Katerina Gordeeva / La rosa bianca e la rosa rossa

Katerina Gordeeva, Oltre la soglia del dolore, tr. di Mario Caramitti, 21lettere, pp. 416, euro 19,50 stampa, euro 9,49 epub

Due rose ondeggiano al vento fino a toccarsi, una bianca e una rossa, come quelle che simboleggiarono la guerra civile fra le dinastie Lancaster e York nell’Inghilterra del Quattrocento. Un’immagine che forse vuole evocare un’utopica risoluzione del conflitto fra Russia e Ucraina, che si fa di giorno in giorno più sanguinoso e del quale in realtà non si può prevedere una conclusione. In Oltre la soglia del dolore la giornalista russa Katerina Gordeeva registra voci, raccoglie testimonianze senza operare una censura preventiva, accogliendo molteplici punti di vista, ma senza eclissare il proprio. Ventiquattro capitoli che, volutamente, recano titoli in massima parte derivati da oggetti o cibi di uso quotidiano, a sottolineare come la guerra stravolga le normali dinamiche esistenziali. Così Inga, mentre sta raccontando, come un automa appoggia il polso al ferro da stiro rovente senza togliere la mano, quasi a punirsi per non essere stata in grado di salvare il proprio figlio. Larisa non riconosce più il proprio marito, partito volontario per la guerra. Cerca di capire cosa sia cambiato, senza riuscirci. Semplicemente si trova davanti un’altra persona.

In quanto russa, Gordeeva si espone al comprensibile astio degli ucraini, che vedono in lei una rappresentante dell’invasore, ma anche dei suoi connazionali sottoposti a una propaganda incessante; eppure la sua forza di volontà non conosce ostacoli. La fola di una operazione speciale rapida e indolore, della presunta denazificazione, delle folle plaudenti all’arrivo dei “liberatori” svanisce di fronte ai racconti dei militari coinvolti, ignari fino all’ultimo della loro vera destinazione. La reticenza dei vertici russi appare palese. “Al ministero, dappertutto, ci ignorano, non siamo nulla”, dice una madre. Gli uomini sono semplici pedine sacrificabili per gli scopi dello Stato. La russkij mir, il pacifico mondo russo, si rivela un espediente propagandistico. Vedere di persona la distruzione, i lutti e le mutilazioni, come ha fatto una madre in cerca del proprio figlio, è l’unica maniera per eclissare le bugie dei notiziari, dove tutti gli ucraini vengono descritti come fascisti pericolosi per la Russia. Di continuo nuove leggi vengono promulgate per costringere le persone a tacere, per mascherare la verità.

Il libro di Gordeeva è un’immersione nell’inferno della guerra, per divulgare tale verità. Un intero popolo, per mantenere la propria zona di confort, è deciso a far finta che niente stia accadendo, afferma Tanja, psicologa russa emigrata in Polonia. Per fortuna non tutti sono disposti a tacere, e questo libro lo testimonia. La vita prima della guerra è un Eden irrecuperabile, dal quale si è stati banditi per motivi oscuri. Dopo nulla può più essere come prima. “Non si può riportare in vita quello che c’era, e non ci sarà più niente di simile”, afferma Ruslan, l’uomo che non sognava mai e che ora, da quando sono iniziati i bombardamenti, vede il Diavolo dimenarsi e sghignazzare in maniera orrenda. Perché la guerra domina tutto, i corpi e le menti. Il lettore si trova immerso in un mondo governato dalla violenza insensata, dagli stupri usati come arma di annientamento. Bambini hanno perduto per sempre la loro infanzia, con conseguenze inimmaginabili. Vecchi impazziscono in quanto costretti a lasciare i luoghi a loro cari, ai quali è legata la loro esistenza. Persone vivono per lunghi periodi sottoterra per sfuggire ai bombardamenti e ai cecchini, come insetti, finché si disabituano alla luce del giorno. Alcuni, come Irma, quella luce non potranno più vederla, a causa delle ferite provocate da un ordigno. Il buio domina le loro vite. Chi è riuscito a fuggire, braccato come un animale, porterà sempre cicatrici insanabili, chi è stato costretto ad abbandonare la propria casa soffrirà per tutta la vita, tormentato dalle conseguenze di uno sradicamento insensato.

Deve essere stato commesso un errore, in qualche momento, in qualche luogo, perché tutto questo si materializzasse, ma nessuno riesce a capirlo esattamente. C’è infine la questione linguistica: in Ucraina molti parlavano russo, e non era un problema. La dissoluzione dell’Unione Sovietica porta a queste incongruenze. I confini politici non corrispondono a quelli linguistici; eppure le famiglie sono mischiate da entrambe le parti. Stiamo assistendo dunque a una vera guerra civile. Ora molti rifiutano il russo, idioma dell’invasore, in favore dell’ucraino. L’odio è ormai diffuso come una pestilenza, anche se permangono piccoli segni di speranza, come i volontari russi, ucraini e bielorussi che aiutano i profughi, senza entrare mai in conflitto fra di loro. Un residuo di umanità in un paesaggio sconvolto. L’immagine di una scuola devastata dai combattimenti, i banchi divelti, i libri stracciati, resta come un simbolo e un monito; dove si distrugge la cultura, fondamento della civiltà, non c’è più argine alla barbarie.