“Dimmi come consideri la traduzione e ti dirò chi sei” scriveva Heidegger. Ossia, nella traduzione si mostra chi effettivamente siamo poiché in essa è in gioco il rapporto dell’uomo con l’essenza della parola, con la dignità della lingua e con una visione del mondo e con le relazioni che siamo in grado di instaurare con l’altro.
Non a caso da qualche decennio le teorie sulla traduzione hanno superato l’idea che tradurre sia solo un modo di dire la stessa cosa in un’altra lingua, o ripetere il già detto in modo diverso: altre ipotesi di ricerca si sono fatte strada ampliando enormemente l’area di studio nell’arte di volgere un testo fra una lingua e l’altra. Per chi volesse indagare questo affascinante universo è apparso un volume che getta notevole luce sull’argomento, a firma di Stefano Arduini: Con gli occhi dell’altro. Tradurre. L’autore, ordinario di Linguistica e membro di varie associazioni che si occupano di traduzione, in questo lavoro ha raccolto anni di studi: ne è sorto un libro, come si legge nella premessa, frutto di “incontri ed esperienze che ne hanno costruito la storia redazionale”.
Arduini affronta la traduzione con un approccio molto vasto, uscendo “dal recinto un po’ consunto” dei Translation Studies e servendosi di un’epistemologia della scrittura che integra filologia, linguistica cognitiva, semantica storica, scienze sociali per dimostrare la tesi di partenza: “La storia della cultura dell’Occidente è stata caratterizzata dalle invenzioni dovute alla traduzione”, poiché essa “crea, costruisce, innova modi di vedere le cose e le mappe concettuali che ne derivano”.
È una visione estremamente feconda, basata sull’idea della traduzione come storia concettuale e sul presupposto che i concetti non rimangano inalterati nel passaggio da una lingua all’altra, ma vengano continuamente riscritti e trasformati dalle traduzioni. Da questa prospettiva si possono indagare le modalità in cui i vari universi culturali costituiscono la propria specificità, grazie ai continui stimoli derivanti dall’arte del tradurre: “La sfida posta dal trasferire in lingue diverse concetti complessi […] ha spinto le culture a definire la propria identità ripensando le proprie fondamenta. La traduzione è quindi uno degli agenti principali nella variazione del significato dei concetti e nel mutamento delle strutture semantiche in cui trovano la loro forma storica”. La trasposizione da una lingua all’altra funziona quindi come incontro fra due tradizioni, “un traghettare che trasmuta le cose nel passaggio da una sponda all’altra”. Lungi dal configurarsi come mera ripetizione del già detto, la traduzione è dunque un’esperienza creativa e un’avventura del pensiero che accetta la sfida di ospitare l’alterità senza annetterla, un’operazione cognitiva che crea nuovi concetti “accettando il paradosso di trovare il simile nel diverso”.
Quello dell’alterità è infatti uno dei principali temi del pensiero contemporaneo sulla traduzione. Da qualche tempo è affiorata la convinzione che il tradurre eserciti una funzione di gran lunga superiore a ciò che superficialmente si può pensare, proprio perché mette in gioco il rapporto con l’altro e la questione della diversità, stimolando in tal modo la riflessione sulla nostra identità: “C’è un desiderio di relazione nella traduzione, un desiderio di definire il proprio sé nel rapporto con l’altro da sé, che non escluda l’altro ma lo riconosca”. In definitiva, essa rappresenta una sfida che va ben oltre la questione testuale, attiene piuttosto alla sfera pedagogica, proponendoci “il tema dell’apertura alla realtà […] e dell’incontro con la sua diversità come possibilità di riconoscere il sé”.
Per dimostrare tutto ciò, Arduini indaga alcuni nuclei tematici come “altro”, “confine”, “parola”, “amore”, “verità”, bellezza”, “intraducibile” e, naturalmente, “tradurre”, svolgendo una riflessione sulle storie di alcuni concetti che sono stati spesso ritenuti difficilmente interpretabili ma la cui resa, al termine di un lungo percorso, ha portato a una radicale reinvenzione della tradizione. Un esempio particolarmente significativo è l’immensa opera di traduzione che ha caratterizzato i primi secoli del cristianesimo, nel senso proprio del termine, come quella di Girolamo, o culturale e inventiva, come quella di alcuni Padri della Chiesa nei confronti dell’eredità classica.
Dimostrazione esemplare di questo assunto sono le versioni dall’ebraico al greco di uno dei brani cruciali della cultura occidentale, quello biblico di Esodo, 3,14; esse hanno messo in moto trasformazioni concettuali che hanno provocato nel corso dei secoli sempre nuove interpretazioni di questo passo: “La storia delle traduzioni di Esodo 3,14 ci insegna che dall’incontro nascono nuovi concetti e nuovi modi di leggere il mondo”. Il contatto tra cultura ebraica e cultura greca dà luogo a una terza entità: la mescolanza dei due Orienti ha creato la tradizione dell’Occidente – la nascita di una nuova identità attraverso la traduzione.
Nell’ultimo capitolo Arduini si sofferma sulla questione degli intraducibili, cioè “di quelle espressioni straniere di fronte alle quali ci fermiamo sorpresi di non riuscire a superare il muro dell’incomprensione”. Il problema nasce dal fatto che la diversità fra le lingue risiede nella diversità delle visioni del mondo che esse costruiscono, visto che gli idiomi sono una sorta di lente d’ingrandimento attraverso cui leggiamo la realtà. Ma poiché tradurre ha che fare con la nostra identità, e si traduce “perché è la nostra umanità che lo richiede”, bisogna rendere anche quel che pare intraducibile, esprimerlo in altro modo: “Capita così che la possibilità data dall’altra lingua e che manca alla nostra fa accadere qualcosa di straordinario e la parola sconosciuta che non riusciamo a ridire apre spazi impensati. E come se si liberasse un varco del pensabile a noi prima sconosciuto. Qualcosa appare alla nostra evidenza proprio perché c’è una qualche lingua che lo nomina”. In definitiva, gli intraducibili possono far nascere nuovi concetti “creando neologismi o imponendo un nuovo senso alle parole”, e in tal modo “si scopre un’altra maniera di stare al mondo”.
Qui Arduini riprende la lezione di Paul Ricoeur, che capovolge il significato del mito di Babele, non interpretandolo come condanna all’incomunicabilità tra genti e lingue differenti, ma come possibilità di incontro con l’altro, di comprensione e accoglimento della diversità. E dunque, “Babele è una ricchezza”, conclude Arduini, “perché la moltiplicazione delle lingue è stata la moltiplicazione degli sguardi attraverso cui leggere la realtà. Ci ha dato come compito proprio quello di tradurre per renderci liberi, perché non ci costruissimo da soli una prigione e ci aprissimo a orizzonti impensati”.
Tradurre è dunque conoscere, e pensare il tradurre in questi termini significa considerarlo come un punto cruciale del nostro modo di comprendere il rapporto fra soggetto e mondo.