La vita è esercizio di stile. È una questione moderna che riguarda la letteratura degli ultimi due secoli, ovvero quando essa ha iniziato a problematizzare le sue fondamenta in maniera sistematica. L’ossessione della forma ha permesso di realizzare due verità, insieme legate eppure in contrasto: il messaggio di un’opera è sempre un’illusione e il messaggio di un’opera è un automatismo il cui legame con il testo è del tutto casuale.
Non sono due verità assolute, ma relative, e possono essere trascese solamente se accettate come la speciale declinazione di un momento. Eppure questo rovinare, questa arruina, sembra descrivere così bene quel particolare sentimento che ha portato la cultura a rompere ogni legame epistemologico con sé stessa. Potremmo riferire le cause più disparate, le analisi più sotterranee, il segno resta sempre uno: la saturazione.
Arruina è il paradosso di Iannone: un lungo poema libero che trova la sua compiutezza nella prosa. Eppure la problematica è chiara, e si trova, dichiarata, tra le maglie del racconto stesso: il giudizio si ribella all’archetipo e nonostante ciò cerca il suo consenso. Un peccato imperdonabile a patto che venga sacrificato quanto di più prezioso ha uno scrittore, ovvero, l’estro.
Non è l’unico sacrificio tirato nel mezzo. La storia stessa inizia con la prospettiva di un sacrificio ed è quello di una bambina, dalla quale, in maniera inversa, dipenderanno le sorti di questo o di quell’altro mondo, e per scongiurare ciò, il personaggio, suo padre, dovrà liberarla misurandosi con esseri sovrannaturali, beffardi e recalcitranti, ambigui e incomprensibili, i quali una volta spogliati delle connotazioni folkloriche meridionali sono in tutto e per tutto entità interiori; le Nerissime e le Ianare, quali rimorso e rimpianto. Il rimpianto di colui che non ha colto il suo tempo e i rimorsi che verranno a minacciare la personale innocenza dalla cui morte il tempo stesso si realizzerà. È la denuncia di chi ambisce a un nucleo primario nel quale vi trova anche il proprio personale dissidio rappresentato dal desiderio di grandezza e la consapevolezza che quest’ultima determinerebbe la perdita di tale innocenza. Ma egli vuole essere innocente e mortale, e decide di mettersi in cammino, sì, ma continuando a fare brandelli del tempo, indeterminarlo e piegarlo sotto la volontà arbitraria del proprio stile. Verso Roccagloriosa, dove la Sperduta è tenuta in ostaggio.
Arruina è la storia di una perdita e di una riconquista illusorie. La Sperduta non può essere rapita in quanto è già nata Sperduta. È l’utopia che crediamo sia lontana, nascosta, fuggita, mentre essa dorme accanto a noi. È la paura di una perdita più che una perdita in sé, e della simile materia sembra fatto il romanzo: “Acta est fabula” è l’iscrizione che si legge alle porte del paese di Acquavena, uno di primi in cui il padre e la madre si imbatteranno nella ricerca. Il cammino comincia e il viaggio è già finito.
I personaggi che incontreranno lungo il cammino – la Briganta, il Poeta Antico, la voce sommersa, la Sciangata, ‘O ‘Mpasturato, il Matto – indicheranno loro la strada attraverso le proprie storie personali e vaticini, rivelazioni, enigmi. Ognuno di loro è legato a un paese – Terra Orsaia, Selva Nera, Punta Avvelenata, Terradura – in virtù, o meglio, in disgrazia, della propria perdita, e anch’essi, come i luoghi in cui vivono, sono abbandonati a sé, sordi ruggiti di scontrosa poesia. Sono i luoghi e i nomi reali della provincia di Salerno e resi irriconoscibili nella loro traduzione fantastica. Questa traduzione fantastica si rompe nel racconto dell’O ‘Mpasturato, squarcio attraverso il quale assistiamo alla triste vicenda dell’alluvione e della frana a Sarno nella quale perirono 160 persone il maggio del 1998, crasi pronta a ricomporsi nel quadro della narrazione surreale, ma che a questo punto del libro diventa rivelatrice, probabilmente, di qualcosa di ben più inestricabile, e che è il vero fulcro del tutto. Leggere per credere.
Nel romanzo vi è il proliferare dei corpi, una proliferazione che è attrazione e repulsione, indagine ed esasperazione, paragonabile alle poetiche anatomiste dada. Iannone sembra voglia demolire la realtà a colpi di materia, e la sua scrittura è acqua che scorre su un vuoto. Un caos di intermittenti rivelazioni che trovano senso in rari e fulminei momenti di lirismo e che denuncia gli automatismi di elementi fissi – l’alfabeto, le labbra, i denti, i crani – scanditi dal ritmo della poesia interiore al romanzo.
L’amore, il sogno e la follia, la liberazione, i temi combinati, all’interno di un audace esperimento che combina fantastico e post-moderno con gli strumenti della scrittura del Novecento. Il romanzo denuncia l’illusione della corsa verso qualcosa di cui già si conosce l’illusione. Forse è la scrittura stessa. Per questo Arruina è un antiromanzo. Un antiromanzo poetico che si canonizza da sé.