Fuoco al cielo racconta la storia di Tamara, una donna costretta a fare i conti con un’esistenza terribile, segnata dall’inquinamento e dal degrado di tutto, intorno a lei. Inquinamento della natura, di fiumi non balneabili, di boschi bruciati, di frutti velenosi, di aria irrespirabile. Degrado della città per gran parte abbandonata dopo un incidente radioattivo, degrado dei rapporti umani. Percentuali altissime di bambini nati con gravi patologie e terribili malformazioni, a causa del plutonio. Un inferno.
Nello stile narrativo tutto è rappresentato con grande naturalezza e una certa disinvoltura. Può sembrare addirittura un romanzo distopico. Ma non è così. Si tratta piuttosto di un’opera di disvelamento di una realtà che fa parte del recente passato, tenuto accuratamente rimosso, e che Viola Di Grado ci mette brutalmente sotto gli occhi. Chi lo ritiene opportuno può facilmente vedere moniti e segnali del nostro presente e del nostro immediato futuro.
Tutto il romanzo si avvale di una scrittura che ha il sapore del coraggio e non del compiacimento morboso. Il ritmo è asciutto e serrato. I capitoli brevi, le scelte linguistiche precise e acuminate.
Lo spunto è dato da una storia vera accaduta negli anni Novanta quando sia i sovietici che gli statunitensi, vicino alle centrali nucleari, avevano costruito le loro “città segrete” per testare esperimenti sugli esseri umani.
Il paese di Musljumovo è una delle località vicino a queste città segrete. Dista solo 70 chilometri. Tamara vi abita e, fino a poco tempo prima, vi aveva esercitato la professione di insegnante. Un giorno le capita di incontrare Vladimir, giovane attraente che viene da Mosca. Fa l’infermiere ed è arrivato in paese, contro ogni indicazione di buon senso, visti i rischi che si corrono, per aiutare le persone del posto che hanno bisogno di cure.
Vladimir e Tamara si innamorano e progettano una vita insieme, contro ogni segnale che viene loro dal mondo esterno. Dietro le loro spalle soffia il vento di un leggero ottimismo che si sintetizza nell’idea che per vivere bastino “cervello e battito cardiaco”.
I due decidono infine di avere un figlio…
A questo punto il romanzo di Viola Di Grado fa una virata, punta l’obiettivo soprattutto su Tamara le cui vicende accompagneranno il lettore fino al termine del libro. La narrazione assumerà, a tratti, il pathos del misticismo. Dio è una parola che apparirà sempre più spesso. Alcuni episodi ricorderanno la passione di Cristo per la salvezza degli uomini. A essi si intreccerà il grande tema della follia intesa anche come capacità di una vita anticonvenzionale, riservata a chi sa amare veramente, perché “L’amore è l’unico peso che alleggerisce”.
Al termine di un percorso non facile il lettore potrà ricordarsi di quelle affermazioni che ci dicono che “la letteratura deve turbare, deve essere una “minaccia” per il lettore e per l’autore stesso”. In questo caso l’obiettivo è centrato in pieno.