Città fantasma, ma anche città di fantasmi, memoria di spiriti, ricordi spettrali: potrebbero continuare le varie declinazioni della “spettralità” nel romanzo di Kevin Chen, scrittore taiwanese trapiantato a Berlino, uscito nel 2019 e ora portato nella nostra lingua tramite la fine traduzione di Silvia Pozzi. Di per sé, il romanzo si svolge come una trama di ricordi intessuta man mano. Lo stile è incalzante, ma non frettoloso e, in fondo, nemmeno veloce, anche perché non c’è una vera e propria vicenda da svelare o un vero e proprio finale verso cui gli intrecci convergono. Certo, il perno narrativo è costituito da un misterioso omicidio di cui appare responsabile il protagonista, che infatti conosciamo uscito dal carcere. Protagonista che molti indizi suggerirebbero di identificare con lo scrittore stesso, anche se la cautela è d’obbligo prima di ipotizzare un intento puramente autobiografico. D’altra parte, Chen ha detto che il romanzo è un tentativo di immaginare come si possa essere un fantasma.
Ma i fantasmi non sono solo spiriti vaganti o ectoplasmi, posto che è difficile immaginare una traduzione univoca per il cinese gui 鬼, così come tanti concetti propri di immaginari culturali dallo sviluppo molto diverso da quello a cui siamo abituati (e su questo Silvia Pozzi ha scritto una interessante nota traduttiva). I fantasmi che più infestano il romanzo sono quelli del passato, i ricordi stessi, sui quali la storia è costruita: «È la memoria a fare da tramite alla mia esistenza, alla mia trasmissione. Esisto nei ricordi, miei e altrui. Qui e ora, qua e là. Io dipendo dai ricordi, sono un parassita della memoria». Oltre a dare un assaggio dello stile molto accattivante con cui è scritto (e tradotto) il romanzo, questo brano introduce proprio al tema centrale del romanzo: il narratore si aggira, fantasma tra i fantasmi della memoria, tra i ricordi della famiglia, della zona natia, dei rapporti personali, della scuola, sospesi tra Taiwan e Berlino. Ricordi segnati dalla violenza, in primis quella che riguarda la repressione della sua stessa omosessualità, ma anche i matrimoni e la sessualità delle sorelle.
È un fantasma anche il protagonista, Chen Tien-hung (di nuovo Chen, come l’autore), che torna a casa a Yongjing, la “città fantasma” del titolo, dopo la prigione in Germania per il misterioso crimine commesso, proprio nel giorno della Festa degli spiriti. E sono popolati di fantasmi anche i luoghi che ritrova, così diversi rispetto al passato, dove si aggirano ricordi che parrebbero quasi fuori posto in luoghi ormai irriconoscibili. Infine, forse il punto più forte del romanzo è proprio la sua costruzione, da un punto di vista tecnico, fatta di alternarsi di focalizzazioni e prospettive tra diversi personaggi, confini sempre più sfumati tra passato e presente e l’assenza di una bussola per il lettore, che deve riunire i puntini da sé. Forse è così che un fantasma vedrebbe la vicenda, senza un centro o un focus distinguibile, con il tempo che collassa su sé stesso.