Cinque racconti per parlare della natura del tempo. Cinque protagonisti: un vecchio custode, un maestro di musica, un viaggiatore, un anziano scrittore ospite d’onore di un premio letterario, un sopravvissuto della grande guerra nella Trieste irredentista del primo Novecento. Hans Reichenbach, nei suoi studi sulla struttura dello spazio-tempo, vede nell’inquietudine causata dall’idea di tempo la spiegazione della nascita di teorie, quali la negazione del tempo da parte di Parmenide, la creazione platonica del mondo delle idee, il superamento della temporalità nella Fenomenologia dello spirito hegeliana. L’eternità: cattedrale fuori del tempo, popolata da dei e anime immortali o da un unico Dio, oppure infinita continuità, eterno fluire nel tempo e nelle cose, come volevano Eraclito e Bergson?
Una ricerca infinita ha attraversato la storia del pensiero dall’antichità a oggi, passando dalla filosofia alla fisica, con ipotesi e risposte mai definitive. Ma che cosa è il tempo se non l’emozione del tempo stesso, la percezione di tutte le cose che può essere per noi? L’unica certezza a cui possiamo arrivare è che il tempo siamo noi: memoria, nostalgia, anelito verso un futuro che forse non verrà, gioco infinito delle combinazioni che potrebbero o avrebbero potuto essere. “Il tempo è signore della causalità: una causa produce un effetto e dunque la precede, viene prima di esso […]. Ma se la causa si propaga nello spazio-tempo con velocità mai superiore a quella della luce […], la relatività ristretta afferma […] che due eventi, i quali non possono essere collegati attraverso un segnale causale viaggiante con velocità minore o uguale a qello della luce, non possono essere ordinati nel tempo in modo assoluto” (p.45).
Dalla Trieste delle prime pagine, nel racconto “Il custode”, ci si accorge che il filo della narrazione è condotto su un’ambiguità di fondo dove presente e passato finiscono per entrare uno nell’altro. Vista con gli occhi del protagonista, è la Trieste di oggi, amata dall’autore, ma è anche la città che non esiste più, quella di Svevo e del Novecento non compiuto. I ricordi trasfigurano la mole della Borsa, il reticolo di strade ombrose attorno a Piazza dell’Unità, i viali alberati con i caffé, gli imponenti palazzi bianchi delle Compagnie marittime e delle Assicurazioni lungo le Rive, gli argani del Porto in lontananza, la striscia azzurra del mare lucida di riflessi abbaglianti, rendendoli scenari grigio seppia come vecchie fotografie. Anche l’uomo che seguiamo nei suoi percorsi ricorda un vecchio Zeno Cosini: dimenticato il diario nel mobiletto di una casa che non c’è più, dopo una vita agiata ma anche faticosa e affannata, ha scelto di viverne una seconda, più modesta ma tranquilla, ormai vedovo, da custode di una palazzina. Dalla guardiola osserva l’andirivieni degli inquilini e il riflesso del sole sulla piantina di geranio. Le piccole incombenze, la ritualità lenta dei gesti abituali, lasciano ampie pagine bianche perché la memoria vi tracci immagini, che nello scorrere del tempo punteggiano un oggi senza rimpianti e senza dolore.
Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, “Tempo curvo a Krems”, Magris isola la percezione dell’attimo dal flusso della memoria e, per così dire, cristallizza l’immagine come fenomeno (etimologicamente inteso) del tempo che, come diceva Sant’Agostino, è estensione dell’anima. La Musa della traslazione di Poincaré accelera, trasportando il protagonista dalla luce all’ombra in un viaggio nel tempo che inizia da un incontro a Krems e si compie in una telefonata a Roma. L’incontro telefonico, a sessant’anni di distanza, con l’adolescente Nori, amore solo sfiorato nei corridoi del liceo, richiama il concetto parmenideo di eternità, insieme alla relatività di Einstein e alle teorie di campo conformi della fisica. Le immagini distillate dai ricordi diventano onde concentriche, mano a mano che le parole scalfiscono come sassi la superficie liquida della distanza degli anni, fino a un punto zero che è l’Adesso, dove la linea curva delle parole incontra il suo principio. Krems, dove il passato remoto irrompe all’improvviso nella forma di una notizia incredibile quanto una bugia, si pone lungo la linea del cambiamento di data, di direzione, meridiano ideale tra chi rimane e chi non c’è più, tra certezza e cambiamento, infinito presente nella pluralità dei percorsi possibili, nel polverizzarsi delle intenzioni e delle parole non dette, nella possibilità, anche, di nuovi incontri, l’eternità di Dio colorata dalle nostre contingenze. Un piccolo libro prezioso che parla di grandi temi: l’attesa del tempo, il sogno del futuro, il sapore inconfondibile del ricordo.