La poesia come metamorfosi, e più ancora nel fondo del fenomeno, la prosa di Laura Pugno indaga le forme presenti al mondo e quelle ancora da venire. La scrittrice sa da sempre che siamo esseri perduti nella nostra stessa esistenza, e si chiede quanto il ricordo e la visione delle opere lette in gioventù mutino nel tempo così come ogni organismo fa. Le transizioni sono molteplici dentro i centri vitali che ci guidano, e proiettano la mente di ognuno nei luoghi dove scienza e legge abbassano la loro capacità d’intendere la realtà. Da Sun Tzu a Fenimore Cooper la memoria si dilata a dismisura, sparge indizi di “ipnosi” sul vasto terreno della poesia che Pugno perlustra senza sosta alcuna. Noi senza mondo si trova bene in una collana di “romanzi e racconti”, poiché in esso sta il seme della memoria che permette il respiro, e anche la speranza di noi umani di fronte ai muri che erigiamo. Rileggiamo Sirene, Quando verrai, La metà di bosco, e l’ultima raccolta di versi, I nomi, e ci sentiamo naufraghi di un mutamento.
L’arte della guerra e L’ultimo dei Mohicani esistono proprio quando Pugno scrive, e intorno s’espandono incendi e probabilmente tutto brucerà. L’opera è un gesto, le cui parti sono materia (inchiostro, carta, sangue) che appartengono al corpo: l’odore si sente forte, e altrettanto rapidamente sparisce dai sensi. Se non fosse che, oltrepassando l’adolescenza, L’ultimo dei Mohicani ci mette sulla giusta pista per capire la realtà degli umani, lasciando traccia di come sia la fine di un mondo, del mondo. I libri della scrittrice indossano i molteplici rivoli psichici delle donne e degli uomini quando s’incontrano e scontrano sui plateaux della natura, in mezzo alle forze antiche mentre le volute del tempo e dello spazio si riavvolgono.
Forse Pugno sta allestendo quella riserva di cui trova tracce qua e là per il globo ma che non riescono a distendersi in unico Piano che trasformi le visioni in farmaco. Non l’eden velenoso, come si sa, ma modi inediti di fare. In certi luoghi devastati nuove vite hanno possibilità d’esistenza. Non sappiamo ancora come, ma accade. Non saremo noi i nuovi abitanti dei disastri nucleari, e forse nemmeno di quelli psichici. Noi senza mondo, articolato nei luoghi dove la prosa si prende ciò che la poesia le deve, spiega perché.
I corpi hanno in sé debolezze e nodi pronti a dispiegare in aria i filamenti che prima li componevano, e non sembrano avvedersene, così come l’immagine di copertina mostra tanto genialmente. I corpi trasmutano nel filo della scrittura che permette l’esistenza. La pagina li contiene, questo è il destino dopo che abbiamo fatto di tutto per toglier loro calore. Le citazioni elencate al termine del volume sono traccia del mondo in cui Pugno cammina, la perenne ricerca di una letteratura che si regge sul principio dell’umana “durata” (quella di Handke), ma “fino a ibridarci di specie in specie per sopravvivere”.