Descritto come “Breaking Bad del benessere”, il ciclo del cinico e disarmante avvocato Björn Diemel, tradotto in tredici lingue sull’onda del successo nel mercato tedesco, è un piccolo caso letterario già opzionato per l’inevitabile serie Netflix. Karsten Dusse, scrittore e autore di format televisivi, avvocato a sua volta, si fa notare per la vena candida e beffarda con cui, dalla prima pagina, si mette in tasca il lettore grazie, a conti fatti, all’indubbio talento divulgativo. Uccidi con il tuo bambino interiore è il seguito meno sorprendente del bestseller Inspira, espira, uccidi, entrambi pubblicati da Giunti.
All’inizio della storia Diemel è un avvocato della mala, vessato dal suo boss e disprezzato dalla moglie, che dopo aver perso per strada l’entusiasmo per la vita assieme agli ideali giovanili sta per perdere anche l’ultima cosa a cui tiene veramente, cioè il contatto parentale con la figlia Emily. Sull’orlo della disperazione, si affida a Joschka Breitner, un coach costoso e più saggio di Siddhartha. Sotto la sua guida, la scoperta della mindfulness gli dischiude ben presto nuove e insperate prospettive, diventando anche il tormentone di un demi thriller che semina omicidi tra “perle” degne di un prontuario di auto aiuto.
Ogni tappa, per lo più sanguinosa, della “redenzione” spirituale di Björn, è infatti preceduta da una massima in epigrafe tratta dai bestseller non troppo immaginari del suo terapeuta: libri per manager in crisi da burnout di cui i romanzi di Dusse a ogni nuovo capitolo mettono in scena tanto la rappresentazione letterale che la parafrasi altrettanto puntuale. Se le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni, la via della consapevolezza, come scopriamo ben presto, può essere infatti lastricata di cadaveri. Se nel primo libro, grazie alla mindfulness, Diemel riesce a riprendere il controllo della sua vita e a impossessarsi contemporaneamente di ben due racket rivali, restando in bilico su una montagna di bugie, a cui sorprendentemente tutti si mostrano ben felici di credere, nel secondo capitolo, fa i conti – ohibò – con il suo subconscio. Costretto dalla moglie a interrogarsi sui suoi comportamenti violenti da stronzo, risale così ai traumi di un’infanzia frustrante in pantaloncini corti e a un’educazione rudemente spartana che ha fustigato i desideri e incasinato definitivamente i suoi dogmi infantili. L’incipit del resto non lascia dubbi: “Nella mia infanzia due cose sono evidentemente andate storte: mia madre e mio padre”. L’avvocato, ora boss mafioso di successo, tornato da coach Breitner, fa così la conoscenza del suo dispettosissimo “bambino interiore”. E i due, inutile dirlo, diventano ben presto grandi amici e complici per la pelle. Quella, ovviamente, di chi si troverà d’ora in avanti sulla loro strada.
La parabola di Diemel può anche essere letta come un caso piuttosto estremo e paradossale di “grandi dimissioni”: il protagonista, dopotutto, liquida – non solo metaforicamente – il suo datore di lavoro e scopre come la sua vita diventi più semplice non appena comincia a osservare le cose da un punto di vista “non giudicante”. La serenità interiore, certo, può coincidere – come a Björn succede regolarmente – con comportamenti socialmente inaccettabili o addirittura esecrabili ma pur sempre facilmente mascherabili grazie alla prevedibilità stessa delle convenzioni morali (il politicamente corretto, il conformismo hipster, la sostenibilità prêt-à-porter, ecc.). Da penalista incallito, del resto, non conosce i codici etici ma solo quelli forensi che calza come un paio di pantofole sfondate. A modo suo, in fondo, rispetta il Sistema, che da tempo ha imparato a manipolare a suo esclusivo beneficio. Il suo mondo borghese di mezza età – circoscritto in pratica a moglie e figlia – è assurdamente sotto-socializzato, e anche i “social” vi compaiono solo come possibile strumento di shitstorming e di ricatto. I suoi simili, gangster o rispettabili notabili, condividono preoccupazioni non dissimili dalle sue: in cima alla lista, trovare un posto all’asilo per la figliolanza. Così anche controllare un asilo post-montessoriano, può diventare per un’impresa mafiosa un investimento più vantaggioso di un bordello.
Concepito come puro extra bonus per chi ha apprezzato il primo romanzo, Uccidi con il tuo bambino interiore ne ricalca passo a passo la formula, ancorché, inevitabilmente, con molte meno sorprese, liberando alla fine il lettore lasciato precedentemente “appeso” ai cliffhanger. L’obiettivo di Dusse – del resto pienamente raggiunto – non sembra sia scrivere thriller memorabili ma condividere le tecniche del benessere spirituale in modo per una volta divertente e, soprattutto, non troppo frustrante.