Impossibile elencare in poche righe tutta la carriera di Leo Ortolani (Pisa, classe 1967), un simbolo nel mondo del fumetto. Il papà di Rat-Man, pubblicato da Panini Comics dal 1989 al 2017, è una persona estremamente cordiale e cortese, animata da mille passioni, e noi di Pulp Libri lo ringraziamo caldamente per averci concesso cinque minuti del suo tempo prezioso per fermarsi a fare una chiacchierata con noi. I suoi studi, la sua quarantena, il cinema…tante domande con tante risposte brillanti e mai banali.
Quale influenza hanno avuto i tuoi studi universitari sui tuoi disegni e sulle tue storie?
Studiare, in generale, mi ha sempre aiutato, pur non avendo dato seguito all’essere diventato geologo a tutti gli effetti (dopo la laurea, bisogna fare l’esame di stato che ti qualifica geologo e ti consente di iscriverti all’albo). Le capacità di sintesi e di esposizione che lo studio ti permette di affinare, unitamente alla capacità di sperimentare e di risolvere snodi narrativi, grazie al ragionamento mi hanno tolto dalle feci creative più e più volte. Grazie, misero ma onesto 106 su 110! Grazie, 10 punti di tesi, guadagnati con una tesi di ricerca bibliografica, piena di disegni e cartografie fatti a mano!
Nel 1989 hai sottoposto alla casa editrice Comic Art due storie, una tragica e una comica (che poi ha avuto successo), ma ci racconti come andò e quale fu la storia tragica proposta?
La storia “drammatica” era una storia del tipo quelle che si vedono nella serie TV Ai confini della realtà. Un uomo gioca a carte da solo, in stazione, mentre attorno sfila un’umanità varia e disperata, affannata dietro i propri piccoli o grandi problemi. Alla fine della giornata, quando la stazione è deserta, l’uomo solleva un’ultima carta e… perde. Perde la sua partita contro un’entità che non possiamo vedere. E quest’ultima si prende la posta in palio, distruggendo la Terra. La storia è stata pubblicata nel numero 100 di RT-MAN e si intitola “Ognuno ha i suoi problemi”.
Quali disegnatori hanno ispirato la tua carriera? Quali letture ti hanno segnato e quali consideri imprescindibili per chi si avvicina al mondo dei fumetti?
Un tempo avevo una triade di divinità del fumetto, Jack Kirby (autore americano e creatore di una grandissima parte del mondo Marvel e di belle cose del mondo DC), Giorgio Cavazzano, disegnatore disneyano maximo (ma non solo) e Grazia Nidasio, autrice completa e mamma della celebre Valentina mela verde. Poi, negli ultimi anni ho aggiunto Takehiko Inoue, autore giapponese di Vagabond e Slam Duck. Ma alla fine ho capito che loro, da soli non basterebbero a giustificare influenze e insegnamenti. Imparo anche dagli ultimi autori arrivati a pubblicare, tutto ciò che mi circonda mi insegna a fare sempre meglio. Basta tenere gli occhi e la mente aperti.
Quale pensi che sia il punto di forza di una serie come Rat-Man?
L’umorismo, sicuramente, ma pure una sceneggiatura a prova di bomba e un finale di serie, durata vent’anni, senza se e senza ma. Un finale grandioso, come l’ho sempre sognato. E scusate se me lo dico da solo, ma so giudicare quando una cosa è venuta bene. 😉
Perché fare parodie come Star Rats e Allen, e perché ha così successo uno stile parodistico?
Le parodie sono comodissime, perché partono da un materiale originale che conoscono e amano in tantissimi. Quindi sai già che il tuo fumetto li intercetterà e se non a tutti, piacerà a una buona fetta di loro. Parodiare non basta, per me. Infatti le mie sono parodie per modo di dire. Parto sempre dal materiale originale, ma cerco sempre di rielaborare il tutto attraverso nuovi significati o nuove storie. È questo che, secondo me, funziona nelle mie parodie. Il fatto che parti aspettandoti qualcosa di scontato (una parodia) e invece trovi una storia nuova, costruita con elementi conosciuti.
Per CineMah sulla quarta di copertina si legge: “Io non sono un amante del cinema. Io sono il marito”. Ci racconti di questa tua passione?
Il cinema è raccontare una storia in un’ora e mezza, due ore. Un ottimo modo per imparare meccanismi, soluzioni, recitazione dei personaggi e soprattutto, sognare di realizzare storie belle come quelle.
A scuola molti insegnanti – e anche molti genitori – non considerano il fumetto una lettura. Sei d’accordo?
Sono d’accordo. Per loro la lettura è il Gabbiano Jonathan Livingstone che dai, non avete letto altro, dopo quel libro? Eppure lo ritirano fuori ogni volta, come se non esistessero altri libri da fare leggere agli studenti. E onestamente, se hai un minimo di coscienza, il gabbiano è palloso. Allora, se la lettura dev’essere pallosa e imposta, è bene che il fumetto non sia messo al livello del gabbiano. O del gatto. Il fumetto non deve essere lettura, deve essere piacere.
Nel 2020 esce anche Andrà tutto bene per Feltrinelli comics. Ci racconti il tuo lockdown?
È stato come quello di tanti altri. Con la differenza che ho un giardino e mandavo le figlie fuori a correre intorno alla casa. Poi ho avuto le ansie, i timori, le speranze che hanno avuto tutti, né più, né meno. Pure le file al supermercato.
Per C’è spazio per tutti hai collaborato con agenzie spaziali italiane ed europee, com’è nata questa partnership?
Sono stato contattato da loro, tramite Panini Comics. Cercavano qualcuno che facesse un fumetto divulgativo sulla Stazione Spaziale Internazionale. In Panini, sapendo che ero stremato per essere in fondo alla serie di Rat-Man, pensavano che non avrei accettato. Ma come si fa a dire di no allo spazio? E infatti il 2017, anno in cui, dopo avere disegnato l’ultima, lunghissima puntata finale di RAT-MAN, mi sono dedicato alla complessa e avvincente storia sulla conquista dello spazio, è stato un anno così faticoso che fisicamente ne ho risentito. Ma l’astronauta Paolo Nespoli ha portato un estratto del libro sulla Stazione Spaziale Internazionale e il mio fumetto è diventato il primo fumetto al mondo ad andare nello spazio.
Due figlie e altri animali feroci tratta una tematica particolare: ce ne parli?
Non c’è molto da dire. Mia moglie e io abbiamo adottato due figlie in Colombia, dieci anni fa. Da allora, siamo condannati a essere genitori a morte.
Come lavora Leo Ortolani, ha un modus operandi predefinito?
Non ho modus operandi. Soprattutto da quando sono diventato papà. Mi butto addosso al lavoro e colpisco duro finché ne ho la forza. Qualcosa ne viene sempre fuori e il giorno dopo, da capo. Se proprio vogliamo trovare degli schemi comuni, cerco di scrivere lontano dal caos dell’estate e inizio a disegnare spesso al mattino, per finire nel tardo pomeriggio.
C’è una domanda che avresti sempre voluto ti facessero ma che non ti hanno mai posto?
“Ortolani, lei è soddisfatto?” “Abbastanza, grazie. Ma non del tutto.”
Se potessi andare a cena con un fumettista – vivo o morto – chi sarebbe e cosa gli chiederesti?
Andrei a cena con Jack Kirby. Non gli chiederei niente, perché non parlo bene l’inglese, ma vorrei sedermi a fianco a lui, per una giornata, a guardarlo disegnare.
Qual è la domanda più curiosa che ti hanno fatto nella tua carriera?
Se me l’hanno fatta, non me la ricordo. Forse perché non mi stupisco facilmente. In fondo, la fantasia serve anche a essere pronti a qualunque domanda ti facciano.
C’è un consiglio che vorresti dare a chi sogna di diventare un disegnatore?
Non do mai consigli, non voglio rischiare di dare indicazioni sbagliate a chi sta cercando se stesso. Poi mi gira a destra, invece che tirare dritto, non si trova più. E del resto, ho provato più volte a dare consigli ad amici o a colleghi, perché riuscissero a ottenere il massimo dal loro talento, ma nessuno li ha seguiti. Quindi, inutile darne, le persone faranno comunque sempre di testa loro e a meno che non siano le mie figlie, è giusto così.