Stefano Magni, Despedida, pp. 144, Campanotto, euro 15,00 stampa
Despedida, in spagnolo, vuol dire «addio», ma può anche indicare la cerimonia di commiato, un momento gioioso che precede la separazione e la nostalgia, forse il rimpianto per un passato ancora vivo e vicino. Stefano Magni intitola Despedida il suo ultimo romanzo, nel quale gli elementi evocati sono tutti presenti: vi è la lingua spagnola, che il lettore può immaginare con l’accento del Rio de la Plata mentre si arrampica sulle note dolci di un tango; vi è l’addio a uno stile di vita; vi è la cerimonia allegra, la celebrazione della vita e dell’amicizia; e vi è una buona fetta di rimpianti, rimorsi, nostalgia per qualcosa che sembra irrimediabilmente perso.
Magni scrive una storia d’amore, tra l’uomo e la danza, attraversata da inquietudini e ombre: droga, tradimenti, immaturità sentimentale, incapacità di assumere le responsabilità dell’età adulta, cattiveria gratuita, solamente attenuati dall’incanto per nascita di una nuova vita; dipinge il mondo del tango con tinte ambivalenti, che però, nel complesso, risultano abbastanza scure.
È vero, i ballerini di cui si racconta non sono danzatori della domenica, ma professionisti dello spettacolo e per parlare di questo mondo il narratore ricorre ad alcuni stereotipi visti anche in altre rappresentazioni (ho pensato spesso a Black Swan di Darren Aronofsky, uscito una decina d’anni fa): una cattiveria agonistica e una risolutezza che si giustifica – ma neanche tanto – solo con le difficoltà economiche, spesso evocate, di sopravvivere facendo arte in un paese, l’Italia, dove tutto sembra complicatissimo e in cui predomina la precarietà, lavorativa ed esistenziale.
Il romanzo non offre solamente una porta d’accesso per osservare da vicino il dietro le quinte di un mondo che vive altrimenti delle luci vive della ribalta, ma accompagna il lettore sul palcoscenico, lo sistema tra i corpi dei ballerini e gli mostra con precisione i passi e le tecniche che essi compiono.
Questo aspetto dà la sensazione che Despedida sia un romanzo per iniziati, ma è una sensazione passeggera e il lettore profano può facilmente immaginare cosa sia un abrazo, un boleo o una sacada, magari sbagliando, inventando, ma accorgendosi allo stesso tempo di quanto il tango sia parte di un immaginario condiviso.
Ci sono due altri aspetti che rendono il romanzo di Magni originale. Il primo è il riferimento a una comunità religiosa, rappresentata alla stregua di una setta, che nel testo viene chiamata Bama Vanai, ma che sembra fare riferimento alla comunità Bahá’i. Nonostante la progressiva espansione di tale credo e le dure persecuzioni che i fedeli incontrano in Iran, non è facile trovare narrazioni in cui si racconta lo svolgimento di un incontro tra i credenti, come è invece il caso di Despedida. Il concetto centrale della dottrina bahá’i, la rivelazione religiosa come progressiva e relativa, viene raccontato attraverso le azioni che un gruppo di persone, adepti esaltati, compie nei confronti della protagonista Lucia, circondandola d’un affetto tossico e ossessivo, assolutamente non gratuito.
Il secondo aspetto riguarda ancora il tango, ma in un connubio inedito: danza e disabilità.
Seppure difficilmente conciliabili questi due universi si incontrano nella parte finale del romanzo mostrando come non solo esista una realtà in cui persone che hanno perso l’uso delle gambe continuano a volteggiare armoniosamente sui parquet destinati alla milonga, ma anche come questo spettacolo possa risultare appassionante, tecnicamente degno, esteticamente attraente. Guardare per credere.