Ci sono storie che prendono vita direttamente dalla pagina, apparentemente indipendenti da ciò che le circonda, e storie che, per essere pienamente comprese, devono essere inquadrate nel loro specifico contesto storico, analizzate e lette anche a partire dalla conoscenza pregressa delle specifiche particolarità che hanno portato alla loro stesura. Gli incredibili eventi della cella femminile n. 3, di Kira Jarmyš, appartiene a quest’ultima categoria. E per comprendere appieno l’opera è utile conoscere i dettagli salienti della biografia dell’autrice: nata nel 1989 a Rostov sul Don, ha studiato giornalismo a Mosca, e dal 2014 lavora come portavoce del più importante uomo politico dell’opposizione in Russia, Aleksej Naval’nyj. Dopo il ritorno di Naval’nyj a Mosca nel gennaio 2021, Jarmyš è stata arrestata per aver indetto raduni a sostegno del dissidente ed è stata incarcerata per nove giorni con l’accusa di aver organizzato eventi pubblici senza avvisare le autorità. Il 1° febbraio 2021, Kira è stata posta agli arresti domiciliari e in quell’occasione l’organizzazione per i diritti umani Memorial le ha riconosciuto lo status di prigioniera politica. Attualmente vive fuori dalla Russia.
La “cella femminile n. 3” che dà il titolo al libro è situata in una prigione di Mosca per reati minori, e non possiamo che chiederci quanto le vicende autobiografiche dell’autrice abbiano influenzato il suo romanzo, una sorta di versione contemporanea della celebre tradizione letteraria russa che racconta le proprie prigioni per addentrarsi nella descrizione dell’intero Paese, offrendone uno spaccato variegato e stratificato. Anja, la protagonista del libro, è una ventottenne che sogna una vacanza per chiarirsi le idee sul triangolo amoroso in cui è invischiata e sul suo futuro professionale, e che finisce invece per passare nove giorni in prigione per aver organizzato una manifestazione contro la corruzione delle istituzioni. Nove giorni in cui il tempo smetterà di scorrere secondo le regole che lo scandiscono nelle nostre comuni esistenze quotidiane e assumerà contorni e forme nuove, diventerà infinito o prezioso, ristrettissimo o dilatato a dismisura, un magma capace di accogliere esistenze e spazi immobili eppure in continuo divenire, come le vite sospese delle compagne di cella di Anja. Ognuna con le proprie caratteristiche, fisiche e caratteriali, unite nel romanzo a comporre il grande mosaico tragicomico di una Russia attanagliata dalle proprie contraddizioni, tesa tra desiderio di libertà e osservanza alle tradizioni, voglia di ribellione e fedeltà a chi detiene il potere.
Attraverso uno stile diretto, fatto di dialoghi, descrizioni rapidissime e continui flashback, Jarmyš ci introduce, con le sue donne imprigionate, alla scoperta della Russia di oggi: lo fa senza mai giudicare, lasciando sempre una porta aperta a un’altra possibile via d’uscita. E se il tentativo di suggerire ulteriore complessità all’opera, arricchendo la trama di dubbi ed eventi inspiegabili resta forse non espresso appieno, lo stile semplice ed efficace dell’autrice dà il proprio meglio negli affreschi a tinte forti con cui dipinge le sue protagoniste: da Maja, ossessionata dal proprio aspetto fisico al punto da investire tutti i risparmi per “ritoccarsi” e compiacere ricchi uomini d’affari, a Irka, che non ha pagato gli alimenti per la propria figlia, a Nataša, che è l’unica ad aver conosciuto il carcere vero. Sono le loro storie a costituire quell’intreccio magico di tragicità a comicità, ideali e realtà, ricchezza e povertà, raffinatezza e volgarità, ragione e spiritualità su cui si fonda la descrizione più vera di quel Paese leggendario e straziato – su cui continuiamo a interrogarci – che è la Russia nella sua immensa e sovrastante complessità.