La biblioteca definitiva

Giorgio Manganelli, Concupiscenza libraria, Adelphi, pp. 454, euro 24,00 stampa euro 11,99 epub

Chi definì “apparizione inquietante” il lettore onnivoro, scrittore di sfere estranee e stranianti, recensore dal visionario gusto espressionistico, che corrisponde al nome di Giorgio Manganelli? Plauso a chi sa rispondere, mentre a tutti gli altri un gelido sguardo di sbieco. Tant’è, nulla sfugge al nostro quando frequenta la realtà e l’impareggiabile e consumatissimo Tommaseo che, in tempi sicuramente meno artefatti, erano in grado entrambi (realtà e dizionario) di consentirsi presenze consapevoli e non fantasmi alla mercé di presunte medium un po’ caritatevoli ma disfatte.

“Il Manga”, nella sua vita, ne ha combinate di tutti i colori, dal presentarsi come naturale, e innocente (secondo i suoi paradigmi) recensore, all’aver avuto una relazione con la poetessa Alda Merini quando lei era ancora giovanissima. Se questo sia, infine, di un qualche interesse, è tutto da verificare, aprendo a caso la raccolta delle poesie (ebbene sì, l’autore della Letteratura come menzogna ha avuto alle origini un’attività in versi) pubblicate nel 2006 da Crocetti. I cultori (a milionate) di Alda Merini non si asterranno da commenti, gli estimatori di Manganelli (se confrontati nel numero, battuti alla grande) si ritroveranno in ciò che lui spesso diceva riguardo a amore e letteratura: matrici di menzogna. Sarà lodevole, interessante, e “concupiscente” leggere la biografia che Lietta Manganelli, figlia dello scrittore, sta preparando e la cui uscita è prevista nel 2022 in occasione del centenario della nascita.

Il metodo usato da Manganelli è spettacolare, e si chiama frequentazione illimitata di saggistica, reportage, “romanzo”, taumaturgia e nobili recuperi di giallistica e fantascienza. Senza mai dimenticare, per carità, quello scritto lontano dalle maniere critiche usate e che introduceva, nel 1981, la raccolta di poesie dell’ineffabile Giulia Niccolai. Sospetto di follia programmatica e logica, burlona ma con tutte le leggi linguistiche al loro posto, dimostrando che “è tutta una faccenda di parole, e che le parole si scrivono…”. Per questo Shakespeare e Lewis Carroll, sapendolo, hanno esaurito il mondo nelle loro enciclopediche opere. Da buoni bibliotecari, quanto “il Manga” ha saputo essere, sedotto e a sua volta seduttore di corpi reali e tipografici. Se volessimo usare qualcosa di più che una semplice definizione, dovremmo inventarci una nuova branca letteraria, il cui nome per ora non riusciamo neppure a immaginare. Cosa è stato questo scrittore per le patrie lettere si sa benissimo, ma nessuno osa inoltrarsi nel folto: ai tempi del Gruppo ’63, anni Sessanta appunto, forse e giustamente non si trovò del tutto allineato. D’altronde come “recensore” e “ideologo” dotato di sommo virtuosismo e humour pensava a Carlo Cassola come a un burlone che riteneva Famiglia Cristiana una specie di “Ente per lo Scambio delle Mogli” e del tutto illeggibili autori come Apuleio, Boccaccio, Miller, Rabelais e Céline. Tutto chiaro, quindi. A ben vedere, molto più incendiario “il Manga” che non le sortite delle neoavanguardie ormai storicizzate. Tra l’altro ci si chiede di cosa argomentassero Sanguineti, Balestrini, Eco, Manganelli, bevendo un caffè al bar, magari in compagnia di Anceschi. Divertimento? Litigio? Ognuno di questi ha avuto la verità sua, nero su bianco, ma come fidarsi?

Gli artifici, uno dentro l’altro, escono più chiari dalla penna, ne siamo consapevoli entrando nelle pagine di questa super-raccolta di recensioni allestita con mano ferma da Salvatore Silvano Nigro. Il primo di due amplissimi volumi, documentali di una biblioteca sterminata quanto incompleta. Non certo per colpa di Manganelli, che sembra frequentare la vertigine e i santuari dove pozzi sacri vengono scoperchiati e poeti e scrittori vengono ridotti all’osso della pura verità. Qualcosa che fino a quel momento soltanto lui conosceva, il fascinoso professore che prende seriamente lo scherzo e inchioda la serietà alla Muraglia cinese della letteratura. “Manganelli com’è?” chiedeva Sereni a Bertolucci. “Molto giovane, un po’ aspretto, ma intelligente”. Giovane lo è davvero, difficile a credersi, ma nel 1949 già frequenta gli antri vertiginosi che sappiamo. Vertiginoso è senza dubbio questo Concupiscenza libraria, dove Auden e Sheckley abitano lo stesso condominio, così come Odisseo e Chandler, poesia e fantascienza, classici e “gialli” s’intersecano con indubbio contegno e pedinamenti smaliziati alla ricerca di biancheria intima su cui impratichire acutezze memorabili e non certo sviolinando. Naturalmente sempre si tratta di intimità letterarie dove la seduzione dei libri è perfino maggiore di quella virulenta delle fanciulle. E qui lo sguardo serpentiforme di Manganelli punta su sciabolate critiche a cui nessun altro ha mai pensato. Mica salti mortali o boutade destinate a defungere, se mai dimostrazioni eccelse di un appetito “libresco” indirizzato dove i luoghi cronicari della morte e del tracollo lasciano segno più profondo. È lì che il divertimento lo assale e a noi lo propugna, per esempio disponendo in bella luce certi libri di Mario Praz e Piero Camporesi. Il primo, lucido inquilino di oscuri arredi e stremato dal “cattivo gusto” del morire. Il secondo, barocco e malizioso amante di corruzioni carnali, al limite dell’orrore. Tre frigidi, ma passionali, messi insieme da golosità per lo più assassine. Ma sono esempi, dentro alle 450 pagine della Concupiscenza sta un’enormità i cui sortilegi si accolgono più che volentieri, mai tralasciando il viatico delle opere in corso di pubblicazione da Adelphi, dopo troppi anni passati corteggiando ingiallite prime e seconde edizioni lontanissime a cui aspiravano poche centinaia di adepti.

Fosse possibile ideare una biblioteca manganelliana, e quindi oltrepassare i semplici presentimenti dando dentro alle peculiarità, alle risse immaginarie o avvenute, ai rimandi, ai cunicoli, ai programmi affrontati o tralasciati, ai viaggi oltre le mura della Capitale, sarebbe ugualmente difficile scampare a una Palude ribollente, non certo come immagine di confusione. Ma eloquente, un po’ perfida, macchina depositata in questo nostro mondo da una quarta (o superiore) dimensione.