La farina dei partigiani. Un’epica della Resistenza al confine orientale

Piero Purich e Andrej Marini, La farina dei partigiani. Una saga proletaria lunga un secolo, Alegre, pp. 464, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

“Una saga proletaria lunga un secolo”, è il sottotitolo del romanzo La farina dei partigiani che Piero Purich e Andrej Marini dedicano alle lotte operaie che, dal primo dopoguerra ad oggi, hanno coinvolto i lavoratori del Cantiere navale di Monfalcone.

L’arco cronologico così lungo è percorso da tre generazioni di protagonisti, legati gli uni agli altri da rapporti parentali. Le storie dei nonni e dei genitori si intrecciano con quella dell’autore Andrej Marini, figlio di Edi Marini e Sidonia Romano. I nonni materni di Andrej sono Piero Romano, abilissimo maestro d’ascia nella costruzione degli scafi in legno delle navi e Anna, che faceva parte della famiglia Fontanot, punto di riferimento della Resistenza nella zone del Litorale adriatico.

Si trattava di una famiglia molto numerosa, legata da forti vincoli parentali e da idee e comportamenti politici che si trasmettevano tra le generazioni. Una famiglia che, immediatamente dopo l’affermarsi del fascismo, aveva conosciuto l’emigrazione in tutta Europa e negli Stati Uniti. Negli USA Piero era entrato clandestinamente, dopo il licenziamento dalla fabbrica e aveva sperimentato il duro lavoro dell’edilizia e la bestialità dello sfruttamento del capitalismo.

Alcuni membri della famiglia Fontanot si erano stabiliti definitivamente in Francia e i loro figli combatteranno nella resistenza armata della Mano d’Opera Immigrata (MOI) guidata dall’armeno Missak Manouchian. Nella epica lotta contro i nazisti moriranno tre giovani Fontanot, parenti di Andrej, insigniti da onorificenze al valor militare in Francia: Nerone, il giovanissimo fratello Jacques e il cugino Spartaco.

Una parte della famiglia proveniente dalla Bulgaria sarebbe invece ritornata in Italia alla metà degli anni Trenta e avrebbe organizzato il Soccorso Rosso per le vittime del regime, dando vita alla Resistenza già a partire dall’occupazione italiana del Regno di Jugoslavia nel 1941.

Famiglia Fontanot

La famiglia è dunque il fulcro dell’opposizione al fascismo. Lì si discutono le azioni, si nascondono ciclostile ed armi, si aiutano i parenti perseguitati, si vive e ci si diverte organizzando merende e balli in cortile con figli e amici fidati che talvolta si incontrano e si fidanzano, come accadde a Edi e Sidonia.

Il libro di Purich e Marini è un’epica della storia del secolo letta attraverso le complesse vicende della famiglia e la forma scelta è la migliore per descrivere i drammi di chi in quel periodo si espose in prima persona. Ci voleva un “oggetto narrativo” che desse conto soprattutto delle passioni del tempo e mi pare che il libro, ancorato storicamente agli avvenimenti del secolo, le metta pienamente in luce.

C’è poi un altro merito: il racconto illumina il passaggio tra generazioni, la capacità di Andrej di cogliere gli ideali che mossero i suoi genitori e di mettere a fuoco, attraverso un personale e lungo percorso di formazione, fatto di viaggi ed esperienze all’estero, i limiti e le tragedie che segnarono l’esperienza dei comunisti della Venezia Giulia. Ad Andrej, oltre al coraggio di sfidare il proprio padre che lo vorrebbe farmacista e di seguire piuttosto le orme del nonno, diventando un bravo tecnico specializzato, rimangono impressi gli ideali della famiglia e la capacità di socializzare con i popoli che conosce in giro per il mondo, ma il cosiddetto “socialismo realizzato” e i comportamenti dei dirigenti politici lo deludono molto. E’ un ribelle, come Edi, considerato dal partito un rompicoglioni, sempre critico verso la linea del partito.

Il volume prende inizio dalla storia della prima guerra mondiale e mette a fuoco la radicalizzazione politica che l’esperienza bellica produsse tra i sopravvissuti, consapevoli che la guerra era affare dei più ricchi ai danni del popolo. Descrive le battaglie del primo dopoguerra, non solo per ottenere miglioramenti economici, ma per dare la spallata definitiva ad un ordine politico che aveva prodotto quella carneficina. Il Cantiere è il luogo dove operai italiani, friulani, sloveni e croati si incontrano e discutono delle politiche persecutorie del fascismo contro gli slavi. Così la Resistenza fu combattuta precocemente insieme, e i conflitti tra italiani e sloveni messi da parte in nome della battaglia comune. Piero e Anna si impegnarono in pianura, raccogliendo nella loro casa cibo, tabacco, “farina dei partigiani”, armi che servivano nella lotta nel “bosco”.

Nel 1944 Edi e la giovane fidanzata Sidonia, entrambi impiegati in Cantiere, sono a Tarcento dove la direzione aveva insediato il suo reparto aeronautico. Edi, che collaborava con la Resistenza, venne catturato da un gruppo di cosacchi, collaborazionisti dei tedeschi, insieme a due compagni, Sergio Villani “Bucaniere” e Guglielmo Novelli “Willi”. Edi aveva una pistola che non avrebbe dovuto portare, perché, come aveva raccomandato Vinicio Fontanot, capo dei GAP, i partigiani in pianura devono girare disarmati. Epico è l’inseguimento che l’amico di Edi, “Icaro” a guerra appena finita compì in Friuli, verso il confine con l’Austria per rintracciare il cosacco che aveva ferito il compagno e ucciderlo su sua richiesta, per paura di essere consegnato all’Armata Rossa.

Edi fu nascosto in una casa e curato da Sidonia. Non morì ma rimase invalido, cieco da un occhio e con un braccio lesionato. Su di lui pesò per sempre il senso di colpa di aver causato la cattura e la morte dei due compagni che erano con lui. Fu curato a Bologna, anche dopo che decise di trasferirsi in Jugoslavia per vivere in un mondo socialista, perché nel dopoguerra i licenziamenti, le assunzioni degli esuli e i processi contro i partigiani avevano fatto capire quale strada politica stava imboccando il paese. Grande era stata la delusione per lo stabilirsi del confine nel 1947 con l’assegnazione della cittadina all’Italia, mentre molti operai volevano che il territorio passasse alla nuova repubblica di Jugoslavia. Da qui il trasferimento di migliaia di lavoratori nel paese socialista e il trauma successivo della cacciata dal Cominform da parte di Stalin nel 1948. Tra le pagine più belle del libro c’è il racconto di chi, rimasto fedele all’Unione Sovietica, fu rinchiuso in carcere, mandato sull’Isola Calva, picchiato dagli stessi compagni che volevano dimostrare ai carcerieri di essersi redenti e di appoggiare Tito. Abbandonati dal partito di Trieste e da quello di Roma, ignorati dalla Russia per cui avevano patito, la sintesi della tragedia che vissero è racchiusa nella vicenda di Marco Sfiligoi, che stremato e abbruttito dalla prigionia, bussò alla porta dei Romano per chiedere aiuto. Andrej fu costretto a cedergli la stanza. Spiando quel corpo pieno di ferite ed ecchimosi, le mani senza unghie, lo sguardo spento, capirà i drammi della costruzione del mondo nuovo a cui la famiglia aveva profondamente creduto e alla quale, con l’aiuto di Piero Purich, ha voluto dedicare oggi questo importante e corale riconoscimento.