Trish Edgewater è una volontaria delle Brigate Morfeo. Raccoglie donazioni di sonno per tentare di salvare, da una veglia letale, i malati della terribile epidemia di insonnia che sconvolge gli Stati Uniti. Trish è solo una dei tanti volontari, ma è fra i migliori, perché il suo rapporto con l’epidemia è personale: sua sorella Dori è si annovera fra le prime morti accertate, ed è proprio il ricordo vivo di Dori e un lutto che non sembra sbiadire che rende Trish così efficace. Come abbiamo imparato negli ultimi anni, le epidemie sono fenomeni estremamente complessi, che generano un’enorme quantità di domande e coinvolgono tematiche inaspettate. Non a caso le epidemie sono al centro di numerose opere letterarie di grande importanza, come I promessi sposi e Il Decameron. Ne parla anche Daniel Defoe, autore di celeberrimi romanzi, che racconta la sua esperienza durante la peste di Londra del 1655 nel Diario dell’anno della peste. Ma oltre alle epidemie reali, la letteratura annovera anche epidemie terrificanti e immaginarie, che cristallizzano aspetti e sfaccettature diverse. Penso ad esempio a Cecità di José Saramago, in cui la malattia – concreta e allo stesso tempo metaforica – diviene prima di tutto un modo di analizzare i fondamenti della società, isolando e riportando i personaggi a uno “stato di natura”.
La società di Karen Russel non arriva alla rovina completa. L’epidemia di insonnia è un’emergenza normalizzata, in progressivo peggioramento, con piccoli e grandi imprevisti vissuti nel quotidiano da popolazioni allarmate ed esauste. Trish Edgewater si ritrova a dover spettacolizzare il suo lutto davanti a estranei, che rispondono elargendo un’empatia stizzita con sempre più parsimonia. L’abitudine al dolore degli altri e l’irritazione verso i malati, fonte di timori e sospetti, in qualche modo ritenuti colpevoli del loro male, divengono un modo di trattare i limiti dell’empatia e i meccanismi che ci consentono da guardare dall’altra parte.
Con La Peste di Camus, questo romanzo ha in comune diverse cose. Come per il Dottor Rieux di Camus, Russell focalizza la narrazione su una protagonista che è coinvolta attivamente nella battaglia quotidiana contro la malattia, e che, come Rieux, è sfinita. La stanchezza di Trish non è biologica come quella dei suoi malati, ma etica e psicologica, poiché come succede spesso in simili romanzi il bene dell’individuo e quello della società diventano contrapposti. I dilemmi sono resi ancora più drammatici dalla mancanza di conoscenza: poco si sa della malattia, e poco si sa delle cure che sono state trovate, e Trish deve prendere decisioni senza conoscerne le conseguenze. Il romanzo sembra però stabilire proprio che una vera scelta etica può avvenire solo nell’ignoranza delle conseguenze.
Con una prosa tersa, Russell ritrae Trish in una successione di incubi, sognati e reali, individuali e collettivi, descrivendo lo svilupparsi tortuoso della risposta bio-sociologica all’epidemia, fra chi dà troppo e chi dà poco, fra chi vorrebbe dormire ma non può e chi potrebbe dormire ma non vuole, tutti insieme in una veglia assassina e allucinatoria.