Ogni città, per contenuta o estesa che sia, è un mondo, qualcosa di a sé stante. Ma Napoli, beh. Che dire? Napoli non è un mondo, è un universo. E da universo si comporta: in fondo, che ne sappiamo, noi, di Napoli? Tolti i drammatici episodi che la cronaca riporta, e che purtroppo sembrano farla da padrone nell’immaginario collettivo, cos’altro conosciamo della città sotto il Vesuvio? Moltissime cose, certo, ma mica tutte. Potremmo anzi dire che tendiamo, per retaggio culturale o per pura pigrizia mentale, a raggruppare diverse realtà legate a Napoli in due enormi calderoni: quello della Napoli solare e accogliente, grondante bellezza e profumi, quello dei panni stesi tra una finestra e l’altra, come se ci fossero famiglie, sui fili, non del bucato. Ma subito a seguire ecco il calderone numero due, quello dentro la cui pancia arroventata ribolle la Napoli oscura, insidiosa, la Napoli della guerra fra bande, degli spari e del sangue che ne irrora le strade, infettate di morte e immondizia.
A questo punto, però, bisognerà pur compiere un nuovo passo nel cammino di esplorazione all’interno di ogni universo che si rispetti. Ed è qui che salta fuori una terza Napoli: la Napoli di Pino Imperatore.
Ritenuto fra i maggiori umoristi italiani, e pescando a piene mani da una tradizione di letteratura comica e grottesca che idealmente parte da Achille Campanile per arrivare fino a Joe R. Lansdale, Pino Imperatore non ha finora mai smesso di raccontare la sua Napoli, che niente ha da spartire con itinerari turistici o luoghi comuni di facile approccio. Per quanto il tocco della sua penna si mantenga leggero, ma non per questo ruffiano né saccente, Imperatore traccia di romanzo in romanzo la topografia personale di una metropoli del Suditalia densa ed evanescente a un tempo, colma di storie e di pianeti non del tutto alieni, capace comunque di sorprenderti e di comunicarti con la sua eccezionalità che è impossibile, almeno qua, sentirsi davvero soli.
Se tutto ciò non fosse già abbastanza stuzzicante, da un paio di romanzi a questa parte il nostro ha pensato bene di unire la sua grande passione per l’umorismo al servizio di storie di matrice thriller. Da una parte, quindi, abbiamo lo schema del giallo classico, che Imperatore padroneggia in modo a dir poco austero; dall’altra, tutta una serie di felici incursioni nella comicità utili a distendere i nervi, in attesa che la soluzione del mistero venga pian piano svelata, ma anche a conoscere meglio i vari personaggi, o di nuovo l’anima della città.
Seconda indagine per l’ispettore Gianni Scapece e il commissario Carlo Improta, protagonisti del precedente e assai fortunato Aglio, olio e assassino. L’improvvisa scomparsa della baronessa Elena De Flavis e del suo maggiordomo, avvenuta nel corso del ricevimento da lei stessa organizzato per il compimento dei novant’anni, costituisce l’enigma che i due intraprendenti poliziotti sono chiamati a risolvere in Con tanto affetto ti ammazzerò. Un’indagine che porterà soprattutto Scapece a contatto con l’indifferenza e l’avidità di una famiglia che sotto i fasti della ricchezza celebra la vergogna delle proprie miserie.
A insaporire le già scoppiettanti pagine del romanzo ci pensano i Vitiello, titolari di una trattoria a conduzione familiare ubicata, guarda caso, davanti al commissariato. Fra Scapece e i Vitiello scorre un’umana simpatia che sfocia nella reciproca fiducia, ancor più sedimentata da questa nuova avventura nella quale, com’è ovvio, la colorata famiglia di ristoratori tornerà a offrire man forte all’ispettore e ai suoi nel corso di un’indagine che tiene incollati al libro attraverso tre linee narrative, inizialmente parallele ma destinate poi a intrecciarsi.
Da un tale tessuto emergono infine due grandi figure femminili: la baronessa De Flavis, che si racconta per sua voce, permettendoci di spiarne le confidenze vergate a mano fra le righe del diario privato. E sullo sfondo, dietro i nodi che via via si sciolgono, ancora e sempre lei: Napoli.
Di mille colori, di mille sapori, ma con un solo Imperatore.