… Ma io, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?
Dal 1957, anno di uscita in volume delle Ceneri di Gramsci, al 2022, passando per la terribile notte fra l’1 e il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia, cosa è accaduto in Italia, e nel resto del mondo? Quali cambiamenti nella poesia, e nella vera critica a essa? Tutto è mutato, tutto – fino al niente attuale, il niente che pochi oggi osano avvicinare con un grimaldello. Il realismo, l’attualità politica e sociale di quei decenni (ai più sconosciuta), sono stati abbondantemente accuditi dallo scrittore Walter Siti, altresì curatore (nei Meridiani Mondadori) di tutta l’opera di Pasolini. PPP aveva esperienze sue, cercava e ricercava, si consumava dentro l’angoscia di un mondo che nessuno come lui conosceva. Di notte, per le strade con la sua automobile probabilmente riusciva a vedere il futuro, nelle gambe di chi “passeggiava” e negli occhi di coloro che desiderava. Dal Friuli al Tiburtino, vie lunghissime e tortuose, la crudeltà stava a ogni curva, fino ad arrivare alla ferocia comprata e venduta nella città “eterna” sempre più orribile ai suoi occhi. Ed era ancora il tempo in cui circolava Fellini. Ragazzi di vita era il confine, per lui. Dopo, la vischiosità del moralismo. Criticava il “benessere” di Arbasino. Difendeva la “moda” sua, anche in pantaloncini sui polverosi campetti di calcio. Impoverimento dentro e fuori l’Urbe che soltanto la poesia del Fiore delle mille e una notte (scritto, ricordiamolo, con l’incantevole Dacia Maraini) mitigava mirando le condizioni povere ma sane di corpi meravigliosi, di sessi maschili e femminili ritrovati nell’arcaica e un po’ rozza vita nello Yemen e dintorni.
La preistoria guardata da Pasolini s’incrocia, dai territori del Meridione e dell’Africa, alle macerie moralistiche messe in luce da Le ceneri di Gramsci: undici poemetti scritti nei primi anni Cinquanta, che davano piena ragione poetica di sé, come scrissero Pampaloni e Garboli. L’organizzazione dell’intera raccolta sarà pure sovrabbondante ma non dovremmo farci intrappolare dalle presupposte ansie predicatorie, se queste fanno parte di attitudini riflessive ben sveglie e alquanto usuali nella poesia e nella letteratura di quegli anni. Oltre le polemiche, personalità come Fortini e Zanzotto, a loro modo, non ne sono immuni. Anomalie, poliedricità, stando lontani dagli slogan, rivelano come la poesia si assesti negli angoli più riposti dell’epoca, non soltanto nelle piazze in bella luce. Chi si appoggia spiritualmente e carnalmente alla poesia, guardando in faccia la realtà, trovando i padri giusti (pure uccidendoli quando serve), certamente rasenta la pericolosità quotidiana. Pochi se ne rendono conto. Pasolini desiderava una vacanza, a un certo punto, dopo il Vangelo secondo Matteo, aspirazione che non si compì, tranne nei pochi mesi (era il 1966) in cui l’ulcera lo costrinse a letto. Invece il lavoro incombeva, letterario e filmico. Fino all’orribile morte avvenuta un decennio dopo. Lo stato pensante delle sue opere, in versi, in prosa, in immagini, s’immedesimano in una lingua per nulla avulsa dalle belve che girano per le strade e che ammazzano facilmente – e nonostante ciò, la vitalità incombe, sospinge e tormenta. E si viene puniti per questo. La violenza di allora, incancrenita nello “sgoverno”, non si è mai fermata – nemmeno la poesia, occorre precisare, anche se di tutt’altra specie, e avvolta dal minimo storico di vocalità del mondo sociale.
Gli strumenti conoscitivi di Pasolini andavano nel fondo, dietro i cespugli: se ne lamenta l’Arbasino che ha sempre ritoccato le avventure disdicevoli nel segno del melodramma italico e nel segno (Gadda permettendo) del sommo stile di Longhi. Ma entrambi avevano, da par loro, nozioni acquisiste sul realismo in letteratura e sulla realtà fronteggiata sul campo. L’Aids non era ancora la Grande Muraglia che tagliava in due le ère, il tormento (o la sua mancanza) era vissuto sotto diverse costellazioni. Il famigerato lavoro di Petrolio scatenò a posteriori diatribe d’ogni specie e pure parole volenterosamente corrette. Al tempo delle Ceneri le “più sperdute strade” venivano digerite alla luce del disastro verso cui la nazione stava dirigendosi, la mondanità carnale era ancora privata, mentre le invettive pasoliniane fiorivano sui giornali e addirittura in alcune trasmissioni RAI. Le ossessioni si sarebbero bruciate dopo, sul sinistro confine del fallimento politico e corporale. Nel poemetto l’ardore dei padri si scioglie in un mondo di morti, tedio e natura smunta si aggirano in umide strade del centro e della periferia.
Nessuno va più dove sta la tomba di Gramsci, al Testaccio, a lato della Piramide Cestia, dove finanche Shelley ha perduto il suo splendore. Ogni terzina è un prisma irradiante allarmi e tenerezze acute rivolti al giovane dei giovani, in bilico su torto e ragione, tra enfasi e rigoglio linguistico, e unilateralità estrema. Il ventre d’Italia, allora gonfio, oggi è strappato e con le interiora oscenamente in vista. Le terzine, e ogni verso di cui sono fatte, sono le ceneri di Pasolini disperse nel brusio e dimenticate nella massa: dopo essere stata fucilata sommariamente, “la storia è finita”.
Da leggere oggi:
Dacia Maraini, Caro Pier Paolo, Neri Pozza, pp. 206, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub
Dacia Maraini, l’amica più vicina, ricorda e racconta in un epistolario, le esperienze artistiche e cinematografiche condivise con Pasolini. Una protezione reciproca che riaffiora in un dialogo colmo di dettagli rivelatori, di narrazioni che rivelano con grazia profonda il pensiero, i sogni, il mistero, l’energia dell’uomo più complesso e infaticabile del nostro Novecento. Come tutte le definizioni, anche queste parziali. Maraini però entra dolcemente nell’opera di Pasolini tenendo per mano l’amico fraterno mentre lo scrittore vive nei suoi giorni irripetibili, e sanguinari. Maraini non smette di sognarlo, scrive lettere a lui che non c’è più e continua a sentire quel suo corpo all’epoca rifiutato da tutti e diviso a pezzi dentro l’ideologia corrente.
Fulvio Abbate, Quando c’era Pasolini, Baldini+Castoldi, pp. 373, euro 19,00 stampa, euro 5,99 epub
Fulvio Abbate racconta, in una sorta di diretta in cui il tempo ha i consueti andirivieni tipici della mente umana, i passi di Pasolini lungo le traiettorie italiane della sua epoca. Una geografia indagata con precisione, di luoghi e persone che hanno visto lo scrittore e l’uomo in varie situazioni. Nel cuore degli anni Settanta si allarga la cronaca del dibattito culturale, della politica e del costume di un Paese verso cui PPP si disponeva con coraggio e disperazione. Da Roma all’Africa insieme a amici e inseguito dai nemici, l’infinito di Pasolini – frammentato e in continua espansione fino al tragico epilogo – è in gran parte presente nelle pagine di questo volume.
Alessandro Gnocchi, PPP. Le Piccole Patrie di Pasolini, La nave di Teseo, pp. 160, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub
Pasolini nel paesaggio di Casarsa, giovane nei tempi che cambiavano, e le tappe successive seguite in automobile verso Bologna, Cremona, fino a Mantova e nei paesi della Bassa. I compagni di classe dell’infanzia, la madre e il padre, la distinzione delle classi sociali. Alessandro Gnocchi si aggira nell’aria del tempo, lo respira e assorbe come se potesse viaggiarvi dentro, dando luce ai particolari quotidiani e alla folla di persone via via incontrate da PPP nel suo lungo e insidioso apprendistato. L’infanzia si fa largo negli studi, diventa adolescenza e maturità fra studi e scorribande, l’incontro della galassia Longhi come spartiacque di mondi. La lingua friulana e Roma, il cinema e gli articoli giornalistici, rapporti d’amore e lotta, poi Salò e Petrolio con i grandi ritorni alla Pianura Padana. Un “montaggio” filmico che ci fa passeggiare, riflessivi e silenziosi, accanto alla disperata vitalità di Pasolini.
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Garzanti, pp. 828, euro 28,00 stampa, euro 14,99 epub
Garzanti ripubblica, oltre alle altre opere, Petrolio con la cura di Maria Careri e Walter Siti. Con un apparato di note, da parte di quest’ultimo, notevolmente ampliato rispetto all’edizione per i Meridiani. Ci sono recuperi di pagine allora espunte, una modalità che tende a far riaffiorare quel che probabilmente Pasolini desiderava rispetto a quest’opera: l’edizione critica di un romanzo rimasto incompiuto. Il mistero di Petrolio torna come un gigantesco frammento di quel che avrebbe potuto essere, e che il tragico destino subito dall’autore ha surmoltiplicato in una sorta di cerchio illimitato (quasi arbasiniano) in cui tutti – critici e lettori – possono sprofondare seguendo le sorti di un’Italia prossima a disgregarsi.
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci (1957), Garzanti, pp. 143, euro 12,00 stampa, euro 6,99 epub
La poesia “espansiva” di Pasolini, ciò per cui lui riteneva d’essere “sospetto e odiato”. Le ceneri di Gramsci fu un successo di vendite, foriero di infuocate discussioni fra i critici e i poeti di quel periodo storico.