Sulla scia della recente pubblicazione della silloge di racconti tratti dalla rivista Der Orchideengarten (Il giardino delle orchidee) e del romanzo Alraune di Hanns Heinz Ewers, esce presso Edizioni Hypnos un terzo volume dedicato alla riscoperta del fantastico germanofono primo-novecentesco: Lemuria dell’austriaco Karl Hans Strobl. Il libro, curato e tradotto da Alessandro Fambrini, propone al lettore italiano quattordici racconti di uno scrittore oggi quasi del tutto dimenticato, per ragioni che hanno tuttavia a che fare più con i risvolti oscuri della sua biografia che non con il rilievo della produzione narrativa. Come spiegano lo stesso Fambrini e Walter Catalano nei due contributi che incorniciano la raccolta, Strobl è stato infatti a lungo oggetto di una lunga damnatio memoriae dovuta alla sua compromissione con il nazismo, cui l’autore aderì non per opportunismo (come capitò a Ewers), ma condividendone a pieno l’ideologia.
Il saggio di Catalano affronta di petto la questione, con una dettagliata ricostruzione del contesto storico, culturale e ideologico in cui fu attivo Strobl. Nell’introduzione Fambrini delinea invece la poetica dell’autore, invitando il lettore odierno a farsi carico sia della condanna morale di Strobl sia del giudizio estetico a cui l’opera lo sprona, dal momento che nel libro sono molti gli elementi che giustificano un’operazione di recupero di certo coraggiosa ma nient’affatto temeraria.
Strobl, o quantomeno lo Strobl di Lemuria, si rivela infatti uno scrittore capace ancora oggi di stupire e inquietare, malgrado la distanza temporale, cosa non scontata in un genere, il fantastico, che ha rinnovato così spesso i suoi codici e, con essi, le aspettative del lettore. Se l’inclinazione antimoderna dello scrittore si evidenzia nella predilezione per uno stile piuttosto classico e a tratti un po’ faticoso, è sul piano della fantasia creatrice che Strobl vince la sua partita con la storia. In tal senso, molti dei racconti contenuti in Lemuria non solo risultano tuttora freschi e originali, ma (ri)collocano l’autore nella dimensione che gli è propria, quella dei maggiori esponenti della letteratura fantastico-orrorifica, non soltanto germanofona (e, viene da aggiungere, non soltanto primo-novecentesca).
Basta leggere “La testa”, il primo racconto del volume, per rendersi conto della capacità di Strobl di trascendere i diversi contesti storici e geografici in cui sceglie di calare le sue narrazioni, anche quando queste ultime risentono (più di quanto si vorrebbe) delle idee reazionarie dello scrittore. Il racconto è ambientato negli anni concitati della Rivoluzione francese, e non stupisce il fatto che Strobl decida di assumere il punto di vista di un aristocratico condannato alla ghigliottina. L’esecuzione della condanna non costituisce tuttavia il culmine della storia, ma il suo preludio, destinato a mettere in moto la fantasia dello scrittore; fantasia che, in questo caso come del resto in molti altri, assume tinte particolarmente raccapriccianti e morbose: sopravvissuta alla violenta scissione dal tronco per mezzo della ghigliottina, la testa del condannato affronta varie peripezie che la portano infine a ricongiungersi con il corpo di una donna che aveva subìto lo stesso destino del protagonista. Questa fusione viene vissuta inizialmente con angoscia dalla testa dell’uomo, che vede nel sesso opposto l’incarnazione della natura e degli istinti ma quando la testa ha però modo di rivivere il violento amplesso che l’aristocratica aveva sperimentato poco prima dell’esecuzione, l’angoscia e il disgusto lasciano spazio a una voluttà ben restituita dalla prosa sensuale dello scrittore.
Gli accenti misogini presenti nel racconto sono espressione di un tratto caratteristico della poetica che attraversa Lemuria, quella avversione nei confronti di qualsiasi forma di alterità dietro la quale si cela l’incubo della perdita di un controllo razionale sulla propria identità, nonché sulla realtà in cui essa si muove. Ovviamente tali accenti risultano oggi fastidiosi, ma proprio attingendo a questo fondo di paure culturalmente radicate che Strobl riesce a sfruttare al meglio la propria vis narrativa. Ci si potrà quindi legittimamente indignare per il razzismo sfacciato di un racconto come “Busi Busi”, ma la storia non cesserà di inquietare, proprio per la sua capacità di sollecitare l’angoscia dell’uomo bianco. D’altro canto, lo dimostra un racconto come “Take Marinescu”, anche quando lascia campo aperto a pregiudizi grossolani lo scrittore di Lemuria risulta poi meno prevedibile di quanto si potrebbe immaginare; qui infatti la visione sprezzante dell’Altro assume alla fine una connotazione più ambigua, fino quasi a risultare negata e rovesciata nel suo contrario.
Si farebbe d’altronde un torto a Strobl e a questa antologia se non si segnalasse la varietà che sa trarre dall’elemento immaginifico e che restituisce nella quasi totalità dei racconti, sapientemente modellata in forme che ne coprono un’ampia porzione dello spettro fantastico. Si va infatti dalle atmosfere grottesche e quasi oniriche di “La mia avventura con Jonas Barg”, alla commovente delicatezza di un racconto peraltro macabro e visionario come “Accadono orrendi, novissimi gesti”; dalla feroce satira antimonacale (nonché antimaterialistica) ne “L’omino dei salassi”, al divertissement fantascientifico del “Trionfo della meccanica”, in cui Strobl scioglie la tensione narrativa nel plot point conclusivo, con lo stesso espediente già incontrato in “Take Marinescu”.
Anche le ghost stories in Lemuria rivelano una varietà sorprendente di soluzioni narrative, andando oltre gli stereotipi della letteratura di genere. Così, se ne “La Suora cattiva” troviamo uno spettro che terrorizza e perseguita il protagonista (e noi con lui) fino a condurlo oltre il limite della follia (in un racconto dove la verità si rivela a poco a poco attraverso un raffinato susseguirsi di colpi di scena), nelle “Ombre cinesi” facciamo conoscenza di un fantasma di ben altra natura e temperamento, all’interno di una storia che ha per tema l’adulterio e in cui Strobl evita di condannare i suoi personaggi mostrando anzi verso di essi (fantasma compreso) una notevole empatia.
Merita infine una menzione speciale “La tomba di Pére Lachaise”, short story dall’ambientazione claustrofobica, in cui cui vaghe reminiscenze faustiane risultano funzionali a una critica delle istanze positivistiche che si illudono di riuscire a dominare la realtà per mezzo della ragione: il protagonista, un geniale ma squattrinato uomo di scienze alle prese con un’opera di sistematizzazione del sapere, accetta in cambio di duecentomila franchi di trascorrere un intero anno nella cripta dove è stata sepolta la russa Anna Feodorowna Wassilska. Là crede di riuscire a terminare la propria opera per poi, una volta concluso il periodo di reclusione, sfruttare la ricompensa messa in palio dalla stessa madame per diffondere i frutti della sua fatica intellettuale; dovrà invece scoprire a proprie spese che la realtà che pensava di conoscere così bene è in verità governata da leggi ben più insondabili di quanto osasse immaginare.
Come si è visto, Lemuria è in grado di soddisfare le esigenze di un’ampia cerchia di lettori. Per primi, gli amanti del fantastico in ottica weird che potranno trovare racconti dove l’elemento sovrannaturale, raramente fine a se stesso, si fa veicolo di un’indagine intesa a scandagliare le profondità della psiche e della natura umana. Ma il volume consigliabile anche a chi che, pur non avendo grande dimestichezza con questo genere di letteratura, non è però insensibile al fascino di escursioni narrative in chiave psicologica. A patto di non restare frenati dagli aspetti più deteriori della poetica dello scrittore, entrambi potranno trovare materia ancora in grado di avvincere e spaventare nella lettura, ma anche di divertire e, talvolta, persino di commuovere.