Yunus è giovane e bello, e Filiz se ne innamora. Contro il volere di suo padre, lo sposa ad appena tredici anni ma ben presto Yunus, di solo pochi anni più grande di lei, trasforma il loro matrimonio in una prigione di dipendenza e violenza. Intrappolata nella casa della suocera, a sua volta dispotica e manesca, Filiz – soggetta ad abusi fisici e mentali, costretta a velarsi, a tacere e restare in casa – è trattata peggio di una schiava. Quando la coppia, coi tre figli piccoli, dal loro remoto villaggio in Turchia si trasferisce prima a Istanbul e poi in Austria, la situazione non solo non cambia ma, addirittura, precipita.
Nonostante abbia affrontato parecchie letture inerenti la violenza sulle donne, leggere Gioielli blu di Katharina Winkler è stata un’esperienza a dir poco sconvolgente. Il caso vuole che, appena terminata questa lettura, mi sia imbattuta in un articolo pubblicato sull’allegato culturale de “Il Sole 24 ore”, che citava un paio d’interessanti frasi pronunciate da due artisti: la prima di Pablo Picasso, “L’arte scuote via dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni” e la seconda di un altro pittore, Georges Braque, “L’arte è fatta per turbare. La scienza rassicura”.
Sono frasi che mi è venuto spontaneo accostare a questo romanzo perché Winkler riesce – utilizzando un linguaggio molto poetico che, lungi dall’essere fuori posto, ha la capacità di evidenziare la brutalità di quanto racconta – a parlarci di abusi e soprusi scuotendo appunto la nostra anima, la nostra coscienza che, a volte, sembrano sopite (perché ormai abituate?) sotto la polvere di tante storie di violenza, che ci vengono raccontate con cadenza quasi quotidiana. Il turbamento arriva subito, quando si comprende cosa sono i “gioielli blu” del titolo: non preziosi diademi, anelli o bracciali ma lividi, più o meno evidenti, sparsi per tutto il corpo di Filiz, causati dalle botte, i calci, i pugni, gli stupri perpetrati da Yunus il quale poi, in particolare durante un ricovero in ospedale della donna, rivolgerà la sua violenza anche sui suoi tre figli che diventeranno, loro malgrado, “bambini blu” – percepiti dalla madre come reduci di un campo di battaglia.
Questo libro vuole porre l’accento su come l’abuso possa essere vissuto come normale e percepito come un’altra faccia dell’amore; come la violenza sulle donne, e in generale sui “soggetti deboli”, sia largamente diffusa non solo nella Turchia rurale ma, purtroppo, in tutto il mondo; come sia difficile sottrarsi da rapporti perversi che confondono il possesso con l’affetto; come in certe situazioni non si salvi nessuno; come si possa essere oggetto della più assurda brutalità da parte di mariti, padri, ma anche da parte di madri, laddove la cultura patriarcale ha il sopravvento; come si possa perdere tutto, affetti, dignità, amicizie, figli, salute mentale e fisica e arrivare al punto di guardarsi allo specchio senza ritrovarsi, senza riconoscersi più perché si è diventate un punto cieco. «Yunus non lavora. Lui è l’uomo di casa. Questo è sufficiente. Yunus è forte. Al mattino vuole la focaccia fresca, che io inforno per lui prima dell’alba, latte appena munto e yogurt fatto in casa, durante la mattinata vuole le sigarette, più volte, con accendino e portacenere, a pranzo pilaf con yogurt e turşu, di pomeriggio un divano preparato per dormire e subito dopo un caffè, una camicia lavata e stirata di fresco, la sera mani lavate, sarma e peperoni ripieni, dolce appena fatto al latte, piedi lavati e ascelle lavate, i miei capelli spazzolati e di notte vuole un accoppiamento da davanti e da dietro, e vuole che il mio dolore sia silenzioso e il mio gemito appassionato».
Una breve nota sulla casa editrice Cencellada, che deve il suo nome a un particolare fenomeno meteorologico per cui, con una temperatura sotto lo zero, le goccioline fluttuanti nella nebbia si cristallizzano su superfici solide. Così come le particelle d’acqua si modificano cambiando a loro volta l’ambiente su cui vengono a posarsi, l’ambizione degli editori sarebbe quella di trasformare lo stato di chi entra in contatto con le loro pubblicazioni. E in effetti questo libro, basato su sessanta ore di interviste e che riesce efficacemente a combinare reportage e finzione, produce una narrazione da cui non si esce indenni e che, anche dopo aver terminato il libro, resta a lungo nell’immaginario di chi legge portando a riflettere su come sia fondamentale difendere le nostre libertà, su come si debba provare a ribellarsi alle ingiustizie e come sia compito di chi vive una vita molto differente da chi subisce violenza quotidiana, aiutare chi al contrario, (soprav)vive in una situazione di terrore e dolore costante.