Romanzo coinvolgente, consuma la distillata saggezza degli interrogativi esistenziali, concentra la spietata e lucida lacerazione dell’anima nelle vive e lapidarie pagine, sature di una tensione essenziale. Il protagonista pratica uno strano e assurdo lavoro, intaglia i corpi dei morti suicidi e sprofonda nella loro coscienza attraverso la ferita, e tenta d’interrompere il gesto estremo. Ma improvvisamente durante il responsabile incarico qualcosa si incrina e l’uomo si trova a subire lo stesso dolore degli estinti e si misura con una imprevedibile, crudele confessione. Egli incide la fragilità umana, dilata lo squarcio delle ferite, assimila la scrupolosità della coscienza riportando alla memoria l’abisso misterioso che ha provocato il danno nel cuore degli uomini. Svolge minuziosamente e dettagliatamente il suo mestiere, nell’efficace esposizione di una necessità chirurgica, comprende la delicata ed esasperata pratica, eseguita con gli adatti strumenti di lavoro, quando accade un suicidio. Ispeziona il corpo di ogni persona e tenta di sottrarre alla morte il contenuto della mente, espresso sulla soglia della animata cognizione, interviene con il suo ordinario procedimento, apre il cadavere con un coltello e penetra nella piaga profonda del mondo interiore, proiettandosi nella psiche inquieta del suicida.
Lucio Leone affonda il vuoto enigmatico e occulto del trapasso, indaga l’ambigua e arcana questione del grave disagio introspettivo, interpreta la condizione dolorosa e disperata, coglie il groviglio della desolazione, con l’autentico proposito di riuscire a scoprire la prospettiva decisiva e fondamentale della sofferenza. La ferita apre una lesione traumatica nell’imponderabile fatalità della vita, riflette la virtuosa attitudine di rappresentare le distanze del coraggio, esamina l’intensa complessità dei sentimenti, riscontra l’impulso vitale nella sua intima esperienza, rivela negli indizi la ragione dell’atto autolesionistico, concede al protagonista la straordinaria e visionaria missione salvifica, con l’intento d’impedirne inesorabilmente l’epilogo estremo, con la benevola attenzione di scrutare, con il dono determinato degli occhi, la voragine avida delle confessioni dell’inconscio.
Leone afferma, con rara ed elegante perizia narrativa, l’imprevedibilità della propria emotività, rivela la polvere delle proprie inquietudini, osserva la paura nichilista, nel significato di un frammento: “il vuoto ha sirene nascoste che cantano”. Riconosce al protagonista del romanzo l’azione di rimanere condizionato inevitabilmente dalla suggestione di ciò che vive, di non riuscire più a sostenere lo sguardo smarrito, perduto e poi recuperato dei defunti, scommettendo, in questa ammissione, lo strumento umano migliore, nel compromesso complice della condivisione della compassione. Un romanzo originale, disorientante e disarmante, che dipana il suo intreccio nella cronaca immaginaria del grigiore della malinconia, dell’oscura incognita della sensibilità. La ferita precipita sulla frazione terminale di ogni superficie esistenziale, sedimenta il confine spirituale di una colpa silenziosa, trasforma prontamente il fallimento del desiderio e della lusinga, intensifica il limite speculativo tra la percezione onirica e la concretezza della realtà, distingue la resistenza ipnotica del tempo. Il libro oltrepassa la cifra macabra della dispersione di sangue e dell’angoscia martoriata delle spoglie e insegue, nella poetica magia della densità linguistica, la partecipazione intuitiva ai timori dell’umanità. La trasposizione inconsapevole delle emozioni sposta la relazione analitica con l’irresistibile seduzione di ogni insidia taciuta nelle pieghe dei simboli, attraverso uno stile che abita la sospensione del passato, nasconde la sconfitta dell’innocenza, separa lo stridore della depressione dal suono terribile dei pensieri. Concentra le scelte senza esitazioni, interpretando l’intervallo transitorio della distanza tra la mente e il gesto, nell’evento motivato dentro una folata di vento freddo sull’anima, dentro una ferita da curare, nella telepatia delle parole che corrispondono l’istintiva verità, vicina e irraggiungibile dell’animo umano, nello scenario profetico: “…e che attraversando il futuro a ritroso, tutto muta, si unisce o cambia”.