Ruota intorno al suo capitolo centrale il libro Una vita per noi, esordio romanzesco di Kristina Gorcheva-Newberry, scrittrice russa emigrata negli Stati Uniti. Per sua esplicita ammissione, l’epifania narrativa scaturisce da una visione del Giardino dei ciliegi di Čechov in un teatro moscovita. Nel capitolo sedicesimo i quattro protagonisti del romanzo ascoltano una registrazione dell’opera effettuata a scuola anni prima. Ipnotizzati dalle loro stesse voci, trovano una singolare affinità con le figure del dramma.
Siamo negli anni Ottanta del Novecento, epoca di enormi stravolgimenti per la società sovietica. I segretari si succedono rapidamente, mentre un’aura di tragedia si diffonde sempre più cupa e opprimente. Anche Čechov visse in un periodo di immensi mutamenti; l’emancipazione della servitù della gleba, le grandi riforme, e la reazione seguita all’uccisione dello zar riverberano nella sua opera. In modo analogo i personaggi creati da Gorcheva-Newberry appaiono frutto della storia trascorsa del proprio paese, fatta di povertà e incertezza. La vicenda minimale del Giardino dei ciliegi racchiude enormi evoluzioni e mutamenti, passate e future. Čechov riesce a far balenare forze colossali nelle pieghe apparentemente banali del quotidiano.
Nella medesima maniera la scrittrice aspira evocare l’epoca precedente il crollo dell’Urss mediante una storia modellata sulle proprie esperienze autobiografiche, sui ricordi di un mondo giunto definitivamente al tramonto. Anya, alter ego dell’autrice, Milka, Petya e Aleksey, con modalità e caratteri diversi, sognano un futuro migliore. Attorno a loro una varia umanità, fiaccata dagli stenti di una vita grama, eppure orgogliosa della propria storia. Assistiamo alla progressiva disillusione della generazione della perestrojka, animata da spinte libertarie destinate a spegnersi. Il timore dell’ignoto si insinua nelle loro anime, la consapevolezza di dover disimparare quanto gli era stato insegnato fino a quel momento.
Un salto nel buio più nero. Il giardino dei ciliegi viene soppiantato da un meleto, minacciato dall’ingordigia della nuova società russa, fondata sul dominio del denaro e sulla prevaricazione. Il libro è anche un romanzo di formazione, degli individui e di un intero Paese. I protagonisti adolescenti provano le prime esperienze, il sesso, l’amicizia, destinata a naufragare sotto i colpi di una realtà tragica. L’innocenza svanisce, così come il sogno di un Eden da conquistare. La protagonista torna in Russia dopo quasi venti anni di assenza; nel frattempo si è costruita una nuova esistenza negli Stati Uniti. Il suo paese le appare dapprima estraneo, anche se il richiamo delle radici non tarda a manifestarsi. Gorcheva-Newberry cerca di cogliere l’anima del popolo russo, quella qualità enigmatica che sconcerta l’uomo occidentale. Da questo punto di vista il libro è anche una mappa per orientarci nelle tragedie del tempo presente. La Russia non ha fatto i conti con il proprio passato, e per questo è destinata a ripetere i medesimi errori. “Ma per dominare il presente dobbiamo dominare il nostro passato”, afferma Trifonov, l’intellettuale del gruppo, colui che forse meglio degli altri comprende le storture del suo paese e che per questo pagherà un caro prezzo.
Un libro struggente che parla della perdita, della giovinezza e di un intero popolo. Se l’affinità con l’opera di Čechov è essenziale nell’economia narrativa, appare doveroso stigmatizzare la malsana abitudine di mutare i titoli originali, non solo in ambito narrativo. L’opera si intitola infatti The orchard (il frutteto), come emerge dalla bella copertina che riproduce un quadro di Catherine Patrickson, The apple garden, a evocare una generazione macchiata da un peccato che non sa di aver commesso, estromessa per motivi misteriosi da quel giardino dell’Eden che resterà sempre una dolorosa e irraggiungibile chimera.