Laura Van Den Berg, cresciuta in Florida, prende parte a quella visionarietà che aderisce alle geometrie “alternative” d’oltreoceano, che pur non essendo del tutto proustiane vanno a braccetto con – permettiamoci una citazione fuor di moda – gli artifici fatali e carichi di giacimenti epici di Harold Brodkey. Anche gli smottamenti terreni e dell’anima originano dalle coste temporalesche, dagli uragani e dalle cavallette, tutte faccende preistoriche ma viste nella modernità mentale di una ghostwriter, protagonista ritrovatasi nel mondo che l’ha originata. Forse fuori tempo e forse no, ma attuale in una regione, la Florida, che può diventare tutti i luoghi del mondo – dunque pericolosa, come certi parenti, come certe presenze faunistiche (animali e vegetali) capaci d’inframezzarsi ai rapporti parentali, e ostacolarli o favorirli in egual misura. Secondo l’esito dato alla terra dagli uragani o le deviazioni concepite dalle foreste per far deviare i percorsi agli umani.
Ogni singolo capitolo di State of Paradise, ce ne accorgiamo ben presto, confonde chi tenta di aggirare la pioggia torrenziale e di affrontare il trauma che s’allarga attraverso le cose del mondo microscopico e che nemmeno i visori digitali usati da un familiare stretto (la sorella della protagonista narrante) possono salvare millantando meditazione in mondi virtuali. La ghostwriter scrive, non dice a nessuno ciò che sta scrivendo, ma come Brodkey sa come la scrittura sia un modo per salvarsi la vita, e lo sa Van Den Berg cui dobbiamo essere grati per le sue storie che avvicinano ai morti: questi non tornano indietro, certo, ma danno agio allo sguardo. Scrittori che non tollerano il silenzio sono quelli che s’inoltrano nella foresta pluviale pur di richiudere i vuoti – dell’anima, dello spazio, del tempo.
“Paradiso” è parola sublime e creatrice d’instabilità, i “narrabondi” (copyright Manganelli) la usano non soltanto per bizzarria d’esistenze rurali, e la nostra scrittrice americana conferisce alla perenne alluvione presente nel suo libro – al netto dello sgretolamento mondiale – una sorta di potere come fosse un campo multidirezionale, “stato” appunto, o condizione pressoché necessaria all’esistenza. È al suo interno che si sviluppano le storie, e si riconquistano le vecchie alla luce dell’ultima epoca. Pandemia, estinzioni, ripresa, però il vecchio mondo non va dimenticato: pur lontano, è un “vecchio amico” a cui la ghostwriter – l’autrice e noi – punta come a un pellegrinaggio nervoso e riassuntivo. Che cosa è questa regione lo spiega con improvvise meraviglie, bisogna credere a quel che accade, sconfinamenti e tutto. È la discoperta di una natura.
Postilla: Finalmente abbiamo un editore che mette in copertina il nome dei traduttori.