, della famiglia Cicuto. Tra queste case si erge l’antica Chiesa di Sant’Antonio Abate, con un bellissimo ciclo di affreschi che proprio Pasolini assieme al pittore Federico de Rocco, aiutato dai ragazzi di Casarsa, cominciò a pulire e restaurare. Da segnalare anche il “Ciasèl” [Casello], un piccolo edificio adibito a ricovero attrezzi, in mezzo al prato della famiglia Spagnol non lontano dalle acque fresche e correnti della roggia Versa. Un luogo, diventato mitico per i lettori più affezionati di questo autore, dove Pasolini era solito ritrovarsi con i suoi allievi durante la bella stagione proponendo una didattica innovativa, dove molto spazio era dedicato alla scoperta dei grandi poeti di ogni tempo e nazione. Come ci ricorda il portale www.pasolinifriuli.it (che nasce dal desiderio di promuovere i luoghi legati alla stagione friulana di Pier Paolo Pasolini, paesi e borghi tra le sponde del Tagliamento e i bastioni delle alpi in un nord-est periferico dalla lingua romanza) “attualmente il casello, che è proprietà privata ed è ombreggiato da uno solo dei due pini che si ergevano al tempo di Pasolini, si trova in stato precario e necessiterebbe di urgenti interventi di recupero”.
Al centro della piazzetta di Versuta, accanto alla Chiesa, si trova ancora la fontana a due bocche d’acqua, al tempo della nostra visita in abbandono e oggi restaurata, protagonista della memorabile poesia che inaugura la sua prima raccolta in friulano.
Dedica
Fontana di aga dal me país.
A no è aga pí fres-cia che tal me país.
Fontana di rustic amòur.
Dedica
Fontana d’acqua del mio paese.
Non c’è acqua più fresca che nel mio paese.
Fontana di rustico amore.
Dopo tanti anni sono ritornato a Versuta il 19 luglio del 2020, assieme al fotografo Dino Ignani, autore noto per le sue splendide foto di poeti, che aveva espresso il desiderio di visitare questi luoghi. Nella risistemazione del luogo si è persa un po’ quell’aura degli antichi borghi rurali friulani, dove alcuni fienili, riccamente decorati, potevano essere scambiati per chiese e alcune disadorne chiese per casolari sperduti nella campagna, dove il canto solenne patriarchino veniva attraversato dai muggiti che arrivavano dalle stalle, in una selvatica rustica mescolanza di sacro e profano.
Qualche giorno fa, mettendo a posto degli scatoloni pieni di miei scritti giovanili, ho ritrovato alcune pagine scritte a caldo subito dopo quel nostro pellegrinaggio nei luoghi dove sono sbocciate, bagnate dalle rugiade di tempi perduti, le sue struggenti indimenticabili fioriture romanze.
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Dal diario
“Difficile, quasi impossibile riuscire ad immaginare che fra queste grigie strade corressero limpide rogge nel remoto chiarore di questo cielo di marzo un tempo, si perdessero esili fili di fumo dai camini anneriti, i vaporosi fiati dei buoi legati ai carri carichi di legna e fieno. Intanto i clacson delle macchine ci avvertono che siamo troppo in fuori, sulla carreggiata, e dobbiamo spostarci sull’erba per lasciarle passare. Quello che, nelle nostre intenzioni, doveva essere una sorta di silenzioso e improvvisato pellegrinaggio nei luoghi ove alcune tra le più belle poesie di questo secolo sono state scritte, rischia così di trasformarsi nell’amara, quasi ovvia del resto, constatazione che il passaggio del cosiddetto progresso, benessere, si misura soltanto dal grado di deturpamento del paesaggio.
Una volta giunti a Versuta, fortunatamente, incontriamo un’anziana signora, Ernesta, che, durante il periodo dei bombardamenti, aveva ospitato a casa sua i Pasolini. L’aspetto è quello di una contadina di un tempo, con il grembiule legato alla vita, sopra il vestito scuro, e il fazzoletto in testa. Dimesso, umile ma piacevole in fondo, forse proprio perché privo d’ogni superfluo abbellimento. Ciò che mi ha più sorpreso e affascinato, però, è il friulano di queste parti, un friulano che non avevo mai sentito prima. È, questa, una parlata dolce, molto musicale; e non ci si capacita di come da un mondo rurale, tormentato dalla fatica e dal bisogno, sia potuto fiorire questo linguaggio così lirico, profumato, evocativo. Le cose che ci consiglia di vedere sono poche: Il boschetto alla cui ombra, nelle giornate d’afa, si sedeva con i suoi allievi a leggere; la fontana ormai senz’acqua di cui parla nella famosa Dedica; infine una minuscola costruzione diroccata invasa dai rifiuti (chiamata “Ciasèl”) dove di solito teneva lezione agli studenti del posto durante la guerra.
Abbiamo poi parlato a lungo con lei, che impiegando il veneto talvolta, per farsi meglio capire, non finiva mai di ripeterci che Susanna e Pierpaolo erano dei “boni cristiani” e che, da allora, non aveva più conosciuto altre persone così colte, disponibili e gentili. Parlando di Pasolini, diceva continuamente che lui era un “bon omo” e che non ha mai creduto a tutte quelle cose che i giornali hanno scritto sul suo conto. Il legame affettivo che lo univa a sua madre, poi, era qualcosa di indefinibile e speciale, che divenne ancora più commovente quando – dopo la notizia che Guido era stato ucciso a Porzus – gli abitanti della casa videro Susanna, seduta sulle sue ginocchia, piangere per giorni guardando dalla finestrella i monti azzurri, pallidi, dov’era morto suo figlio.
Molte delle cose che ci racconta Ernesta le abbiamo già apprese leggendo i romanzi di Pasolini, le lettere, i diari, le molte testimonianze degli amici. Del resto, non siamo di certo venuti fin qui a caccia di novità, con l’ansia di scoprire inediti particolari sulla sua vita, anche se alla fine (ascoltando le parole di questa persona che con lui ha vissuto, mangiato assieme, e che potrebbe anche non aver mai letto un solo suo verso) dinnanzi a noi si è delineata una figura diversa, più umana e concreta, di quella forse un po’ mitizzata e nebulosa che ci è stata sempre proposta.
La sera comincia a scendere silenziosa sul paese, come un velo invisibile, quasi immateriale. Prima di incamminarci verso la stazione, ci chiede, come ultima cosa, se crediamo in Dio. La mia amica le risponde che crede in Dio, sì, ma non crede nella Chiesa. Un po’ irritata, allora, l’anziana signora ci racconta che un giorno fece questa domanda anche a Pasolini, chiedendogli: “Ma dimmi, dato che io sono ignorante e non ho studiato, puoi dirmi tu se Dio esiste?” – Ed egli, senza esitare, le disse: “Dio c’è”. E lentamente ci ripete, come se fosse una sorta di monito, un messaggio prezioso da portare ovunque con sé, questa risposta per tre volte di seguito”.