“L’omertà vien detta buon gusto quindi è considerato di cattivo gusto rivelare le vicende losche del sottobosco letterario (bosco vero e proprio non c’è, d’altronde)”.
Rodolfo Wilcock
Che la critica letteraria sia palesemente ridimensionata rispetto al ruolo, all’autorità e allo spazio che aveva fino agli anni Settanta è universalmente noto. Essa però non è scomparsa, ma sopravvive in luoghi e modi diversi, e non ha perso forza e potenziale utilità per la cultura contemporanea. Su questo tema rimando a una ricca e interessante rassegna di interventi organizzata da Vanni Santoni e pubblicata sulla rivista online L’indiscreto, “Lo stato della critica e lo stato del romanzo: quattro domande per sessantasei critici”, di cui è possibile scaricare il pdf integrale all’indirizzo: Lo stato della critica
Il libro di Marchesini, denso ma non ostico, seducente ed efficace, anche nei brevi ritratti di stile, mostra alcuni fatti importanti.
Prima di tutto che un testo di critica letteraria può ancora essere scomodo.
Infatti, avrebbe dovuto uscire ad aprile 2018 per l’editore Bompiani. Sennonché l’autore ha reso pubblica su Facebook, a febbraio, l’improvvisa decisione della casa editrice di non stampare il libro, già in bozze, discusso e lavorato dagli editor e del quale era stata divulgata addirittura la copertina. Il motivo della cancellazione? In alcuni dei testi raccolti nel volume l’autore stronca anche autori della casa editrice fra i quali Antonio Moresco e Antonio Scurati.
Antonio Franchini, tra gli editor più importanti in Italia, al gruppo Giunti-Bompiani dal 2015, ha pubblicamente commentato la decisione: “Credo sia bizzarro per un editore pubblicare libri che stroncano gli autori che pubblica. Non esiste un caso simile nell’intera storia dell’editoria. I luoghi per un confronto possono essere tanti: i giornali, la rete e i dibattiti. Anche le case editrici, ma non la stessa casa editrice. Mi sembra semplice buon senso.”
Questa dichiarazione, assolutamente coerente con la modalità e la mentalità con cui si lavora in Italia nell’editoria, e non solo, rende evidente il motivo della crisi della critica. Se infatti non è possibile stroncare l’opera di uno scrittore, pur argomentando ampiamente, se non pubblicando per una casa editrice concorrente a quella che pubblica l’autore in oggetto, ciò significa che non è possibile essere critici militanti ma solo critici militarizzati, come ha scritto efficacemente Guido Vitiello su Il Foglio. Ciò riduce il critico a quello che di fatto quasi sempre è: qualcuno che evita con cura le critiche sugli autori del proprio gruppo editoriale. Qualcuno che fa l’influencer sotto le mentite spoglie del giornalista (e influencer vuol dire in realtà advertiser, uno che fa pubblicità). Insomma, il critico fa comunicazione anziché critica. Mercanti e intellettuali, a volte in buonafede, a volte in malafede, si sono alleati da tempo per conseguire lo stesso obiettivo: vendere, non importa come (né cosa).
Da molti decenni, quindi, la critica intesa in senso forte, come quella praticata da Marchesini, non serve, anzi è dannosa all’industria editoriale.
La seconda cosa che dimostra questo libro ci porta all’essenza della raccolta e riguarda la forma e il metodo della critica.
Marchesini, nato nel 1979, poeta, narratore, saggista, critico letterario, si è distinto nella penuria di forti contributi critici sulla letteratura prima con i suoi interventi per Il Foglio, Il Sole 24 Ore e il blog Doppiozero, e poi con la raccolta Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia, uscita per Quodlibet nel 2014. Nonostante le sue molte altre pubblicazioni tra poesia, narrativa e satira, la sua produzione critica è forse quella più potente e che più appare staccarsi dalla produzione contemporanea.
Marchesini è autonomo, va per la sua strada, non è assimilabile a un gruppo né tanto meno a una consorteria. È dotato di gusto, che non è solo eleganza. Avere gusto significa possedere una coerente modalità interpretativa dei testi che si adatta a ciò che studia ma, al contempo, è qualcosa di riconoscibile.
Quello che Alfonso Berardinelli ha definito il miglior critico della sua generazione è davvero un autore prezioso e lo è anche perché è uno scrittore. Se la crisi del romanzo è legata a quella della critica, è forse, paradossalmente, proprio nei pochi esempi di critica forte (ma non accademica) che si può trovare la letteratura forte che manca (o che è invisibile) in Italia.
Il volume è aperto da un’introduzione costruita di brevissimi frammenti, paradossi, pseudo-post di Facebook, che sono sferzanti scudisciate alla cultura contemporanea italiana. Il talento satirico di Marchesini si esprime al meglio e fa da prologo a tutt’altro contenuto, quello dei saggi propriamente critici del libro, non privi di qualche riuscita punta corrosiva. L’autore, né accademico né giornalista, non ha timore di ridiscutere i canoni (Gadda, Montale) né di toccare scrittori che, anche molto più recentemente, sono diventati monumenti intoccabili come, per l’appunto, Moresco.
Nella prima delle quattro sezioni della raccolta, “Moderno, postmoderno, palude. Parabole ideologiche, narrative e poetiche tra il secondo Novecento e il Duemila”, l’autore ritrae molti degli scrittori cardine del secolo tra cui Bassani, Carlo Levi, Morante, Pasolini, Fortini, Ottieri, Calvino, La Capria, Rea, Arbasino fino ai più recenti Cavazzoni, Fiori e Siti. Sono saggi brevi ma molto riusciti e capaci di evocare uno stile, un mondo poetico in maniera incisiva.
Marchesini, nel suo tentativo di abbracciare tutta la complessità di un’opera letteraria, non si sofferma solo sulla lingua o su elementi puramente letterari, ma anche sulle idee che germogliano dalle opere. Filo conduttore, in molti di questi casi, è il rapporto con quell’esplosione e rivoluzione economica: il boom della metà del secolo scorso. Sia in Ottieri sia in Calvino sia in Pasolini, è fortissimo, in diversa declinazione, il confronto con questa epocale trasformazione che avrà un’enorme influenza, per alcuni mortale, sulla cultura italiana.
La seconda sezione intitolata “Tre ingiustizie del canone” è dedicata ad altrettanti saggi che si pongono l’obbiettivo di evidenziare, attraverso l’analisi dell’avversa fortuna che hanno avuto Foscolo, Saba e Cassola nella critica e nella scuola italiana, pregiudizi, miopie, riflessi automatici della nostra cultura.
“Critici e saggisti. Quattro modelli” è la terza sezione in cui altrettanti critici vengono raccontati insieme agli autori di letteratura a loro contemporanei: Cases, Garboli, Baldacci e Berardinelli.
Nell’ultima sezione (“Diagnosi, satire, polemiche”) Marchesini si avvicina alla cronaca degli ultimi anni. Scrive l’autore: “Il tema è un’epoca in cui la letteratura occupa sempre meno spazio all’interno della cultura collettiva. E quando una disciplina, una tradizione o un’arte perde rapidamente il proprio peso, capita che venga utilizzata come alibi o come decorazione. […] Aumentano gli equivoci: l’organizzazione dell’industria culturale assorbe il dibattito critico, la realtà dei testi si scioglie nella retorica dello spettacolo, e l’autentico rigore, di rado giornalisticamente spendibile, si confonde con la recita pubblica dell’impegno.” Se si aggiunge la “socializzazione totale e istantanea” dei social, si ottiene una perfetta fotografia dell’oggi.
È in questa sezione che si trovano i più forti attacchi critici (spesso convincenti e anche divertenti) agli autori contemporanei. Ai già citati Moresco e Scurati, aggiungiamo anche Nicola Lagioia, nome cardine nel sistema letterario contemporaneo italiano sulla cui sopravvalutata opera Marchesini non risparmia di intervenire con i suoi strumenti affilati.
Nonostante la polemica generata dal libro, sarebbe un errore, però, ridurlo a raccolta di stroncature, come dimostrano molti dei momenti di approfondimento su autori grandi e meno grandi nonché il testo finale, “Letteratura e vergogna”, un esempio di critica tematica.
Non sono molti i critici come Matteo Marchesini, capaci in poche pagine di ritrarre vividamente uno scrittore, il suo stile e il suo mondo, ed evidenziarne i riflessi nella letteratura del passato e del presente.
Forse non è stata identificata ancora compiutamente né la forma né l’identità che una critica forte dovrà assumere per poter dire ancora qualcosa alla nostra società (e non solo della nostra società). Nel frattempo ci sono pochi libri. Tra questi c’è sicuramente Casa di carte.