Concluso saporosamente l’anno scorso il ciclo dedicato al suo personaggio più famoso e amato, l’inquisitore Nicholas Eymerich, al cui proposito segnaliamo la recente uscita nella collana Titan di Mondadori dell’edizione completa e annotata, Eymerich, a cura di Alberto Sebastiani, che contiene tutti i tredici romanzi dell’epopea, più l’antologia di racconti Metallo urlante, divisi in tre volumi, Valerio Evangelisti ritorna nel suo ultimo romanzo all’altra delle sue principali passioni letterarie oltre la narrativa fantastica, quella storica. Se i numi tutelari del ciclo dell’Inquisitore erano autori gotici o fantascientifici come H.P. Lovecraft e Philip K. Dick, per quest’ultimo romanzo il riferimento più evidente è quello ad Alexandre Dumas.
Romanzo popolare di alta qualità letteraria, ricostruzione dello scenario storico e sociale minuziosamente documentato, commistione di figure reali e immaginarie, con particolare attenzione ai personaggi umili e anonimi: una struttura già sperimentata efficacemente con i precedenti affreschi che Evangelisti aveva affiancato all’epopea di Eymerich: il ciclo messicano o quello americano e, soprattutto, la trilogia de Il sole dell’avvenire, in cui l’autore ci aveva raccontato la lunga saga familiare che mostrava il riscatto sociale di un gruppo di braccianti e contadini romagnoli, i Verardi, dall’epoca post-risorgimentale fino alle soglie degli anni Cinquanta.
Alla famiglia Verardi si torna in questo romanzo, sorta di prequel dell’altro ciclo, che rimonta fino al 1849 e ha per protagonista l’avo Folco Verardi, garzone di panetteria ravennate, volontario tra le variegate schiere di repubblicani di varia osservanza – carbonari, giacobini, mazziniani e garibaldini – che si ritroveranno, dopo l’attentato contro Pellegrino Rossi e la cacciata del Papa, a difendere Roma dalle milizie francesi inviate dal presidente della Seconda repubblica, Bonaparte, futuro Napoleone III, a restaurare l’autorità di Pio IX sul trono pontificio. Lo scenario era già stato descritto nel racconto “Controinsurrezioni”, pubblicato nel 2008 a fianco di un testo di Antonio Moresco dedicato alle Cinque Giornate di Milano, ma nel romanzo ora Evangelisti ha modo di approfondire e delineare assai più precisamente l’humus sociale effettivo che produsse il fenomeno: un mondo di prostitute, piccoli commercianti, delinquenti di rione, una plebe romana che, acquisita consapevolezza del proprio ruolo di classe, diventerà popolo e sarà capace di morire eroicamente, o almeno responsabilmente, per difendere la libertà e la giustizia in un proto-socialismo comunitario spesso del tutto ignorato dalla storiografia ufficiale.
Come spiega Evangelisti nella nota bibliografica, in appendice a questo e a quasi tutti i suoi romanzi, “solo tre personaggi sono di fantasia (…) Tutti gli altri, inclusi i più improbabili, sono realmente esistiti e hanno agito durante la Repubblica romana in maniera simile a quella che ho loro attribuito”. A queste figure misconosciute, ripescate in vecchie cronache e memoriali avidamente compulsati dallo scrittore, si affiancano quelle famose e, fin troppo spesso, abusate – Mazzini, Garibaldi, Mameli, Orsini, Pisacane –, personaggi edulcorati nelle agiografie post-risorgimentali e che invece Evangelisti rivela nella loro vera natura di uomini di carne e non d’inerti immaginette votive: uomini con i loro pregi e difetti, le loro idee e personalità diverse, molto spesso in vivace conflitto fra loro.
Questo romanzo, uno dei più riusciti fra gli ultimi scritti da Evangelisti, è anche un bildungsroman “politico” che vede il giovane “uomo senza qualità” Folco, acquisire dignità e consapevolezza sul campo di battaglia e guadagnarsi faticosamente il rispetto e infine l’amore della proto-femminista Adelaide, donna disincantata ed estremamente libera di pensieri e di costumi.
Seppure nella sconfitta militare il finale della storia – come probabilmente la consuetudine del grande romanzo popolare vuole – sarà, tutto sommato, lieto: i due amanti si ricongiungeranno, il loro futuro fiorirà certamente migliore, più pieno e più sensato – in prospettiva – così per loro come per molti altri reduci. La Repubblica romana non ha lottato e non è morta invano, la sua sconfitta è solo temporanea e il suo sacrificio ha piantato un seme che fruttificherà: lo spirito della sua Costituzione potrà ancora animare e ispirare gli ideali di nuove future battaglie.