Shari Benstock, Donne della Rive Gauche. Parigi 1900-1940, tr. Manuela Faimali, Somara! Edizioni, pp. 574, euro 32,00 stampa
Dopo aver letto la tenera biografia di Sylvia Beach, tutta accoglienza denaro e avventure editoriali intorno all’Ulysses joyciano, addentrarsi nell’enorme lavoro d’indagine compiuto da Shari Benstock e sfociato in un volume di quasi 600 pagine non è compito da prendersi alla leggera. Monumentale è l’esito che abbiamo davanti, pubblicato in origine nel 1986 dalla University of Texas Press. L’autrice accoglie e accompagna non soltanto le avventure intellettuali di un gruppo di donne sulle rive della Senna (soprattutto la Gauche!), ma anche le loro vite intrecciate, ambiziose, vivaci, energiche, ricche di amori seguiti secondo «il loro modo» (come Nadia Fusini spiega nella preziosa introduzione), le loro ansie, la loro differenza.
Nominarle è essenziale, il lettore deve conoscere immediatamente con chi ha a che fare, e se alcune a pochi diranno qualcosa, ebbene ora è il momento giusto per procurarsi quest’opera. Siamo a Parigi, sul bordo estremo della Belle Époque. E dunque ecco i nomi: Gertrude Stein, Djuna Barnes, Natalie Barney, Sylvia Beach, Colette, Nancy Cunard, H. D. (Hilda Doolittle), Alice B. Toklas, Mina Loy, Adrienne Monnier, Jean Rhys, Caresse Crosby, Janet Flanner, Solita Solano, Kay Boyle, Bryher (Winifred Ellerman), Margaret Anderson, Edith Wharton, Jane Heap, Maria Jolas, Anaïs Nin, Renée Vivien. Un inventario che addensa generi letterari, mode, talenti rivoluzionari, pieghe esistenziali, sicuramente litigi e innamoramenti lesbici e intellettuali di prim’ordine.
Le posizioni patriarcali di uomini che si chiamano Joyce, Eliot, Pound, Scott Fitzgerald, Hemingway, Gide, Valery, Picasso, Modigliani, Ernst, e via dicendo, di fronte a una libertà immensamente cercata e voluta, che fine fanno? Le posizioni sono molteplici: dall’indifferenza al savoir-faire, dalla resa al più bieco opportunismo. Ma l’autrice insiste: la scena letteraria a Parigi non era tutta in mano agli uomini. La diffusione del Modernismo, fenomeno anche sociale politico ed editoriale, avvenne soprattutto grazie alle donne che pubblicavano, vendevano, e inventavano nuove riviste. Basta consultare le biografie e le corrispondenze per accorgersene.
Certamente la rivoluzione culturale del primo Novecento passa per una molteplicità di nomi, anche maschili, ma Benstock nel suo saggio ribalta la concezione comune. In ogni capitolo, e soprattutto in ogni paragrafo, la descrizione delle singole esistenze femminili è molto puntigliosa, ma tutto serve (e moltissimo) ad addentrarci in una società in cui i cambiamenti avvengono a ritmi elevati, e non soltanto per la guerra che sconvolge lo stato dell’Europa. Parigi a tratti sembra avvolta in una bolla, seguendo le avventure di donne così talentuose si fatica a intravvedere, e a immaginarsi, la vita della gente comune: che facevano in quegli anni gli operai le massaie i perditempo gli impiegati i poliziotti i mercanti negli arrondissement della Cité Paris? Ma non chiediamo troppo, il nucleo di questo libro è sufficientemente folto di particolari, di carezze e scontri, di “maternità” letterarie abbraccianti entrambi i sessi.
La sua attrattiva sta nei capitoli riservati a vere e proprie monografie di scrittrici e poetesse e libraie/editrici. Circostanze individuali, stili di vita, erotismi, distinzioni sociali, e poi riviste minimali dalle grandi influenze, reportage sul New Yorker, gli USA alle spalle, femminismi inediti, cacciatrici e prede (non serve nasconderlo), Dreyfus e antisemitismo, fino alla notte hitleriana. E la commovente ammirazione di Anaïs Nin per Djuna Barnes. Ma siamo in fondo agli anni Trenta. Le cose cambiano. Non si tratta, dunque, di riesumare personaggi più o meno dimenticati, ma di far riemergere da un’epoca irripetibile la vera storia e le opere che hanno cambiato la letteratura del Novecento. Con gli stili, le verità sull’amore fra donne, e tutta l’incantevole mescolanza di giocosità e seria indagine di scrittura.
Il taglio iper-femminista, dato dall’autrice a Donne della Rive Gauche, può apparire troppo determinato a compensare le mancanze della saggistica di taglio soprattutto accademico. Ma è un peccato veniale, ampiamente mitigato dall’interesse verso esistenze e opere di donne (sarà una mia passione primaria, non lo nego) che si chiamano Djuna Barnes, Colette, Mina Loy, Anaïs Nin, Solita Solano. Senza contare l’avventurosa e contorta storia dell’Ulysses nelle mani prensili, materne e pratiche di Sylvia Beach. Non soltanto una scrittrice: per questo, fra tutte, la mia preferita.