Robert Burton. La malinconia, la sua cura

Robert Burton, L'anatomia della malinconia, cura Luca Manini e Amneris Roselli, Bompiani, pp. 3008, euro 65,00 stampa

Come si fa a sconfiggere la malinconia? Essere malinconici equivale a essere folli? Bisogna guarire il corpo o la mente? O entrambi? Sono queste, o simili, le domande che deve essersi posto Robert Burton quattrocento anni or sono, allorquando iniziò la stesura del suo trattato sulla malinconia. Burton iniziò la scrittura del testo nel 1620 e la portò avanti, praticamente, fino a che la sua vita non ebbe fine. Come sottolinea Luca Manini, nella sua introduzione al libro, L’anatomia della malinconia doveva essere, nelle intenzioni dell’autore, una vera e propria cura, una sorta di trattato medico della guarigione.

Accostarsi al libro di Burton significa, per il lettore, avvicinarsi a un’opera che è anche un mondo, che racchiude in sé cielo terra e inferi. Lo trasporta “dall’armonia delle sfere celesti sino agli abissi dell’inferno, facendogli osservare il caos che domina il mondo terreno”. Ed è in questo caos che si insinua e s’impone, per Burton, la malinconia, questa afflizione dell’animo.

Robert Burton, con L’anatomia della malinconia, ha assunto il compito di studiare la malinconia allo scopo di indicare le possibili cure, e lo ha fatto seguendo uno schema preciso, “che trova la sua origine nei principi medici enunciati nell’antichità da Ippocrate e da Galeno”: 1 – Analisi sistematica delle cause e dei sintomi, 2 – Esposizione della diagnosi, 3 – Somministrazione della cura.

Il lettore però non deve aspettarsi, nel leggere l’opera di Burton, una trattazione che sia unica e uniforme, piuttosto egli troverà una scrittura ben rappresentativa della natura varia delle manifestazioni dello stato malinconico. Deve quindi il lettore, come scrive lo stesso autore nelle conclusioni dell’opera, attendersi di ridere e di piangere e deve essere, al contempo, sarcastico e comprensivo.

Robert Burton presenta se stesso come una persona malinconica, e con questo attiva due distinti processi: da una parte, procede a una identificazione con il lettore malinconico e, dall’altra, assume la possibilità di parlare come auctoritas, ponendosi “alla pari con le autorità passate e presenti con le quali puntella ogni pagina della sua opera”. Così come duplice è anche lo scopo ch’egli vuole raggiungere: curare gli altri e curare se stesso, usando la scrittura per sé a scopo terapeutico e destinando agli altri la lettura. D’altronde duplice è, per Burton, anche la natura stessa della malinconia, poiché essa può essere un sentire di dolce struggimento, ma può anche essere il genio malvagio, che porta sofferenza e tormento spirituale.

La malinconia, che Burton assimila a una delle infinite forme della pazzia, “è qualcosa di più di un semplice stato di alterazione mentale e/o fisica”. Secondo le teorie mediche dell’antichità, ancora seguite quando Burton scrisse L’anatomia della malinconia, la salute di corpo e mente era il risultato dell’equilibrio tra i quattro umori che costituiscono l’essere umano: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. Nel momento in cui questo precario equilibrio si spezza, ecco insorgere la malattia, la quale dunque può essere indicata come uno squilibrio tra gli umori, “nel segno dell’eccesso o del difetto”. La salute poteva essere riacquistata solo ricomponendo questo equilibrio. Tuttavia Burton vede la malinconia talmente diffusa in tutti “da farsi cifra del mondo, causa e motore primi dell’agire umano, degli umani comportamenti” al punto che essi sono sorretti “non dalla sapienza o dalla ragione bensì dall’irragionevolezza e dall’irrazionalità; dalla vanità che nega la visione di ciò che è vero e reale; dalla mancanza di una virtù che dia alle cose il loro giusto peso e valore; da uno squilibrio che è alterazione, cecità, deformazione, mutilazione”. Ed è proprio la consapevolezza di questo tormento universale che spinge Burton a scrivere L’anatomia della malinconia.

L’autore vuole condurre i suoi lettori nei gironi infernali della malinconia, per indicare loro una via d’uscita “dal labirinto di male che la malinconia è”, perché la malinconia assume mille forme diverse, tante quante sono le persone. E così li trascina, i lettori, in un flusso ininterrotto di parole citazioni immagini storie personaggi esempi… al punto che per Manini si potrebbe porre a epigrafe dell’opera una delle tante citazioni che lo stesso Burton riporta: melancholica deliria multiformia. Sono parole che hanno in sé il tema del libro, il disordine della mente che delira e la molteplicità.

Ciò che Burton mette in scena nella sua opera è l’uomo dinanzi al mistero delle cose; è l’anelito di conoscenza; l’ansia di investigare. E, nella commedia/tragedia che è la vita umana, egli raffigura, insieme, la possibilità di conoscere e l’impossibilità di farlo fino in fondo, la vastità e il limite, la chiarezza e l’opacità. Nel momento in cui Burton avoca a sé una conoscenza precisa di ogni singolo aspetto del cosmo, si appella a una serie infinita di auctoritates le quali, a ben vedere, si contraddicono a vicenda. Così egli prima le mette in discussione, poi addirittura le nega. Per Manini sembra quasi che Burton lanci delle vere e proprie sfide ai lettori, alla loro intelligenza, alla capacità di discernimento, spronandoli così al confronto, come lui stesso fa, e alla riflessione.

Il suo è il metodo di chi non smette mai di porsi domande, che lascia sempre degli spazi aperti alla ricerca nuova. Un invito forse che egli fa al lettore, a non lasciarsi mai pienamente soddisfare da una teoria o da un’altra, a essere sempre aperti a nuove interpretazioni, nuove proposte. Ma come si riesce a tornare all’armonia? Come si vince lo stato universale della malinconia? Due sono i rimedi principe che Burton suggerisce a conclusione della propria opera: 1 – Evitare l’ozio. Tenersi sempre fisicamente e mentalmente impegnati. 2 – Pregare.

Somma cura è, per la malinconia, raggiungere il summum bonum che, secondo Epicuro e Seneca, “è la tranquillità della mente e dell’animo”. Per sconfiggere questo male, o malessere che sia, “la disperazione deve essere volta in speranza di rigenerazione”.

In diversi punti del testo ma, in particolare nelle conclusioni, Robert Burton si rivolge direttamente al lettore, lo coinvolge in qualità di agente attivo della propria guarigione dalla malinconia, gli ricorda il legame indissolubile tra mente e corpo.

Ma ciò che colpisce delle parole dell’autore è l’umiltà che egli prova dinanzi al lettore, il timore e, al contempo, la consapevolezza di essersi messo allo scoperto scrivendo il libro e, di conseguenza, esposto alla critica. Teme che alcuni passaggi del testo possano essere poco apprezzati, perché troppo satirici e pieni di amarezza, oppure perché troppo comici o scritti con troppa leggerezza. Si mostra consapevole di eventuali errori e sviste e non esita a imputarle alla mancanza di revisione. Avrebbe dovuto leggere, rileggere, correggere ed emendare ma non lo ha fatto: “non ne ho avuto l’agio o il tempo, non avevo né amanuenses né assistenti”.

L’anatomia della malinconia è un’opera monumentale, e non solo per la sua grandezza fisica – essendo composta infatti da oltre tremila pagine. È un viaggio nella cultura seicentesca. È un’opera che potrebbe continuare all’infinito, è un trattato medico ma anche un manuale di anatomia e fisiologia, un trattato filosofico ma anche una sorta di antologia della poesia europea, un atlante geografico e un testo di storia antica e moderna, un trattato di astrologia e astronomia ma anche un libello satirico.

Un libro che si può leggere come “un viaggio verso un rinnovato ordine, verso una luce nuova; come una lotta per riconquistare ciò che si è perduto, riformando e rifondando il mondo”. E se diamo per certo l’assunto di Burton secondo cui il mondo intero è malinconico (se non addirittura pazzo), allora, sottolinea Manini, tutte le persone potranno trovare qualcosa che, ne L’anatomia della malinconia, possa parlare a loro, essere loro di aiuto e di conforto.

Burton stesso scrive che trova conforto nel pensare le critiche varie come i palati: tanti saranno quelli che lo criticheranno almeno quanti quelli che lo apprezzeranno. Nella sua opera sarà talmente vasta e varia la mole di informazioni che il lettore, anche contemporaneo, troverà che questo equilibrio sarà per certo mantenuto.

Recensione tratta dalla rivista web Articolo 21