Philip Ó Ceallaigh, La mia guerra segreta, tr. Stefano Friani, Racconti Edizioni, pp. 312, euro 17,00 stampa
Racconti Edizioni è una casa editrice dedicata specificatamente alla narrativa breve e nata da pochi anni, ma già offre un catalogo di rilievo con qualificazioni a premi prestigiosi, come è stato il caso di Elvis Malaj, che nel 2018 si è qualificato nella dozzina dello Strega. Puntando su Philip Ó Ceallaigh hanno forse corso qualche rischio, decidendo di scommettere su un puledro selvaggio che avrebbe potuto ritorcerglisi contro, ma quello stesso puledro si è trasformato in un cavallo di razza conquistandosi apertamente l’apprezzamento del pubblico. Di origini irlandesi, Ó Ceallaigh attualmente vive e lavora a Bucarest, dove si è trasferito dopo una vita trascorsa fra Nord Africa, Stati Uniti e paesi dell’ex blocco sovietico. Già noto ai lettori per aver scritto uno dei libri più interessanti del 2018, Appunti da un bordello turco sempre per Racconti edizioni, in questa nuova raccolta si concentra maggiormente sulle tematiche con cui abbiamo imparato a riconoscerlo e ad amarlo.
Tema fondamentale è il viaggio come esperienza di allontanamento e crescita personale, ma anche la possibile scoperta di una via alternativa da percorrere, e storie colme di personaggi stanchi di fissarsi in un punto morto della loro vita e pronti a tutto per un riscatto personale, vite vissute al margine inserite in una società che a malapena si accorge di loro. Altro ingrediente vincente di questa miscela irlandese è sicuramente l’ironia equilibrata a cinismo e alla trivialità carnale che fa capolino dalle pagine ricordando lontanamente Bukowski.
Ogni racconto è peculiare di per sé e, nonostante sembrino mondi siti in universi paralleli e infinitamente distanti, si coglie un barlume di filo di Arianna a unire l’insieme. I personaggi che riempiono la narrazione sono persone comuni in storie minime e le loro vite sono colpite dall’intervento del destino che si presenta ogni volta in forme differenti. Ha le parvenze di un foglio dimenticato dal protagonista e di un racconto spedito dalla sua ex dal titolo decisamente provocatorio, in altre invece è una società di servizi segreti che opera nell’ombra e che prima rapisce e poi ricatta il personaggio principale costringendolo a dover ricominciare da zero sotto un velo superficiale di finta soddisfazione. “L’Alchimista” è una parodia della scrittura di Coelho, dimostrando la bravura dell’autore nell’adattarsi a stili diversi rendendoli personali. Qui il destino ha forma di Dio in persona. Il giovane pastore ha infatti la sensibilità di cogliere i profondi simboli che gli si parano innanzi, non temendo la sfida di fuoriuscire dai quei confini rurali di cui sono costituite le sue giornate, trovando perfino un tesoro nascosto.
Se ci soffermiamo per un istante su questa storia in particolare non possiamo che notare gli spunti che l’autore ci offre. Ecco il filo di Arianna cui si accennava in precedenza, Ó Ceallaigh lavora come la tortura cinese da lui stesso citata in uno dei primi racconti, dentro la coscienza delle persone. Ogni goccia è un pensiero che corrode dall’interno l’anima del lettore, comportando lo smarrimento e la perdita di ogni certezza. La società descritta è ricca di cinismo e senza scrupoli, le persone devono risvegliarsi e prendere coscienza di ciò che sono diventati, un esercito di burattini comandati da chi governa quella stessa società in cui vivono. Occorre farsi forza e scrollarsi di dosso tutti i preconcetti propinati fin dall’inizio e intraprendere un percorso di vita indipendente.
Una lettura ostica perché sfrontata e quasi brutale, ma sicuramente pregna di carattere e voglia di riscatto. Certamente non si tratta di una scrittura facile e immediata ma la sensazione che ne deriva al termine è in parte rinvigorente in parte di autocritica, quasi come il lato oscuro della Forza e la Forza stessa. Sta a noi scegliere quale parte far prevalere.