Perché riproporre il volume di Bato Tomašević Montenegro. Attraverso una saga familiare, la nascita e la scomparsa della Jugoslavia (Lint, 2009, euro 18,00)? Bato Tomašević è stato partigiano, diplomatico, editore e giornalista montenegrino. Nel volume ripercorre la lunga storia della Jugoslavia dal Quattordicesimo secolo alla sua dissoluzione a causa dei conflitti nazionali, tema molto attuale anche oggi, e lo fa in modo scorrevole e avvincente. Ci fa partecipi dei racconti epici del nonno e del padre che narravano ai bambini la memorabile sconfitta dei serbi nella Piana dei Merli a Kosovo Polje nel 1389, la battaglia di Grahovac contro i Turchi del 1858 che segnò l’indipendenza del Montenegro, le guerre balcaniche del 1912-1913, la Prima guerra mondiale e la nascita del Regno Jugoslavo, cui molti montenegrini si opposero perché volevano mantenere la loro indipendenza e giudicavano che la Serbia avesse troppo potere.
Il piccolo Bato, uno degli otto figli della grande famiglia Tomašević si forma dunque attraverso le narrazioni degli anziani che parlano di guerra, coraggio e eroismo, orgoglio, famiglia e ospitalità. Bato nasce nel 1929 e sperimenta da bambino i conflitti nazionali che serpeggiano nel regno. Quando la famiglia decide di trasferirsi da Cetjnie, la vecchia capitale montenegrina, a Mitrovica nel Kosovo, ormai libero dai turchi, deve difendersi dalla violenza degli albanesi, per i quali ogni conflitto si risolve con la vendetta, idea condivisa anche dalla popolazione serba che si vuole insediare nel territorio e che considera gli albanesi una razza inferiore. Il padre Petar ha ottenuto un posto presso la polizia locale e lavora per tentare di comporre le faide e stabilire la legge. Ma l’impresa si svela essere molto complessa e difficile. Un timore serpeggia nei funzionari del nuovo stato: quello dell’espandersi del comunismo che vorrebbe fare del Regno una sorta di federazione in cui i popoli godano degli stessi diritti, un’idea assolutamente contro corrente in epoca di accesi scontri nazionali.
Petar educa i figli al rifiuto netto delle idee dei comunisti, ma la storia dei suoi figli seguirà una strada diversa. Intanto l’assassinio di re Alessandro a Marsiglia nel 1934 per mano degli ustaša croati mette in risalto la fragilità del nuovo stato e il permanere dei conflitti tra diverse popolazioni. La guerra scatenerà senza mediazioni tutte le tensioni accumulate da secoli. Con l’occupazione italiana anche i montenegrini si dividono. C’è chi vede nell’Italia una potenza amica, in grado di rafforzare l’autonomia del Montenegro, grazie al matrimonio della regina Jelena Petrović-Njegoš, la regina Elena di Montenegro, con Vittorio Emanuele III, altri che rifiutano l’annessione del territorio allo stato fascista, rappresentato dal generale Alessandro Pirzio Biroli, inizialmente presentata come integrazione pacifica del regno montenegrino all’Italia e diventata rapidamente guerra spietata dopo il 6 aprile 1941 con l’annessione e la spartizione del regno fatta dalle potenze dell’Asse e la mobilitazione della popolazione contro l’invasione. Pirzio Biroli utilizza la violenza per reprimere il movimento dei ribelli guidati dai comunisti e nel gennaio 1942 ordina spietate rappresaglie anche della popolazione civile.
Alcuni dei Tomašević si accostano al movimento partigiano e combattono coloro che appoggiano i fascisti: i cetnici serbi, gli ustaša croati e i verdi montenegrini. In prima linea nella Resistenza c’è la sorella di Bato, Stana, che diventa una dirigente riconosciuta e apprezzata dai compagni e dagli inglesi. Dopo l’8 settembre tutti sono chiamati a una scelta, e oltre a Stana e alle sorelle Ljuba e Nadia, anche il giovanissimo Bato si aggrega quasi inconsapevolmente ai ribelli, spinto anche dalla morte dell’amato fratello Duško, catturato dai fascisti e rinchiuso nel lager italiano di Colfiorito e ucciso dai cetnici appena tornato in Jugoslavia.
La Resistenza è raccontata nel volume in modo privo di retorica, mettendo in evidenza le fatiche della guerra contro i tedeschi nelle zone impervie del Montenegro e della Bosnia, la vita durissima e la violenza generata non solo dagli occupanti, ma dalla guerra civile che vede l’orrore del campo di concentramento di Jasenovac, dove il governo croato di Ante Pavelić elimina rom, serbi, ebrei e musulmani in una catena di massacri etnici e religiosi.
Il lavoro per ricucire la società post bellica appare davvero enorme. Il paese al momento della liberazione è distrutto e ha perso circa un milione di persone. La volontà di unire popoli, lingue e religioni diverse garantirà con grandissimi sforzi il futuro politico e il prestigio della Jugoslavia.
Molto interessante è il racconto dello strappo tra Tito e Stalin, del vero e proprio shock che colpì il paese che aveva lottato con il nome dell’Armata rossa nel cuore e dell’ossessione che attraversò la Jugoslavia nella caccia ai traditori che lavoravano per l’Unione Sovietica. I processi pubblici, gli interrogatori, l’espulsione dal partito e l’ostracismo sociale durarono almeno sino ai primi anni Cinquanta, creando un clima di paura e sospetto. Anche Bato viene sospettato di eresia e questo è la molla per studiare l’inglese e trasferirsi a Londra per proseguire i suoi studi. Lì incontra la moglie Madge, si sposa e la coppia torna a Belgrado. Espulso dalla diplomazia per avere sposato una straniera, mentre la sorella Stana diventa ambasciatrice a Oslo, Bato si dedica al mondo del giornalismo e dei mass media. Alla morte di Tito tutte le contraddizioni che avevano trovato nella sua leadership un argine esplodono fragorosamente. Non a caso uno degli ultimi capitoli è intitolato “La distruzione del grande sogno”. Bato ricorda il documento della Accademia delle Scienze della Repubblica Serba che metteva sotto accusa l’idea di federazione ideata nel 1943 che avrebbe penalizzato la Serbia a favore di Slovenia e Croazia, ricorda il discorso che Milošević tenne non a caso nella Piana dei Merli nel 1987 per rivendicare i diritti del popolo serbo, la contemporanea dichiarazione nazionalista della Croazia di Tudjman che minacciava la minoranza serba in Croazia. Sembra che la storia torni alla casella di partenza con la guerra in Bosnia. In Kosovo alla pressione serba si contrappone l’idea nazionalista di creare una grande Albania priva di minoranze. In questa situazione Bano e un gruppo di compagni lottano strenuamente per mantenere l’unità della Federazione creando una televisione che denuncia il nazionalismo, ma il progetto televisivo di Yutel si infrange contro la politica dei diversi stati. Il sogno unitario e federale sparisce con i bombardamenti su Belgrado e con la fuga di Bato in Inghilterra. Ormai malato e deluso al termine della sua storia afferma che se l’unità dei popoli è impossibile, allora il Montenegro deve ritornare a essere uno stato indipendente non più unito alla Serbia, così come aveva voluto suo padre decenni prima.