In Esordire è un po’ morire, abbiamo tratteggiato ‘la passione dell’esordiente’: le difficoltà di accesso al sistema editoriale e la moltiplicazione dei filtri che si infrappongono tra un’opera e la sua pubblicazione. Per approfondire e allargare la prospettiva abbiamo intervistato Domenico Russo, editor indipendente e membro storico di Writer’s Dream, la più nota e frequentata community di scrittori aspirianti, esordienti e pubblicati. Conosciuto con il nickname “Niko”, Domenico fa parte dello staff a titolo del tutto volontario, spinto da passione e senza alcuno scopo di lucro.
In qualità di membro storico di una community rilevante come quella del Writer’s Dream hai l’impressione che il numero degli aspiranti scrittori sia sensibilmente cresciuto in tempi recenti? In caso affermativo, credi che la possibilità di rivolgersi al self publishing sia una delle ragioni di questa crescita?
Dal punto di vista romantico, penso che gli aspiranti scrittori siano sempre stati moltissimi; quello che è cambiato è che nel mondo di oggi chiunque ha la possibilità, a costo pressoché zero, di inviare i propri manoscritti al complesso sistema editoriale o, in alternativa, di metterlo direttamente sul mercato tramite l’autopubblicazione. Suppongo quindi che sia più una questione di maggiore facilità d’accesso al mondo editoriale (seppur di superficie), che ci dà la percezione di frotte di aspiranti aumentati a dismisura.
Per rispondere alla seconda parte della domanda, in questo quadro il self publishing è di sicuro un elemento importante, che permette alla già citata maggiore facilità di accesso al mondo editoriale di trasformarsi in qualcosa di concreto: un libro pubblicato in forma cartacea oppure eBook, e quindi facilmente accessibile a chiunque.
Dici maggiore facilità di accesso, ma aggiungi ‘di superficie’, vuoi specificare?
Di superficie per due ragioni: la prima, perché il self publishing non dà l’accesso all’Editoria tradizionale, ma a quella di superficie, di tutti: quella dei lettori. L’autopubblicazione permette di raggiungere loro, un pubblico più o meno vasto a seconda del genere di riferimento.
Nel secondo caso perché accedendo alla micro-editoria, quindi a piccole Case Editrici di paese, città o regione, di fatto non si accede all’Editoria nazionale e distribuita in libreria (pubblicando con la piccola editoria si è ordinabili in libreria, non a scaffale, che è molto diverso).
Accedere all’Editoria tradizionale delle major, cioè dei grandi nomi è, invece, ancora molto difficile. Anzi, direi molto più arduo di un tempo, vista l’enorme mole di materiale che si trova in giro e la propensione all’applicazione di diversi filtri a protezione (agenti letterari, valutazioni a pagamento, concorsi, eccetera).
Secondo la tua esperienza, la pubblicazione su carta rappresenta ancora un valore forte per chi scrive? L’ampliamento dell’offerta nell’editoria esclusivamente digitale e la possibilità di pubblicare in self publishing sono guardate come un’opportunità o valutate con rassegnazione?
Questa è una domanda semplice dalla risposta difficile anche per chi fa parte di una comunità folta e attiva come il Writer’s Dream, o per chi lavora a stretto contatto con gli aspiranti ogni giorno, come facciamo noi Editor indipendenti.
Quello che posso dire è che le correnti “estremiste” sono due: da un lato, chi guarda al libro cartaceo come il solo che abbia dignità di essere chiamato libro e che valuta negativamente il mondo del self publishing; dall’altro, chi guarda all’eBook e al self publishing come al futuro e al cartaceo e all’Editoria tradizionale come “roba vecchia”, che magari sparirà nel giro di qualche tempo.
C’è poi la corrente moderata, equilibrata, e per fortuna anche la più folta: quella di chi guarda all’eBook e al self publishing come una possibilità in più, qualcosa che possa smuovere le fondamenta dell’Editoria tradizionale e portarla a innovarsi, reinventarsi secondo i nuovi canoni del nostro tempo.
Di certo l’argomento è fonte di dibattito continuo e solo il tempo potrà darci risposte univoche. Per quanto mi riguarda, penso che l’editoria digitale, compreso il self publishing (che però, ricordiamolo, può essere anche cartaceo) sia un’opportunità di crescita, cambiamento e innovazione. Questo non significa che il libro cartaceo sparirà nel giro di pochi anni, ma che sarà sempre più affiancato dalla controparte eBook. Questo è un trend che viene evidenziato, tra l’altro, anche dall’Ufficio Studi dell’AIE (Associazione Italiana Editori), con i dati dell’Editoria italiana degli ultimi anni.
Quello del self publishing, grazie alle classifiche di Amazon, è diventato anche un bacino di pesca per gli editori maggiori? Quanto è frequente il fenomeno?
Sicuramente molto frequente. È certo che tutte le grandi Case Editrici, e non solo, tengono sempre un occhio alle classifiche Amazon. L’esempio lampante che mi viene in mente è quello di un autore con cui ho lavorato, Francesco Grandis, prima autopubblicato su Amazon e poi “pescato” da Rizzoli, che ha portato il suo libro, Sulla strada giusta, nelle librerie di tutt’Italia (con minor successo, va detto, di quanto non abbia fatto Francesco da solo, ma questo è un altro discorso…).
Di esempi ce ne sono tanti come il suo: intraprendere la strada del self publishing con successo può portare anche alle major, eccezione che conferma la regola riguardo all’editoria di superficie di cui abbiamo parlato poco fa.
Discussioni ricorrenti nel forum riguardano i servizi di valutazione e editing erogati a pagamento da diversi soggetti; agenti editoriali (cui magari l’aspirante si rivolge nella speranza di essere cooptato), studi editoriali, scrittori di fama più o meno illustre e battitori liberi offrono pacchetti variamente modulati ‘cuciti su misura’. Su questo tema (nel forum) noto reazioni differenti: c’è chi rifiuta seccamente l’ipotesi, chi spera di avere un responso circa il proprio valore, chi ritiene che un editing ‘professionale’ sia giusto ciò che manca al suo libro per sfondare la barriera per entrare nel sistema. Quale la linea prevalente, secondo te?
La maggior parte degli aspiranti pensa che ci sia effettivamente bisogno, a prescindere, di tali interventi (che sia Editing, correzione, valutazione o altro). Ci sono poi però diversi schieramenti sul come arrivarci: per alcuni questo è compito delle Case Editrici e quindi sono contrari all’idea di spendere denaro per richiedere questi servizi ad altre figure professionali; per altri è necessario invece farlo proprio prima di inviare il testo a Case Editrici o Agenti letterari, affinché si possa presentare la propria opera al meglio delle sue possibilità.
Quello che vorrei che gli aspiranti capissero, invece, è che una scelta a priori non è mai una buona idea: tutto dipende dal proprio obiettivo e dall’impegno che un autore vuol infondere nella sua opera in termini non solo di denaro, ma soprattutto di tempo ed energie!
Il tema è spinoso, se ne parla poco anche perché parlare di soldi è visto come un tabù. Pur facendo parte del mondo di chi offre servizi editoriali di diverso tipo, metto subito in chiaro agli autori che seguo che avere un buon prodotto da offrire (un libro ben confezionato, insomma) è sì un’ottima e auspicabile partenza, ma che il difficile viene dopo.
Le scuole, da Holden ai seminari di scrittura al boom dei corsi di creative writing, sono stati uno dei fenomeni che hanno modificato l’approccio di un paio di generazioni di giovani scrittori, a partire dagli anni ’00. Dal vostro osservatorio come hanno cambiato l’offerta letteraria, soprattutto degli esordienti? Oggi sono un vettore di crescita qualitativa o solo un filtro nell’accesso all’editoria?
In realtà, gli aspiranti che bazzicano nell’ambiente da tempo vedono le scuole e i corsi di scrittura creativa in modo piuttosto scettico, per vari motivi. Da un lato, si pensa che l’accesso a queste scuole sia un ulteriore filtro economico, peraltro dispendioso; dall’altro, ci si interroga sulla reale utilità di un corso di scrittura o di un’intera scuola che insegni scrittura creativa: il talento, dicono alcuni, non si può acquisire; si può imparare solo la tecnica.
Personalmente credo che per imparare la tecnica e la teoria della scrittura creativa si possano seguire corsi ad hoc, e che quindi questi possano essere, certo, un vettore di crescita qualitativa in relazione non solo ai libri, ma anche ad attività attinenti (scrittura per il web, sceneggiature, eccetera).
Tutto dipende, però, dal corso in questione e dai contenuti dello stesso: è importante quindi capire chi siano i migliori erogatori di corsi, spendere del tempo per conoscerli e informarsi sulle diverse possibilità offerte.
Infine, un’ultima insidia è rappresentata dal potenziale abbattimento di originalità, sperimentazione e unicità di stile che derivano da un’omogeneizzazione dell’insegnamento della scrittura.
Hai citato un nodo centrale, secondo me. Mi pare infatti che si assista a una certa omologazione delle voci in un circolo vizioso: da un lato si dice “se non segui il mercato non ti pubblica nessuno”, dall’altro il mercato crea un trend (nei generi e nelle voci) che pialla l’offerta.
Vero. Anche questo è un discorso molto complesso (che novità, vero?) e che racchiude in sé molte sfaccettature. Da un lato, il mercato che, come dici, tende a “piallare l’offerta”, e lo fa sostanzialmente perché oggi le Case Editrici tendono a “scommettere” meno sul nuovo, sull’originale, per rifugiarsi nella sicurezza di generi e voci che vendono a prescindere. Perché l’Editoria, spiace dirlo e distruggere così l’idea romantica degli esordienti, sta diventando sempre più assimilabile a una dimensione aziendale, che ha sempre meno a che fare con la “cultura” nuda e cruda, che tuttavia ancora ingloba in sé.
Solo le aziende più lungimiranti innovano; le altre stanno a guardare, puntando il dito e limitandosi al vecchio che funziona, senza cercare nel nuovo ciò che potrebbe funzionare meglio.
D’altro canto è pia illusione cercare a tutti i costi di andare contro il mercato e offrire prodotti (libri, in questo caso) non in linea con quello che cerca il pubblico (i lettori).
Trovare l’equilibrio tra quello che è nuovo e quello cui è interessato il mercato è la vera sfida: non tutti la colgono, perché è rischioso.
Scuole di scrittura, valutazioni e servizi a pagamento: quello dell’aspirante esordiente sta diventando un mercato, in cui risuona un po’ furbescamente l’idea che con “tanta passione, umiltà e un po’ di buona volontà” tutti ce la possono fare.
Sono d’accordo: quello dell’esordiente sta diventando (anzi, è diventato) un mercato vero e proprio. Da condannare, tuttavia, non è tanto l’esistenza di questo mercato, ma chi, in questa giungla editoriale, se ne approfitta e marcia sull’ignoranza degli esordienti, che spesso non sono consapevoli dei meccanismi che governano l’editoria.
Non è vero che basta la passione, l’umiltà e la volontà. C’è bisogno di informarsi, capire, prendere scelte che siano in linea col proprio obiettivo. Non bisogna, a parer mio, soffiare sul fuoco dei sogni altrui, soprattutto se ingenui: si deve, certo, sognare, ma bisogna farlo partendo coi piedi per terra!
In tutte queste insidie è facile perdersi (basti pensare al male dell’EAP, l’editoria a pagamento), ma è altrettanto facile informarsi per evitare brutti errori.
A proposito dell’EAP, è ancora in forma smagliante o l’allargamento all’ampliamento del Self Publishing ha imposto una battuta d’arresto?
Purtroppo, e spiace dirlo, è in forma smagliante. Chi si affaccia da neofita a questo settore non ha idea di come funzioni l’Editoria (quella italiana, poi, è ancor più insidiosa e ingarbugliata!) e cade spesso preda dell’Editoria a pagamento; vuoi per vanità e l’influsso malevolo dell’ego (non a caso oltreoceano l’EAP è chiamata “Vanity Press”), vuoi per scarsa conoscenza del settore, vuoi per pura e semplice ingenuità.
Contro di essa abbiamo solo un’arma: quella dell’informazione, per rendere gli scrittori consapevoli delle loro scelte. Perché l’EAP non è truffa, non è illegale: l’autore firma un contratto regolare che giuridicamente, attenzione, non è di edizione, ma di appalto! Per chi voglia approfondire, veda la legge italiana sul Diritto d’Autore, 22 aprile 1941 n. 633, via via aggiornata.
Che poi tutto quello che promette l’EAP sia fumo negli occhi non conta, per loro: ormai il pesce ha abboccato. Dobbiamo lavorare, e io lo faccio ogni giorno, per far sì che gli aspiranti evitino l’amo all’origine.
Nell’ultimo decennio hai notato, tra esordienti e aspiranti, una variazione dei generi prevalenti? Esiste, nell’universo del self publishing, una gerarchia di generi diversa da quella che incontriamo in libreria o grossomodo sono allineate?
Il self publishing si nutre molto delle pubblicazioni in libreria e viceversa, a mio parere.
Nell’ultimo decennio, così come in libreria, si sono moltiplicate le storie d’amore, di genere rosa ed erotico anche nel self publishing. Questo è sicuramente il genere più in voga e che occupa il primo posto indiscusso da tempo; è anche quello su cui c’è unanimità di posizionamento.
Dall’apice in poi diventa più complicato fare classifiche.
Possiamo dire che nelle prime posizioni ci sono sicuramente i gialli (soprattutto polizieschi e thriller), la narrativa non di genere e il mondo del fantasy e fantascienza. Quest’ultimo genere è quello che più si discosta dal mercato editoriale tradizionale, che spesso lo rifugge.
Altro tassello più in vendita nel mercato dell’autopubblicazione rispetto all’editoria tradizionale sono le raccolte di racconti. C’è poi da segnalare, nel self, una predominanza di manuali di ogni genere, molto apprezzati (soprattutto quelli della branca motivazionale e di life coaching), e anche di libri per bambini e di cucina (intramontabili tanto quanto per l’editoria tradizionale).
Per concludere e tirare le fila, direi che fatta eccezione per il genere fantasy/fantascienza e le raccolte di racconti, il mercato del self publishing corre più o meno in parallelo a quello tradizionale.