È qui riunita, per la cura di Alba Donati, gran parte della produzione poetica di Roberto Carifi, nato a Pistoia nel 1948, per molti anni protagonista di un revival della poesia che ancora oggi si stenta a studiare come meriterebbe. Non fosse altro che per spingere le nuove generazioni a definire i cosiddetti contemporanei, scoraggiati come siamo nel veder mancare la penetrazione della poesia nella vita quotidiana così come accadeva, nei decenni del secondo Novecento, con le opere di Montale, Ungaretti, Pasolini, Raboni, Sereni, e via così.
Alcuni critici lo hanno notato, ma sembra che in questi ultimi anni la conoscenza della poesia infiacchisca in una specie di Purgatorio, mentre versi e versicoli disturbano incontestati la rete, fatta di chiacchiere accanto ad altre cose decisamente patetiche. Congelamento della memoria? Sbandamento della critica militante (o di ricerca, ammesso che ancora esista) in favore di chiusure personali e cronache con sguardo rivolto soprattutto ai banchi delle librerie “industriali”? La letteratura sta in un ambiente sottozero, la lingua poetica manca di precisione e competenza, raramente si mostra capace di lacerare la banalità del male quotidiano. Si legga in proposito l’ultimo saggio di Cesare Viviani, recensito su “PULP libri” lo scorso anno.
Un poeta come Carifi, giunto nel panorama della poesia italiana al termine degli anni Settanta del ’900, esprime uno sbilanciamento storico che ora appare ben osservabile alla luce di questa antologia, definita dalla curatrice “riparativa”. Di certo non negheremo l’affermazione di Donati, nel contempo dovremo riservare giusta attenzione agli editori che, con alterne vicende, hanno inserito Roberto nei loro cataloghi. E penso innanzitutto a Crocetti, Via del Vento, Le lettere.
La sfortuna severa ha scolpito la vita di questo poeta, mentre il farsi amore, nella sua lingua e con le sue parole, ha dispiegato resistenze immani contro la lacerazione corporale. Ma Roberto Carifi non ha mai consentito alla poesia, alla sua poesia, di restare congelata in un pietosissimo stato di arresto: interrogazioni e domande creaturali occupano l’intera stanza del poeta, consentono al suo temperamento di estendersi ancora, senza sosta, verso il battito generativo della Madre, non soltanto come simbolo di tutte le madri del mondo. Ma vero corpo che a un certo punto dell’esistenza viene a mancare, sorpassa all’indietro tutti i temi dell’infanzia nella piena e ininterrotta visione della realtà. Infanzia era il titolo della seconda raccolta di Carifi (dopo Simulacri, del 1979), pubblicata dalla meritoria Società di poesia (per iniziativa dell’editore Guanda), e L’obbedienza il libro successivo, opera fra le più importanti, pubblicato da Crocetti nel 1986. Il dialogo fitto si allarga dal quadro familiare alla poesia europea dettata soprattutto da Trakl e Rilke, con traduzioni e studi che giungeranno a Hesse, Bataille, Flaubert, Weil e altri.
Evocazioni simboliche, vicinanza alle ombre, non fanno dimenticare a Roberto Carifi la forza comunicativa che gli resta dentro fin dalle origini, con l’amorevole vicinanza di poeti dai solidi legami affettivi. Nomi che si conoscono, che hanno fatto la storia poetica di quegli anni, capaci come lui di conciliare ricerca linguistica e ispirazione riparativa della realtà. Ricordiamo, inoltre, gli innumerevoli contatti epistolari col pubblico della poesia tenuti per tanti anni nella rubrica Per competenza della rivista “Poesia”. Sempre amabile, preciso, vero Lector mirabilis di tutti coloro che a lui si rivolgevano.
Interrogare le cose, per il poeta, è partecipare della loro memoria, farsi carico dell’amore del mondo e del destino che sembra minacciarci, ma che spesso rimane l’unica certezza di durata che possediamo. L’amore dunque ci fa permanere, e ragionare là dove il lume si spegne, per una perdita o per una sopraffazione. È dove la domanda si scioglie, in un ragionare tranquillo con la verità della poesia, che vengono estratte le spine, e aperto un dialogo dal respiro puro, contrastante l’abisso delle vicende. Le difficoltà accompagnano irriguardose, ed è innegabile che l’esperienza, nel caso di Carifi, porta dentro il principio che governa la vita (la franca adesione al Buddismo) e che la scrittura indaga. Se ci guardiamo intorno, se varchiamo lo spazio di Amorosa sempre, possiamo comprendere come vi abitino i figli e le madri che vogliono credere alla contiguità della poesia con l’altra lingua dell’angelo, con la sua presenza novembrina fra gli umani. Per questo, nonostante tutto, la poesia non ha smesso il suo corso.
Perché, alla fine, leggendo Roberto Carifi, nessuno di noi resta indifeso di fronte al mondo.