Lavanya Lakshminarayan è un’autrice indiana di fantascienza finalista ai Locus Awards con questo Analog/Virtual e vincitrice nel 2021 del Times of India AutHer Award come migliore scrittrice dell’anno. Il suo seguito, The Ten Percent Thief, sempre ambientato nel futuro post-apocalisse di Apex City (ex Bangalore), è uscito da poco sul mercato anglosassone per i tipi di Simon & Schuster. In italiano il romanzo è ora meritoriamente pubblicato da Future Fiction e distribuito su Amazon.
Analogico/Virtuale è una distopia che si svolge dopo che la catastrofe ambientale ha lasciato in piedi poche città-stato in mano a onnipotenti megacorp che hanno imposto agli abitanti il proprio ordine in cambio di sopravvivenza e autosufficienza economica. Ad Apex City, costruita sulle rovine della precedente enclave tecnologica di Bangalore, vige un regime iper-meritocratico che ha suddiviso la popolazione in tre classi. Al vertice il 20% privilegiato, con accesso illimitato alla tecnologia digitale e a una vita produttiva potenziata da un’intensa esperienza full 3D (impiantazioni cyber, chip di memoria, ologrammi in odorama, etc.). In mezzo il 70%, condannato a una vita mediocre e bidimensionale ma pur sempre garantita dal perimetro delle mura cittadine. All’esterno della città vive infine la popolazione – eufemisticamente chiamata “il 10%” – degli esclusi e delle escluse, la fetta in realtà maggioritaria ritenuta non idonea a conseguire gli obiettivi del progresso e quindi condannata a vivere tra i rottami arroventati del deserto senza aria condizionata o a servire come manodopera schiavizzata negli stabilimenti agricoli. Come in ogni società meritocratica ogni status è provvisorio, c’è chi sale e, soprattutto, chi scende e la valutazione – in un’epoca dove i tuoi pensieri sono più o meno pubblici e la privacy è considerata un retaggio del Paleolitico – è affidata alla supervisione di AI programmate dall’1% che detiene il potere. Insomma vivi, consuma e lascia morire.
Ma, niente paura: come in ogni distopia che si rispetti anche tra le masse diseredate e accampate all’esterno di Apex City e suddivise in tribù mutualistiche è vivo il seme del dissenso e della rivoluzione. Grazie all’immancabile comunità rebelde di hacker, in grado di riciclare un hard disk da 20 MB del 1991 in una server farm, anche penetrare i firewall e le inespugnabili difese della spietata megacop sarà più o meno un gioco da ragazzi. Analogico/Virtuale è insomma un romanzo che a partire da premesse climatiche solarpunk non si fa mancare niente, né il classico armamentario futurista cyberpunk né una spruzzatina da “popolo del deserto” tipo i Fremen di Dune.
Messo così l’esordio di Lakshminarayan rappresenterebbe una modesta innovazione di genere. Quello che distingue invece il libro da decine di opere simili è la sua struttura di romanzo corale, costruito attraverso disparati frammenti quotidiani e inquietanti tranche de vie che la gente di Apex City rilascia a ogni ora del giorno come un angosciante filo di bava virtuale. Il world building, riducendo al minimo gli spiegoni, emerge dalle aspirazioni e dai drammi che attraversano a ogni età tutte le classi sociali. Esplode nella competizione tra le celebrities che sfocia nel disadattamento ai piani alti, come nel ricatto quotidiano delle classi medie, tra il relativo privilegio e l’assoluta precarietà, pulsa nell’adattamento alle tecnologie di emulazione sociale che trasformano ognuno in un potenziale delatore.
Senza indulgere in confronti improponibili, la tecnica narrativa di Analogico/Virtuale per descrivere un futuro da incubo ricorda quella usata in Conversazioni nella cattedrale da Vargas Llosa per raccontare la vita sotto la dittatura di Manuel A. Odría nel Perù degli anni ’60 del Novecento. Con questa mossa Lakshminarayan dà un senso diverso a una narrativa distopica, oggi inflazionata, e crea buone premesse anche per il seguito del suo ciclo.