La riedizione dei racconti di Kiōko Hayashi (la prima pubblicazione in italiano avvenne nel 2015) consente di rimettere a fuoco un tema importante come la letteratura dedicata all’impegno civile, al pacifismo e alla lotta antinucleare. La ferita subìta dalla popolazione giapponese nel 1945 è stata un elemento costante della cultura nipponica sia tra i letterati sia negli autori della fantascienza scritta e cinematografica. Un ruolo importante è stato ricoperto dalla prima generazione di scrittori che hanno vissuto direttamente l’attacco nucleare e le sue conseguenze di morte e alterazioni biologiche. Due autori hanno avuto l’enorme responsabilità di fermare con le parole la tragedia estrema avvenuta in quell’agosto in cui si concluse la Seconda Guerra Mondiale: Hara Tamiki, sopravvissuto di Hiroshima, di cui sono disponibili le traduzioni di Il paese dei desideri (Atmosphere, 2015) e L’ultima estate di Hiroshima (Marotta e Cafiero, 2020), un’antologia dove si può trovare il suo racconto più famoso Fiori d’estate, e Yōko Ōta, scrittrice che aveva già pubblicato prima dell’esplosione, a cui si deve il primo racconto sull’esperienza dei sopravvissuti di Hiroshima, pubblicato il 30 agosto 1945 e intitolato Una luce che sembrava venire dal profondo.
Kiōko Hayashi aveva quattordici anni quando si trovava nella fabbrica di armamenti della Mitsubishi di Nagasaki alle 11 del mattino del 9 agosto. Era una studentessa del liceo locale che, come le altre sue compagne di scuola, partecipava allo sforzo bellico affiancando gli operai. Nel momento dell’esplosione rimane protetta da un pilastro di calcestruzzo che la salva dai vetri e dai detriti: il momento in cui il calore prodotto dall’ordigno al plutonio 239, lo spostamento d’aria, l’esposizione e la contaminazione di elementi radioattivi, uccidevano quasi un terzo della popolazione della piccola città è un’immagine ricorrente nei racconti di Kiōko Hayashi. Un quadro dominato dalla luce che viene montato e rimontato più volte, ricorrente come se non fosse sufficiente un’unica descrizione. I tre racconti ambientati a Nagasaki sono dedicati a vicende umane che si svolgono nello stesso luogo e in circostanze molto simili: giovani persone impreparate a reagire a una catastrofe immane e incomprensibile. C’è da chiedersi quanto il racconto dell’esperienza diretta possa essersi davvero fissato nella memoria – strattonato dallo shock della morte diffusa e dai feriti che imploravano aiuto – e invece sia stato il montaggio a posteriori a consentire, attraverso la scrittura, a ritrovare la verità di quei momenti, a metterli nella giusta sequenza. Leggendo queste pagine sembra che Kiōko Hayashi sia alla ricerca delle possibilità, delle scene che non ha visto e delle azioni che non ha compiuto. La tragedia delle persone sopravvissute, contaminate e inconsapevoli delle precauzioni da seguire, è forse superiore a quella della morte immediata, della disintegrazione, del prendere fuoco. Molti sono trafitti da schegge di vetro che li accompagneranno per l’intera esistenza, troppo piccole per essere estratte chirurgicamente. I sopravvissuti, anche a distanza di anni, dovranno fare i conti con i movimenti di questi estranei nel proprio corpo, di questa memoria che non accenna ad affievolirsi.
Kiōko Hayashi rimase contaminata diventando una hibakusha, ovvero una “persona che è stata colpita dalla bomba”, ma sopravvisse e divenne scrittrice, pubblicando romanzi e racconti e ottenendo interesse con Rituale di morte (1975). Nei racconti di questa edizione la protagonista abbandona il luogo in cui l’esplosione l’ha sorpresa e, attraverso l’incontro con gli altri sopravvissuti, costruisce un’immagine del disastro. Ognuno di loro porta con sé un’immagine, un dolore, una ferita, una necessità di tornare a casa o di trovare i familiari, un’insopprimibile volontà disperata di comprendere. I gruppi si riuniscono e si disgregano, muoiono per strada, mentre i danni prodotti dalle radiazioni iniziano a manifestarsi. Attorno all’epicentro dell’esplosione, gli abitanti di Nagasaki attraversano la città e i dintorni, si incontrano e condividono le poche notizie che hanno. Si tratta di storie semplici, delicate, scritte con attenzione, attente a descrivere i piccoli egoismi provocati dall’incertezza e dalla paura. È una tragedia prima di tutto delle percezioni e degli affetti più vicini, e solo successivamente Kiōko Hayashi racconta qualcosa che corre al di là del dolore di quei giorni e amplia la prospettiva di esistenze lacerate. Nel racconto Il luogo del rito scrive che la nazione è un’entità lontana mentre qualcuno, sentendo in radio la voce dell’imperatore che dichiara la resa il 15 agosto e la fine della guerra, commenta amaramente: “perché non ce lo hai detto prima”.
La storia documenta che il protrarsi della guerra, ormai perduta, sia dovuto proprio alle condizioni della resa e all’abdicazione dell’imperatore. L’ala più conservatrice e nazionalista del fascismo nipponico tentò addirittura un colpo di stato per proseguire la guerra, incurante delle centinaia di migliaia di morti. Paradossalmente Nagasaki era una delle città meno fedeli all’imperatore, per la presenza di molti abitanti socialisti e di una comunità cristiana molto numerosa. E non stupisce allora che nel racconto, quando la sorella della protagonista dichiara di voler andare a vedere l’imperatore in visita a Nagasaki, lo zio l’afferri per il colletto e le dichiari che se andrà non potrà rientrare in casa, e poi chiuderà tutte le imposte perché era “l’unico modo che aveva di mostrare una forma di resistenza”.
L’ultimo racconto, Il raccolto, è invece ambientato in tempi più recenti e tratta del problema delle centrali nucleari e della gestione delle scorie: una critica radicale all’uso militare delle risorse e alla logica distruttiva che non tiene conto dei danni alla popolazione civile inflitti dall’intera filiera dell’energia atomica. La prospettiva è ancora quella della gente comune e della sua semplicità, di una felicità fatta di lavoro e di affetti familiari, a cui si oppongono le politiche nazionali, le scelte energetiche, il cinismo e – come nel caso della guerra – l’autoritarismo.