Ripensare l’ecotopia con Ernest Callenbach

Ernest Callenbach, Ecotopia. Il romanzo del vostro futuro (Ecotopia. The novel of your future, 1975), tr. Francesco Brunelli, Mazzotta Editore, 1979

Tra i fraintendimenti più tenaci che accompagnano la fantascienza fino dalla sua nascita, che ha attecchito anche tra molti appassionati, c’è l’idea che fra le virtù di un autore ci sia anche la capacità di “prevedere” invenzioni tecnologiche o scoperte scientifiche. Questo riduce la funzione di un intero genere letterario a una sorta di quiz a premi, una divinazione che ha come posta in palio la capacità degli scrittori di “stare sul pezzo”, di tenersi aggiornati sulle più recenti novità delle scienze hard.

Naturalmente è arduo (se non impossibile) indovinare un pacchetto futuribile che ci permetta di aprire una finestra sul domani, e di conseguenza ben pochi sono i romanzi che riescono a mantenere questa promessa improba — e francamente inutile. La migliore science fiction non deve prevedere il futuro, deve cambiarlo.

Ciò premesso, va detto che ci sono tuttavia opere che resistono bene alla prova del tempo, soprattutto quando non giocano a dadi il futuro della scienza, concentrandosi piuttosto sullo sfondo sociale. A sorpresa, un romanzo che ha azzeccato molte previsioni (o meglio, ha saputo individuare le tendenze più suscettibili di evolvere nel futuro prossimo), è Ecotopia dello statunitense Ernest Callenbach, forse l’ultima grande utopia scritta prima del dilagare del nuovo distopico di inizio millennio. Oltretutto stiamo parlando di una promessa mantenuta su una discreta distanza di anni, perché la prima pubblicazione dell’opera negli USA risale a mezzo secolo fa.

Il futuro prossimo in cui è ambientato Ecotopia, come spesso accade per le storie a breve termine, è già indietro nel nostro passato. Ecco la trama.

Nel 1999 un giornalista statunitense, William Weston, decide di recarsi nella vicina Ecotopia, territorio che si è dichiarato indipendente nel 1980. Si parla del nordovest degli Stati Uniti, cioè gli stati di Washington e Oregon, più la California settentrionale, San Francisco e Sacramento: quindici milioni di abitanti che hanno deciso di recidere qualsiasi legame con il resto del paese, mentre conservano rapporti con molti stati esteri.

Intorno a Ecotopia circolano negli USA molte leggende metropolitane: è in preda all’anarchia, tutti girano armati, è una dittatura totalitaria, e via dicendo.

Il romanzo ha la forma di un diario di viaggio — infatti si apre con il titolo “Appunti di viaggio e corrispondenze giornalistiche di William Weston”. Il giornalista statunitense, il primo che si reca nell’Ecotopia dopo la secessione, è informalmente incaricato dall’amministrazione USA di sondare la possibilità di una riunificazione. Giunto a San Francisco via terra con mezzi pubblici, perché in Ecotopia non sono più in circolazione automobili, si mette in lista per intervistare la presidente Vera Allwen (sono le donne a guidare il partito al governo, il Sopravvivenzialista), e nel frattempo entra in contatto con la quotidianità di questa parte d’America che ormai è quanto di più distante si possa immaginare dagli USA.

Due decenni scarsi sono bastati a trasformare radicalmente non solo il paesaggio, ma anche il carattere degli abitanti. Innanzitutto è diffuso un rancore profondo verso i vicini, ormai percepiti come altro-da-sé, come se non fossero mai stati un unico popolo. In secondo luogo, Weston deve constatare che, malgrado la mancanza delle caratteristiche peculiari di una civiltà industriale avanzata, la tecnologia ecotopiana è tutt’altro che arretrata. La questione dell’energia e del consumo di materie prime rinnovabili è naturalmente alla base dell’epocale svolta ideologica.

Con il pretesto di raccontare tutti gli aspetti del nuovo ordine sociale in taglio giornalistico (ma con il controcampo delle pagine del diario personale di Weston), Callenbach costruisce l’ultima grande utopia del nostro tempo. Fino dalla nascita, l’utopia e la sua gemella negativa, che oggi chiamiamo distopia, sono state contemporaneamente presenti nella storia del pensiero: anzi, l’una è la mano sinistra dell’altra — così Ecotopia potrà sembrare al lettore liberista un mondo altamente indesiderabile. Ma è più o meno dalla pubblicazione di questo romanzo che il genere utopico è praticamente scomparso, e la distopia è rimasta padrona del campo. Scrive Francisco Martorell Campos in Contra la distopía (2021):

“Ciò che è veramente singolare della fase attuale è che la distopia operi, per la prima volta da quando è nata, in un contesto socioculturale senza utopie influenti, rappresentato dalla mancanza di alternative all’esistente e dalla presenza di una chiusura ideologica globale che impedisce di immaginarle e desiderarle.” (p. 197)

Questa fase di incontrastato dominio è iniziata poco dopo l’uscita di Ecotopia, romanzo che diversi lettori attuali stanno rivalutando: se negli anni Settanta l’idea di un’umanità in armonia con il pianeta era precoce, oggi diventa ferocemente attuale. Le molte intuizioni futuribili di Callenbach sono divenute nel frattempo bandiere dei movimenti per la sostenibilità ambientale e, per rimanere nel campo della letteratura, del solarpunk: l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, il riciclo dei materiali, lo smantellamento del consumismo trainato dal mercato, la fine dell’ingerenza delle forze economiche nelle università, i limiti alla motorizzazione individuale, il nuovo ruolo dei media, il controllo dei lavoratori sulle aziende, la fine del capitalismo finanziario, il dirigismo economico statale, la decrescita della popolazione, la riprogettazione urbanistica, la parità di genere, una nuova etica dei rapporti sessuali e sentimentali, etc. etc.

Sono convinto che il nascente ecosocialismo, e il parallelo ecofemminismo, troveranno una buona base di partenza per progettare il futuro a partire dal pensiero di Callenbach.

 

Le altre edizioni italiane di Ecotopia sono state pubblicate da Interno Giallo (1991) e Castelvecchi (2012)