Siamo talmente abituati a vedere film e documentari sul nazismo che quasi non riusciamo a renderci conto che c’è stato un periodo nella storia in cui i nazisti non erano al potere, non avevano ancora preso il controllo assoluto della Germania e non avevano ancora scatenato la Seconda Guerra Mondiale. Scritto nel 1937 e pubblicato sotto lo pseudonimo di Murray Constantine, La notte della svastica (Swastika Night), questo straordinario romanzo distopico della scrittrice inglese Katharine Burdekin, è stato riscoperto negli anni 1980 dalla studiosa di Women Studies Daphne Patai, e tradotto in Italia qualche anno dopo in un’edizione curata da Carlo Pagetti per Editori Riuniti.
Katharine Burdekin, nata Katharine Penelope Cade, sposò giovanissima il campione di canottaggio Beaufort Burdekin, nel 1915, e si trasferì in Australia. Successivamente, a partire dal 1922, quando finì il suo matrimonio, tornò in Inghilterra e si stabilì in Cornovaglia, dove intrecciò una relazione di profonda amicizia con un’altra donna, l’istitutrice Isobel Allen Burns. L’uomo nell’alto castello (tradotto anche come La svastica sul sole, Fanucci, 2019) di Philip K. Dick è il primo di tutta una serie di romanzi di fantascienza distopici o ucronici che hanno ipotizzato il trionfo del nazismo, e ha assunto con il passare del tempo lo status di una vera e propria profezia sul futuro del Terzo Reich, mettendone in evidenza alcuni aspetti che all’epoca erano veramente a conoscenza di pochi. Il romanzo della Burdekin anticipa– mentre i nazisti sono ancora al potere – tutto un filone di narrativa distopica o ucronica che vedrà la pubblicazione di veri e propri capolavori della letteratura in lingua inglese, a opera degli scrittori inglesi e statunitensi come Robert Harris (Fatherland, Mondadori, 2017) e Philip Roth (Il Complotto contro l’America, Einaudi, 2014). Ma come si può definire una distopia una storia che è stata scritta e pubblicata quando ancora non si conosceva come sarebbero andati a finire gli eventi storici, cioè scritta prima ancora che si sapesse con certezza se i nazisti avrebbero trionfato o meno? Narrativa di anticipazione? Narrativa estrapolativa? O cos’altro? Certo, da un punto di vista della scorrevolezza narrativa, La notte della svastica non regge il confronto con i suoi illustri discendenti, che sono dei veri e propri capolavori (a parte il libro di Harris, che rimane un discreto prodotto commerciale). Burdekin non caratterizza profondamente i suoi personaggi, che rimangono sospesi come una sorta di entità astratte, incarnazioni dei principi ideali della forza e della violenza naziste, ma rimane a suo merito l’aver individuato e fondato un filone di romanzi distopici e ucronici che ancora oggi calamitano l’attenzione dei lettori e del pubblico, grazie anche a delle fortunate serie televisive che ne sono state tratte e prodotte recentemente da HBO (The Plot Against America), Amazon Prime (The Man in the High Castle e Hunters) e da Sky Atlantic (Westworld). È nel romanzo di Burdekin che si ipotizza per la prima volta il trionfo definitivo del nazismo (e del conservatorismo giapponese, suo alleato), che da regime politico si è trasformato in una vera e propria religione degli antichi avi, una religione basata naturalmente sulla figura mitica ed eroica di Adolf Hitler. Questa nuova religione, che si è ormai consolidata da più di 700 anni, vuole che il suo fondatore sia un uomo “non nato di donna, ma esploso direttamente dalla testa di suo padre”.
L’altro aspetto interessante del romanzo è la condizione della donna sotto il nazismo, considerata alla stregua di una fattrice di figli, e dunque produttrice di futuri soldati, che non è degna di stare alla pari degli uomini, una specie di bestia sottomessa cui l’unico scopo la procreazione. A questo disprezzo per la donna fa da contraltare un notevole penchant da parte dei gerarchi nazisti per giovani aitanti, ovviamente biondi e muscolosi, che rappresentano il culmine della razza ariana. Burdekin è tra i primi scrittori e scrittrici a intuire che dietro il superomismo delle SS, dietro il loro cameratismo, dietro le loro uniformi nere e i loro luccicanti stivali in pelle nera, c’era nascosta una forte componente omosessuale che Heinrich Himmler cercava regolarmente di stroncare all’interno della sua organizzazione diramando disposizioni rigidissime in materia (vedi anche il Discorso segreto di Himmler ai suoi generali sull’omosessualità), ma senza successo. È noto che l’omosessualità era largamente praticata tra i predecessori delle SS, le SA di Ernst Rohm, a partire dal loro capo supremo, e che le accuse di omosessualità contribuirono a decretare la loro fine in occasione della famigerata notte dei lunghi coltelli del 1934. Si tratta di un’aspetto del Nazismo, la sua neanche tanto latente corrente di omosessualità, che nasce dal sogno misogino di una società di soli maschi (come predicavano una parte del movimento naturista dei Wandervogel e l’attivista omosessuale di estrema destra Hans Bluher), che nasce dal culto del corpo maschile, considerato il culmine della perfezione. Si tratta di un aspetto del nazismo su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro e girati chilometri di pellicole cinematografiche molti anni dopo la fine del regime (qualche titolo: La caduta degli dei di Luchino Visconti, Salon Kitty di Tinto Brass), ma che Burdekin intuisce con straordinario fiuto addirittura – gioverà ripeterlo – quando i Nazisti erano ancora al potere.
L’altra intuizione geniale della Burdekin è quella di aver colto quel fenomeno che tanti anni dopo è stato definito come “nazismo magico”, quella potente fascinazione per tutto ciò che è esoterico e occulto nella tradizione occidentale e in quella orientale, con il recupero di antiche tradizioni, un filone che parte dai grandi filosofi tedeschi, passa per la Società Thule e approda alla fascinazione per la profonda connessione tra psicologia e alchimia nell’opera di Carl Gustav Jung (Psicologia e Alchimia e Il Libro Rosso), quelle stesse ricerche che Himmler stava facendo svolgere alla segretissima organizzazione Ahnenerbe (cioè Eredità Ancestrale), che aveva il compito di rintracciare le antiche radici del popolo ariano, ricerche da cui nacque per esempio la celebre spedizione in Tibet del 1938.
Conclude il volume una documentata nota che ricostruisce la genesi dell’opera e il contesto della fantascienza distopica che la stessa Burdekin ha contribuito a creare. Burdekin ha anticipato tutto questo filone di romanzi di successo, ha descritto, prima di George Orwell e di Kurt Vonnegut, la brutalità del potere che si circonda di un’aura mistica, aspira al controllo totale delle masse e cancella la storia del mondo e la memoria. La salvezza potrà nascere solo dalla riscoperta di come sono andate effettivamente le cose, ascoltando i racconti di coloro che sono ancora depositari di questa storia alternativa, cercando con pazienza di recuperare le poche fonti storiche rimaste, come accade a uno dei protagonisti del romanzo, che si riunisce segretamente in un nascondiglio inaccessibile per sfogliare un volume in cui si racconta la vera storia dell’umanità. Alla fine di questa affannosa ricerca, si scoprirà che la vera storia dell’Umanità, la verità sul nazismo e sulle sue origini umane, troppo umane, si trova nascosta in una vecchia fotografia sopravvissuta alla riscrittura della Storia e in un vecchio libro sopravvissuto alla cancellazione della memoria e ai roghi…