La catastrofe delle equivalenze e la controversia Nancy-Agamben

Le catastrofi costituiscono ormai un orizzonte sempre più cupo e vicino: gli effetti del cambiamento climatico escono dal campo delle proiezioni pessimistiche e già segnano una realtà oggi surriscaldata anche dalla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. In questo “clima” sempre più drammatico, le polemiche in torno alla pandemia del Covid-19 possono sembrare superate o addirittura minori e invece ci sembrano pertinenti e ancora più urgenti. Non solo perché la catastrofe della pandemia non è per niente finita, ma perché i conflitti che l’attraversano sono di difficile lettura.

La filosofia di fronte alla pandemia: Jean-Luc Nancy contro Giorgio Agamben

Tra febbraio e marzo 2020, nelle prime settimane dell’esplosione della pandemia di Covid-19, abbiamo assistito alla moltiplicazione di dichiarazioni ufficiali, decisioni politiche e prese di posizione politiche o filosofiche inusitate. Allo shock della crisi si sommava così il disorientamento di posizioni e convergenze che molti non si sarebbero aspettati.

Ancora in febbraio 2020, quando il governo Conte tentava disperatamente di bloccare la diffusione del contagio per mezzo di zone rosse limitate ai comuni dei primi casi ufficiali (e letali), Giorgio Agamben già strillava contro “lo stato di eccezione”: l’epidemia – la pandemia non era ancora stata decretata – era per lui una mera “invenzione.  Per Agamben, l’emergenza non aveva nessun fondamento: il Covid-19 era solo una banale influenza, un pretesto per imporre lo stato di eccezione. Era la stessa posizione poi usata da Donald Trump e soprattutto da Jair Bolsonaro per difendere la “libertà” contro la “dittatura sanitaria. Agamben si manterrà su questa “linea” durante tutta la pandemia, criticando anche l’uso delle mascherine e appoggiando le mobilitazioni “no vax”.

Il giorno dopo l’articolo di Agamben, Jean-Luc Nancy pubblicò nel quotidiano parigino Libération una risposta acida e ironica. Nancy confuta i dati usati da Agamben per parlare della “realtà” del virus: usando le stesse fonti, scrive il filosofo francese, è facile vedere che il nuovo virus uccide 30 volte di più di quello dell’influenza. Nancy chiude con un aneddoto personale: “Mi sono ricordato che Giorgio è un vecchio amico. Mi dispiace far riemergere una memoria personale, ma in fondo non mi allontano da un registro di riflessione generale. Quasi trent’anni fa i medici valutarono che dovevo fare un trapianto del cuore. Giorgio è stato una delle poche persone che mi consigliò di non ascoltarli. Se avessi seguito il suo consiglio, sarei probabilmente morto poco dopo. Possiamo sbagliarci. Giorgio continua ad essere uno spirito di una delicatezza e gentilezza che si possono chiamare – senza la minima ironiaeccezionali”. Questa chiusura può sembrare un colpo sotto la cintura. Possiamo invece prenderla come un modo di introdurre un punto di vista etico e materiale che permetta di organizzare il dibattito: cosa sta in gioco nella gestione bipolitica della pandemia?

Abbiamo dunque due posizioni radicalmente opposte. Il nostro obiettivo non è di scegliere tra di loro, ma di farle lavorare per estrarne alcune lezioni. Molti pensano che la posizioni di Agamben siano il frutto di qualche panne politica di una riflessione filosofica che continua ad essere valida: è per esempio l’opinione dell’ex presidente del FMI, Dominique Strass-Kahn in un bell’articolo di economia scritto nello stesso momento: “per proteggere la vita, possiamo accettare che sia sospesa?”. Una domanda che ci rinvia agli accenti mistici e fascisti del giovane Ernst Jünger[1]: la vita protetta dall’eccezione corre il rischio di ridursi ad una vita che non merita di essere vissuta. Una vita senza qualità diceva Robert Musil. Una nuda vita, insiste Agamben. Altri vedono la posizione di Agamben come conseguenza di una critica al potere che verrebbe direttamente da Michel Foucault. È il caso di Todd Mc Gowan: il problema di Agamben starebbe nell’anarchismo di Michel Foucault, ossia in una critica dello Stato che gli impedisce di cogliere come, nella pandemia, i governi abbiano svolto una politica “anticapitalista”. Anche Benjamin Bratton va in questa direzione e attribuisce alla filosofia postmoderna la stramba posizione di Agamben.

L’equivalenza delle catastrofi

Jean-Luc Nancy ci offre un’altra uscita: “(…) l’eccezione diviene effettivamente la regola in un mondo dove interconnessioni tecniche di ogni tipo (dislocamenti, trasferimenti di tutti i tipi, esposizioni o diffusioni di sostanze ecc.) arrivano ad una intensità finora sconosciuta e crescente nella popolazione. La moltiplicazione di quest’ultima include anche, nei paesi ricchi, il prolungamento della vita e la crescita del numero di anziani e, in generale, di persone a rischio”. Stiamo dunque vivendo una sorta di “eccezione virale – biologica, informatica, culturale – che ci pandemizza”.  Per Nancy, la condizione pandemica è dunque anteriore alla diffusione del Covid-19 e permanente. La pandemia è prodotto di un sistema tecnico che amplifica infinitamente l’interdipendenza di tutto con tutti e di tutti con tutto. Questo significa che gli usi delle tecniche implicano gli usi di ancora più “tecniche di controllo e questo in modo esponenziale, allacciando tra di loro le tecniche mediche, quelle della sanità ecc.” [2]. Questo perché, “che si tratti di perfezionare tecniche per controllare o annullare i loro effetti o di abbandonare o di neutralizzare l’uso di alcune di queste, sembra impossibile pensare altro se non le forme supplementari di interdipendenza, intreccio e complessità dei procedimenti”.

Per Nancy, il problema non sta nel governo del contagio, ma nella dinamica esponenziale dell’emergenza del virus. L’aneddoto ricordato sopra viene a puntino: i trapianti di organi implicano la ricerca di sostanze immuni soppressive i cui effetti detti secondari, nocivi all’organismo, debbono essere combattuti da altre sostanze che, a sua volta, generano altri effetti che a sua volta bisogna combattere: “Sono così fabbricati corpi che sono veri e propri complessi chimici”. La preoccupazione di Nancy – come filosofo che riusciva ancora a scrivere perché il suo stesso corpo aveva accettato di entrare nella costante trasformazione chimica che Agamben gli aveva sconsigliato per considerarla come uno dei peggiori dispositivi di dominazione – è di trovare un possibile asse etico dentro queste “arborescenze autogenerate e autocomplessificate”[3]. Nancy non concentra la sua critica sul modo di produzione capitalista ma sulle impasse della civiltà, dell’occidente: “non ci soni più catastrofi naturali, ma non c’è che una catastrofe di civiltà (civilisationnelle) che si propaga in ogni occasione”. Non è la rivoluzione industriale che lo preoccupa e ancora meno quella “socialista”, ma la rivoluzione “che ha inaugurato l’Occidente”[4]. Il paradosso si formula così: “(…) ci troviamo in un insieme di elementi, di dati, di materie, di dispositivi, di reti dentro i quali ci sentiamo presi e ai quali siamo divenuti stranieri, perché questo mondo, che abbiamo domato, ci sfugge proprio come mondo[5].

La catastrofe è dunque una catastrofe di senso, quella discussa da Jünger e Heidegger nelle loro riflessioni sulla “linea”[6]. Mentre il mondo totalmente integrato, intrecciato, senza fuori, pensa di spiegare e spiegarsi per mezzo della sua calcolabilità generalizzata, è proprio in questo ridurre a equivalente ciò che è singolare e incalcolabile che si annida la crisi: “ecco la nostra civiltà, l’incalcolabile vi è calcolato come equivalenza generale”. Il problema della democrazia è di essersi costituita e sviluppata nel “contesto (…) dell’equivalenza generale[7]. Questa nozione di Marx, precisa Nancy, permette di cogliere non solo l’appiattimento delle distinzioni e la “riduzione delle eccellenze” alla mediocrità, ma designa innanzitutto la moneta e la forma mercato, cioè il cuore del capitalismo”. Il capitalismo è dunque un modo di “valutazione: attraverso l’equivalenza”. Il denaro è l’agente in ultima istanza dell’intreccio generale di tutte le sfere dell’esistenza degli uomini e dell’insieme degli esseri vivi, “assorbiti dal regime dell’equivalenza generale”, cioè “dall’illimitata intercambiabilità delle forze, dei prodotti, degli agenti o degli attori, dei sensi o dei valori, poiché il valore di tutti i valori è l’equivalenza”. Per Nancy, dunque, è l’equivalenza stessa che è catastrofica.

La nuda vita e la moneta viva

Da un lato, Nancy rifiuta la scorciatoia ideologica dell’anticapitalismo. Dall’altro, nel regime dell’interdipendenza, è la civiltà stessa che si dirige, senza nessuna decisione, verso la catastrofe generalizzata, cioè una catastrofe di senso. In un libretto scritto durante il primo anno della pandemia e pochi mesi prima di scomparire, possiamo leggere: “La pandemia è un sintomo di una malattia più grave, che colpisce l’umanità nella sua respirazione essenziale, nella sua capacità di parlare e pensare al di là dell’informazione e del calcolo”. Allo stesso tempo, “il virus è un acceleratore delle tensioni e anche delle solidarietà”. Chiediamoci allora: dove sta dunque la linea di separazione etica tra amplificazione della dominazione e moltiplicazioni delle solidarietà? Chi disegna questa linea? Chi definisce l’equivalenza? Su questa soglia, Nancy si perde. Per esempio, quando

Jean-Claude Trichet (in ottobre 2011), ex presidente della Banca Centrale Europea, dichiara che “il settore finanziario deve cambiare i suoi valori”, Nancy pensa che questo è impossibile: “Gli agenti dell’interconnessione finanziaria non hanno altro valore che la pura equivalenza. Cambiare valore, li metterebbe in disoccupazione”[8]. Ma, meno di un anno dopo, il 26 luglio 2012, il nuovo presidente della BCE dichiara di essere disposto, per salvare l’euro, a fare “whatever it takes”. In quell’esatto momento, Mario Draghi stava cambiando radicalmente e effettivamente i valori. Il suo argomento non è tecnico, ma politico: “Believe me, it will be enough[9]. Credetemi!

La creazione di fiumi di moneta ha avuto luogo via lo stratagemma di rompere le equivalenze (che gli proibivano di acquistare direttamente i titoli del debito pubblico degli stati membri) attraverso i mercati secondari. La BCE ha eseguito così le politiche di massiccia creazione monetaria, dette di Quantitative Easing. Il bilancio della BCE è passato da 1,115 trilioni di euro nel 2007 (l’anno in cui è scoppiata la crisi finanziaria del subprime) a 4,675 trilioni nel 2018, cioè dal 10% al 40% del PIL della zona euro. Questa titanica emissione monetaria, basata su di una potente innovazione tecnica, non è frutto di nessuna equivalenza. La stessa cosa, e in modo ancora più radicale, è successa con lo scoppio della pandemia. Tutte le banche centrali si sono lanciate in programmi colossali di creazione monetaria. In solo due mesi, tra il 20 febbraio e il 1° maggio 2020, il bilancio della BCE è passato da 4,692 trilioni a 5,395 trilioni di euro, con una creazione monetaria di 700 miliardi di euro. A questi valori, bisogna aggiungere le emissioni monetarie dei singoli stati (circa di 2,3 trilioni di euro) e il Fondo Europeo di Rilancio con altri 750 miliardi (firmato il 21 luglio 2020). Nella pandemia, si è affermata l’inequivalenza[10] della vita grazie alla moneta e non suo malgrado. Nella grande sospensione globale dell’economia, la vita è apparsa come inequivalente: “whatever it takes”, come diceva anche in questa occasione Mario Draghi[11]. Affinché i corpi rimanessero protetti nel confinamento si è dovuta accelerare la connessione virtuale dei cervelli. Ma tutto questo è stato possibile solo grazie alla colossale creazione monetaria.

Il governo della moneta, cioè la sua vita è apparsa come moneta della vita. La creazione monetaria ha permesso di proteggere i corpi che si connettevano allo stesso tempo che si confinavano. La maniera di decidere la distinzione tra biopotere e biopolitica, tra aumento delle tensioni e amplificazione delle solidarietà, per riprendere i termini di Nancy, sta in questa biforcazione della vita della moneta in moneta della vita. Il ruolo costitutivo della moneta viva mostra che la vita non è mai nuda. È proprio a partire dal denaro, tra vita della moneta e moneta viva che possiamo cogliere le dinamiche e gli enigmi della biopolitica[12].


[1] La guerre comme expérience intérieure, 1922, traduzione francese di F. Poncet, Christian Bourgois, 1997, p. 110. Citato da Martine Béland, “La baïonette, la plume et le marteau: Ernst Jünger, figura de l; intellectuel formé au combat”, in Martine Béland e Myrtô Dustrisac (ed.), Weimar ou l’hyperinflation du sens, Presses de l’Université de Laval, Québec, 2009.

[2] L’équivalence des catastrophes (après Fukushima), Galilée, Paris, 2012, pp. 43-4. Il libro contiene, oltre ad um prefazione, la trascrizione di una videoconferenza pronunciata da Nancy nel dicembre del 2011, alla International Research Center for Philosophy dell’università di Tokyo.

[3] Ricordiamo che Nancy è scomparso in agosto del 2021, un anno e pochi mesi dopo questa polemica.

[4] Jean-Luc Nancy, “Préface à la deuxième édition”, Noli me tangere (2003), Bayard, 2013, Paris, p. III.

[5] Jean-Luc Nancy, La possibilite d’un monde. Dialogue avec Pierre-Philippe Jandin Les dialogues des petits Platons, Paris, 2013.

[6] Lo scambio di vedute tra Jünger e Heidegger è disponibile in Oltre la linea, Adelphi, Milano, 1989, testi presentati da Franco Volpi e tradotti dallo stesso com Alvise La Rocca.

[7] Jean-Luc Nancy, Vérité de la démocratie, Galilée, Paris, 2008, p. 44. Corsivo nostro.

[8] Jean-Luc Nancy, Un virus trop humain, Bayard, Paris, 2020.

[9] Dan Wishart, “EBC ‘will do whatever it takes’ to save the Euro. Mario Draghi speech boosts financial markets”, Politico, 26 luglio 2012. European Central Bank, Speech by Mario Draghi, President of the ECB at the Global Investment in London, 26 luglio 2012.

[10] “Inéquivalence”, in Nancy, Vérité de la Démocratie, cit. P. p. 44.

[11] “Draghi: We face a war against coronavirus and must mobilizing accordingly”, Financial Times, 25 marzo 2020.

[12] Una riflessione più ampia è disponibile in Bruno Cava e Giuseppe Cocco, New Neoliberalism and the Other: Biopower, Anthropophagy and Living Money, Lexington, 2018.