Halldóra Thoroddsen, Doppio vetro, tr. Silvia Cosimini, Iperborea, pp. 106, euro 15,00 stampa
Doppio vetro racconta, in poco più di cento pagine, un paio di anni nella vita di una donna ultrasettantenne, rimasta vedova e che vive in un appartamento del centro di Reykjavík. I figli, adulti e sposati, vivono altrove, e i nipoti si trovano in quell’età in cui ritengono di non aver nulla da imparare dai nonni; la solitudine è perciò all’apparenza il tema principale, ma solo all’apparenza, perché la protagonista non indulge mai sulla propria condizione. Al contrario, il fatto di vivere relazioni personali rarefatte le permette di rallentare il tempo dell’esistenza e riflettere su aspetti che altrimenti sfuggirebbero alla sua attenzione.
I doppi vetri del titolo sono quelli installati alle finestre di qualsiasi abitazione del nord Europa, per proteggere gli interni domestici dalla rigidità del clima, e sono metafora di una certa distanza interiore rispetto al mondo. Al contrario di altre opere della letteratura nordica, questo romanzo non è scandito dall’inclemenza della natura o dal ritmo inesorabile delle stagioni; piuttosto la protagonista vive in una specie di perpetuo autunno, metafora della sua età e della sua solitudine. All’inizio della narrazione, la donna osserva dalla finestra i movimenti degli abitanti del quartiere medio-borghese di Vasturbær. Non sembra nutrire rimpianti per un’età più verde; si lascia andare ogni tanto a un dialogo silenzioso con l’amato marito Guðjón, morto da non molto tempo, dato che è perfettamente in grado di immaginare le risposte alle questioni che gli pone. Per esempio, come dovrebbe reagire alle imbarazzanti avances di Sverrir, il chirurgo in pensione che approfitta di ogni occasione per cercare un contatto con lei? È possibile immaginare alla sua età, certo non l’amore, ma una qualche sorta di piacere nella compagnia reciproca con una persona che ha abitudini completamente diverse dalle sue? La donna neppure tenta un confronto tra i due uomini. Giunta a questa età si permette però di interrogarsi sul significato del concetto di “uomo ideale”, e la conclusione a cui giunge è sconfortante: “Non che si sia fatta illusioni sull’uomo modello. Sempre che esista. Un tipo del genere, forse a causa di chissà quale errore evolutivo, è fondamentalmente un fascista. Lo percepisce chiaramente nei blog che di tanto in tanto legge. Da lì al culto dell’eroe il passo è breve.”
La narrazione è divisa in quattro capitoli, e organizzata in diverse unità narrative collegate da frasi estratte dalle riflessioni della protagonista; ed è da queste che ci rendiamo progressivamente conto che la storia non è genericamente ambientata in un Reykjavík contemporanea, anzi ha una collocazione temporale ben definita, durante la grave crisi finanziaria che ha portato l’Islanda sull’orlo del default, nel 2008. E così Doppio vetro non è una storia d’amore né un libro sulla terza età e la sua solitudine, ma la sintesi disincantata di un’intera esistenza, il tentativo di mantenere in vita nel ricordo un mondo in cui si è vissuti, con il fine di esorcizzare la morte che si avvicina, e che prende uno dopo l’altro tutti coloro che circondano la protagonista. È una vita su cui la scrittrice tenta una ri/costruzione di un mondo che la rapida modernizzazione liberistica e capitalista sta cancellando, o ha già cancellato, ma che rimane nella memoria comune, nella “visione condivisa” dice la protagonista, di tutti gli islandesi della sua età.
“Al di là delle condizioni personali più disparate, hanno tutti pasteggiato a pesce bollito con il sottofondo del radiogiornale, delle previsioni del tempo e del patriottismo. Indossavano reggicalze e camicie di nylon gelide pensando che così dovesse essere. Le loro stazioni cerebrali sono state sintonizzate sulla guerra fredda. Ricorda le lotte operaie nel vortice dell’inflazione, ricorda quando tutti si costruivano una casa, ricorda la felicità degli elettrodomestici, grosse carcasse rivestite in formica. Il loro tempo è trascorso, ma continua creare storie come ha sempre fatto.”
Doppio vetro è il primo romanzo della scrittrice islandese Halldóra Thoroddsen tradotto in italiano, anche se la sua produzione letteraria si compone di diversi romanzi, racconti, poesie e sceneggiature. Come molti autori appartenenti a letterature minori, soprattutto non anglofone, l’opera è stata tradotta grazie al programma Europa creativa dell’Unione europea. Doppio vetro ha vinto il Fjöruverðlaunin 2016, il premio per la letteratura femminile islandese, e l’anno successivo il premio letterario dell’Unione Europea, che consiste anche in un supporto per la promozione e la traduzione all’estero dell’opera. La scelta del titolo è senz’altro azzeccata, perché aiuta a diradare la foschia su quella che è forse la letteratura meno conosciuta d’Europa e sulla sua cultura.